giovedì, 19 Dicembre 2024

¡Yo apruebo! Il Cile va verso una nuova costituzione

Domenica 25 ottobre in Cile si è tenuto un referendum per decidere se dare al paese una nuova costituzione e aprire così una nuova epoca. Infatti, il nuovo testo sostituirà la costituzione adottata nel 1980, nel pieno della dittatura del generale Augusto Pinochet. Con una partecipazione del 50,90%, “apruebo”, ossia “approvo”, ha vinto contro il “rechazo”, “rifiuto”, con il 78,28% dei voti. Una maggioranza schiacciante che è un segno evidente delle aspettative di rinnovamento della società cilena.

Assieme alla domanda principale, gli elettori hanno dovuto decidere se affidare il compito di riscrittura a una Convenzione Costituzionale composta esclusivamente da rappresentanti eletti. In alternativa, l’Assemblea sarebbe stata integrata per il 50% dai membri del Congresso cileno. Tuttavia, la maggioranza dei votanti (il 78,99%) si è dichiarata favorevole alla prima opzione, che dunque prevede l’insediamento dei 155 membri eletti entro maggio 2021.

Una novità importante è che nella Convenzione Costituzionale un certo numero di seggi sarà riservato ai rappresentanti dei popoli indigeni, mentre la rappresentanza femminile sarà garantita grazie a una quota di donne pari alla metà dei membri. Il Cile sarà dunque il primo paese al mondo ad avere un’Assemblea costituente completamente paritaria.

Lo storico risultato della consultazione democratica ha suscitato i festeggiamenti per le strade e manifestazioni di giubilo in tutto il paese. Il referendum ha ridato fiducia nel futuro a un paese che da un anno sta facendo i conti con una grave crisi sociale, alla quale è andata a sommarsi l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19.

A un anno dalle proteste di massa

In Cile, molti hanno percepito il referendum per una nuova costituzione come un primo passo verso una trasformazione concreta della società. Le grandi manifestazioni antigovernative che hanno avuto luogo in tutto il paese dallo scorso ottobre hanno dimostrato che tale cambiamento è auspicato da gran parte dei cittadini.

Le proteste hanno colto di sorpresa il Presidente Sebastián Piñera e sono degenerate nella guerriglia urbana che ha causato 36 morti e centinaia di feriti. Ciò che allora aveva provocato la rabbia dei cittadini era stato l’annuncio dell’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana di Santiago. Una motivazione indicata da molti come la “punta dell’iceberg” che in realtà nascondeva un diffuso malessere legato a diversi fattori: il costo eccessivo e la bassa qualità del sistema sanitario e dell’educazione, la crisi del sistema pensionistico, i salari inadeguati al costo della vita, la precarietà di molti posti di lavoro, i casi di corruzione della polizia e gli stipendi dei politici troppo alti (fino a 33 volte superiori al salario minimo).

I disordini erano stati una valvola di sfogo contro un sistema rivolto unicamente alla crescita economica, mentre si assisteva a un grave aumento delle disparità. Secondo Daniel Matamala, colonnista del quotidiano nazionale La Tercera, parte del problema continua a essere l’ignoranza dell’élite politica riguardo alle reali condizioni del paese: «Il 17 ottobre 2019, sul Financial Times il Presidente [Piñera] celebrava il Cile come “l’oasi dell’America Latina”… Un anno dopo, tra la classe dirigente è cambiato poco: le voci che si sentono sono le stesse che prima si erano sbagliate in modo grossolano. Molti dogmi sono restati intatti».

In sostanza, esiste una differenza tra il paese percepito dall’élite e la realtà vissuta dal cittadino comune. Da un lato vi è un paese che gode di un’alta qualità di vita e progresso economico, appannaggio della visione distorta delle classi abbienti. Mentre dall’altra vi è il Cile “reale”, fatto di precarietà, gravi disuguaglianze e frustrazione nei confronti di una classe politica sorda alle esigenze dei cittadini. Un Cile non dissimile da altre realtà dell’America Latina, caratterizzate da instabilità politica, corruzione e questioni sociali irrisolte.

La costituzione e lo spettro della dittatura

“Cancelleremo con la penna ciò che ci hanno imposto con il fucile” recitano alcuni cartelli dei manifestanti. Il messaggio è chiaro: in Cile, molti hanno visto il referendum per la nuova costituzione come un’occasione per sbarazzarsi definitivamente della pesante eredità del pinochetismo. Non c’è dubbio che il ricordo del regime autoritario è ancora vivo nella società ed è tuttora fonte di tensioni sociali e polarizzazione politica.

Naturalmente, il vecchio testo costituzionale viene anch’esso vissuto come un lascito negativo di quel periodo drammatico. In tal senso la riscrittura di un nuovo testo fondamentale, richiesta a gran voce durante le proteste, rappresenterebbe il completamento del ritorno alla democrazia. Perciò, la costituente segnerebbe un tentativo di ricucire una ferita ancora aperta che ha segnato profondamente la storia del paese.

