In occasione della Giornata mondiale della felicità, il 20 marzo è stata reso pubblico il World Happiness Report. Si tratta di un rapporto basato sui dati di un sondaggio in 143 paesi del mondo, realizzato da Gallup, Oxford Wellbeing Research Centre e iUN Sustainable Development Solution Network. Per la prima volta quest’anno lo studio è stato diversificato per fasce d’età (under 30, quelli tra i 30 e i 44 anni, quelli tra i 45 e i 59 anni e gli over 60), per valutare in maniera più specifica il grado di felicità delle diverse generazioni. L’analisi è stata condotta sul triennio 2021-2023, ricavando una media tendenziale su questo periodo. Con quali criteri? Il report si è basato sulle opinioni auto-valutative degli intervistati in merito al grado di soddisfazione della propria vita e su sei parametri: Pil pro capite, sostegno sociale, aspettativa di vita sana, libertà, generosità e percezione della corruzione. Per ciascuno di questi, le persone coinvolte nell’inchiesta hanno dato un giudizio da zero a 10, dove 10 rappresenta la miglior condizione possibile.
Tra i dati più sorprendenti ci sono quelli che riguardano Israele, impegnato in un conflitto bellico: secondo nel ranking dei giovani, quinto in quello generale.
Giovani israeliani sul podio
La classifica degli under 30 vede al secondo posto Israele, dopo la Lituania. Il report mostra che tra il 2021 e il 2023 la maggior parte dei giovani israeliani si è dichiarata più che soddisfatta del contesto in cui viveva. Nello specifico, è stato osservato che nel periodo post-pandemico il più alto livello di felicità per la fascia di ragazzi tra i 15 e 24 anni è stato registrato in Israele. Medaglia d’argento anche per quanto riguarda la fascia d’età successiva agli under 30. Posizioni inferiori, invece, per gli under 60 (7° posto) e per gli anziani (18° posto). Una media dei risultati relativi a tutte le età, infine, colloca lo Stato ebraico in quinta posizione a livello mondiale, dopo Svezia, Islanda, Danimarca e la capolista Finlandia. Si tratta di un piccolo passo indietro rispetto al 2023, quando lo Stato Ebraico si era aggiudicato il quarto posto, il punto più alto da quando viene stilato il ranking, cioè dal 2012.
Classifica della felicità per gli under 30 nel periodo 2021-2023 (primi 48 paesi)
Altri due criteri di valutazione presi in considerazione sono stati le emozioni negative e quelle positive provate dalle persone. La misurazione di entrambi i parametri si è basata sui seguenti indicatori: preoccupazione, tristezza e rabbia, da una parte; risate, divertimento e interesse, dall’altra. In merito alle emozioni negative, Israele è passato dalla 119° posizione alla 60° rispetto al report precedente. Nell’indice delle emozioni positive, invece, lo Stato Ebraico scende di nove posizioni, dalla 114° alla 123°. E su questi dati, è probabile che possa aver influito la mobilitazione militare su Gaza avviata dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu.
Una lente sui risultati
Come si spiegano questi piazzamenti di Israele alla luce del conflitto in atto nella Striscia di Gaza? Gli autori del rapporto hanno puntualizzato che l’indagine ha coinvolto il periodo successivo al 7 ottobre. Ma non ha riguardato gran parte degli sconvolgimenti dei mesi successivi. Oltre a ciò, è bene precisare che si tratta di una media triennale che si riferisce più alle caratteristiche del paese stesso, come la forza dell’economia e il senso di solidarietà collettiva, che alle sensazioni del momento. In quest’ottica si nota il fatto che Israele è un paese ricco, in cui le relazioni tra le persone si basano su legami comunitari forti, grazie ai quali il singolo cittadino può perseguire i propri obiettivi nella vita.
In particolare, secondo Anat Fanti, ricercatrice sulle politiche della felicità dell’Università Bar-Ilan, l’alto livello di soddisfazione dei cittadini israeliani è da ricondurre a una condizione generalmente positiva nel recente passato del paese. «La posizione di Israele al quinto posto nel rapporto sulla felicità denota la stabilità della soddisfazione di vita in Israele negli ultimi anni e non solo, ad esempio, durante il periodo del Covid. Che è stato traumatico in tutto il mondo. Tuttavia, è possibile vedere nella top ten della classifica globale della felicità più o meno gli stessi paesi ogni anno». A tal proposito, dal 2012 a oggi Israele non è mai sceso sotto il 14° posto nella classifica della felicità globale.
Felicità non è soddisfazione
Oltre alle ragioni presentate da Fanti, c’è un altro motivo per cui Israele occupi il quinto posto nella classifica dei paesi più felici del mondo, nonostante i dolorosi avvenimenti degli ultimi mesi. David Leiser, professore di Psicologia sociale al Netanya Academic College, ha dichiarato che il World Happiness Report abbia un nome sbagliato. Di fatto, il report non misura la felicità, che è un’emozione fugace, ma la soddisfazione che si prova quando si pensa alla propria vita. In questo senso, si può essere totalmente soddisfatti della propria vita anche se, in un certo frangente, non si prova felicità. Secondo il professore, infatti, «non si tratta del fatto che tu stia attraversando un momento difficile in questo momento, non è legato a quanto ti sentivi felice ieri o alle brutte esperienze che hai avuto».
Leiser ha poi aggiunto che dal 7 ottobre il grado di felicità nello Stato ebraico è più basso rispetto a prima. Il paese ha vissuto la festa di Purim di sabato 23 marzo in un clima profondo sconforto. È invece rimasta sostanzialmente invariata la consapevolezza di una vita piena e appagante nella maggior parte degli israeliani. Questo aspetto, come spiegato da Edith Zakai-Or, CEO del Maytiv Center for Positive Psychology, si lega al senso di appartenere a qualcosa di più grande presente nella popolazione. «Una delle cose che rendono le persone più felici in Israele è il collegamento al significato. E in Israele ci sono molte opportunità per connettersi a qualcosa che è più grande di te stesso. C’è molta ideologia da queste parti. Siamo qui per una ragione».
Una grande famiglia
La coscienza di essere parte di un’entità superiore è un fattore di appagamento per gli israeliani. E in questo la religione comune ha un ruolo. Gli studi dell’Ufficio centrale di statistica hanno infatti mostrato che in Israele c’è un rapporto tra la religiosità di una persona e il suo dirsi felice. Tuttavia, ha precisato Leiser, il punto non è il credo in Dio, ma è la consapevolezza di vivere in una comunità religiosa.
L’essere membro di un gruppo come quello ebraico consente ai cittadini israeliani di ricevere sostegno costante da amici e familiari in caso di necessità. «Molti israeliani hanno una famiglia molto più ampia della loro famiglia genetica perché creano amicizie che sono buone quanto quelle familiari e talvolta anche migliori. E questa è una parte importante della felicità», ha affermato Zakai-Or.