La sinistra all’opposizione si è schierata nettamente per l’“apruebo”, vedendo l’opportunità di avviare finalmente le riforme necessarie e accrescere il ruolo dello Stato. Infatti, la costituzione dell’epoca di Pinochet ha permesso la realizzazione di soluzioni economiche di stampo liberista, portando anche alla privatizzazione di beni pubblici come l’acqua. Inoltre, mantenere la costituzione attuale avrebbe delle implicazioni ideologiche evidenti, poiché ha avuto origine in un contesto apertamente antidemocratico.

Gli scettici della nuova costituzione

Al contrario, la destra conservatrice si è dimostrata tendente verso il “rechazo”. I conservatori si sono organizzati in un comitato comprendente il partito liberale del Presidente Piñera (Renovación Nacional) e l’UDI (Unión Democratica Independente) nazionalista e cristianosociale. I contrari hanno promosso lo slogan “rifiutare per riformare” per mettere in discussione l’utilità di una nuova costituzione. Essi, infatti, hanno affermato che sarebbe stato sufficiente apportare le modifiche necessarie al vecchio testo costituzionale, evitando così costi eccessivi e tempi prolungati.

In particolare, la comunicazione politica dell’area conservatrice ha giocato molto sul catastrofismo. Infatti, secondo la destra, la vittoria dell’“apruebo” è un salto nel buio che porterà alla distruzione del benessere costruito negli anni. Al contempo, la comunicazione politica di alcuni ambienti di estrema destra si è concentrata sull’utilizzo delle fake news. I nazionalisti hanno fatto leva sui sentimenti xenofobi nei confronti delle comunità di immigrati provenienti da altri paesi latinoamericani. Inoltre, si è fatto strada anche il timore di una deriva autoritaria in stile venezuelano, arrivando a parlare di “Chilezuela” per riferirsi allo scenario in cui il Cile si sarebbe ritrovato all’indomani del referendum.

La questione mapuche

L’ennesimo spauracchio utilizzato per dissuadere l’opinione pubblica è stata la possibile minaccia secessionista dei Mapuche, il popolo originario più numeroso delle Americhe (circa 2 milioni tra Argentina e Cile). Nella vecchia costituzione non vengono mai nominati: di fatto, il Cile contemporaneo non ha mai avuto il coraggio di affrontare apertamente la questione dei Mapuche. A lungo la classe politica ha ignorato le condizioni di emarginazione sociale, impoverimento economico e culturale che le minoranze indigene hanno dovuto subire costantemente. L’insofferenza dei Mapuche ha portato all’accendersi delle violenze nella regione dell’Araucanía, nel centro-sud del paese. Infatti, negli ultimi anni la regione è stata a più riprese teatro di scontri tra gruppi Mapuche e le forze di polizia, episodi che hanno causato numerose vittime come l’attivista Mapuche Camilo Catrillanca ucciso da un carabiniere nel 2018.

Nelle proteste di massa dello scorso anno, le richieste dei Mapuche per ottenere più rappresentanza politica e inclusione hanno trovato maggiore risonanza. Da subito, tali rivendicazioni si sono unite alle voci dei manifestanti antigovernativi, che a loro volta le hanno fatte proprie fraternizzando con il popolo indigeno. Accanto alle bandiere nazionali con la estrella solitaria, nelle piazze sono comparse anche le bandiere e i simboli dell’identità Mapuche, a dimostrazione che le loro battaglie sono confluite all’interno del movimento di protesta diventandone una componente essenziale.

Nella nuova costituzione del Cile, i rappresentanti Mapuche vorranno includere un maggiore riconoscimento da parte dello Stato, la tutela della loro identità culturale e linguistica, ma soprattutto la fine della discriminazione da parte di una società che li considera ancora come cittadini di seconda classe. Tuttavia, le questioni più spinose riguarderanno la concessione di un certo grado di autonomia politica e la fine dello sfruttamento economico delle loro terre ancestrali.

La volontà di voltare pagina

Cercando di rassicurare le fazioni contrarie al cambiamento, il Presidente Piñera ha evidenziato che il risultato del referendum costituzionale non rappresenta la fine, bensì un punto di inizio.

Nonostante le numerose revisioni, la vecchia costituzione del Cile era stata concepita per garantire la conservazione dei privilegi delle élite. Al contrario, ridefinendosi come un paese aperto al dialogo, il Cile di oggi si dimostra deciso a discutere un nuovo modello che non lasci nessuno indietro. Il risultato del voto ha dimostrato che vi è la volontà di rinnovare l’identità del paese, rappresentando il primo passo verso un lungo processo costituente che si dimostrerà complesso e non privo di difficoltà, ma sicuramente necessario.

Massimiliano Marra
Massimiliano Marrahttps://www.sistemacritico.it/
Di radici italo-cilene ma luganese di nascita, attualmente studio economia e politiche internazionali all’Università della Svizzera Italiana e mi interesso di storia e relazioni internazionali con un occhio di riguardo ai contesti extraeuropei. Nel tempo libero suono il basso elettrico e vado in burn out di musica.

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