È il 21 novembre 1694: nasce François-Marie Arouet, conosciuto come Voltaire.
Voltaire riflette, con ironia e arguzia, l’ideologia illuminista. L’autore traccia lucidamente i confini, i limiti e la storia del suo tempo. Conservatore e borghese, considera la nobiltà tanto parassitaria quanto la borghesia giusta. In Lettere filosofiche esalta il libero mercato inglese, intravedendone solo le sfaccettature positive: in esso vede il progresso e la libertà, e non la mercificazione marxista. Nel Poème sur le désastre de Lisbonne, nega che possa esistere una benefica provvidenza, scontrandosi con la sua antitesi: Rousseau. Anche il “mito del buon selvaggio”, caro a Rousseau, è per Voltaire non plausibile: l’ uomo non è solo natura, ma storia, cultura, conoscenza. La natura è subordinata all’uomo ed è necessario che sia coadiuvata. Ed ecco che l’aiuto alla natura diviene modellamento: i rapporti si invertono, la benefica provvidenza si dissipa, l’uomo si rende potere con la ragione. È la ragione il lume, la guida, il fulcro di uomini, secondo Voltaire, destinati all’azione. Nel paese di Voltaire l’autore è il protagonista della sua epoca: razionale, ironico, borghese e profondamente illuminista.
Voltaire e “Les lettres philosophiques”
In Lettere filosofiche Voltaire compara la società inglese alla società francese, sottolineando la libertà della prima e satirizzando la seconda. Enfatizza eventi, sottopone al testo forzature, omette dettagli e scandalizza con un’ ironia persistente. Ha come obbiettivo il mostrare ciò che la Francia non è, in un parallelismo che funge da divulgazione. Il teatro è anch’esso tema di trattazione: Voltaire parla dell’irregolarità inglese. Shakespeare è sì un genio pieno di forza e di fecondità, ma è estraneo alle regole classiche, senza il minimo barlume di buon gusto. Tuttavia, l’estro inglese si manifesta in un modo e non può esprimersi in un altro: se gli inglesi forzano la loro scrittura in regole, perdono la forza loro insita, divenendo freddi. Nonostante la classicità francese mantenga il primato, l’autore nelle Lettres riconosce le differenze inglesi. Non forzando l’emulazione, ma permettendo l’esistenza di una diversità, non attacca lo “straniero”. E lo straniero è il fulcro della letteratura settecentesca, in un’epoca ove l’ idea stessa di diversità è progressivamente relativizzata. Voltaire, nel suo soggiorno in Inghilterra, è ed è a contatto con lo straniero.
Candide ou l’optimisme: la storia di un ingenuo
Voltaire scrive Candide ou l’optimisme, un piccolo libro tascabile, pubblicato per la prima volta nel 1759. L’opera ha come soggetto un giovane immerso in un mondo apparentemente fiabesco. Perché apparentemente? La fiaba è solo cornice di una tragicità comica. Candido, ragazzo ingenuo e inesperto, s’innamora di Cunegonda. Viene cacciato dal castello dove è cresciuto per il suo amore, ritrovandosi in un mondo che dovrebbe essere il migliore dei mondi possibili. Nelle disavventure che è costretto a vivere, cerca disperatamente di elaborare la filosofia che è stata per lui educazione. La storia, scherno del romanzo picaresco, delinea un personaggio disorientato. Tra guerra, violenza e sfruttamento Candido non riesce a concretizzare una filosofia sempre più astratta e distante. Anche Pangloss, il suo insegnante, da figura austera è figura derisa. L’ironia rende leggere le disavventure e il racconto ridicolizza la filosofia di Leibniz. Voltaire narra di un mondo crudele come se fosse una barzelletta.
Il “giardino” di Candido
Qual è la morale? Candido sperimenta tutte le peggiori sofferenze e cambia, ma a che scopo? A fine libro, il ragazzo, dice: bisogna coltivare il nostro giardino. La morale a prevaricare è la morale borghese, ove individualismo ed egoismo sono antidoti per una vita tranquilla. Il mondo è ingiusto, quindi è meglio pensare a sé stessi e ignorare lo stesso. L’uomo di Voltaire non è duplice, non è enigmatico, non è come l’uomo di Pascal: è comprensibile e dotato di ragione. La stessa ragione dev’essere voce di comportamenti che siano efficienti e misurati. L’uomo è nato per l’azione, non per l’ozio: il borghese è superiore al nobile. In una realtà scorretta, l’essere dediti al proprio giardino è l’ottica del piccolo borghese.
Voltaire e noi moderni
Nella contemporaneità l’individualismo è pregnante e promosso a valore. Il self made man è l’uomo a cui gli altri aspirano, in una gerarchia sociale prorompente. La lingua ne è riflesso, il linguaggio può facilitare l’ascesa sociale e chi usa la varietà standard trasmette un’alta idea di sé. La forma è interconnessa al messaggio e viceversa: la lingua è comportamento sociale e atto d’identità. L’economia linguistica studia il rapporto tra economia e lingua e Grin, noto economista svizzero, parte da una teoria del capitale umano, secondo cui un individuo avente determinate capacità è più produttivo che se non le avesse. Questo issioma porta a determinate conseguenze in termini di teoria economica: la lingua ha un valore economico e “commerciale”. Il sociologo Bourdieu introduce il concetto di mercato linguistico, ove ciascun parlante ha un suo “capitale linguistico”, costituito dalle diverse varietà di lingua. Ed ecco che tutto muta in commercio: per Marx è spia d’alienazione e per Voltaire in “Lettere filosofiche” è sinonimo di libertà. Il medesimo autore, attraverso Candido, parla di una morale borghese. Ma è giusto, in un mondo ingiusto, coltivare solo il nostro giardino?
È il 30 maggio 1778: muore François-Marie Arouet, conosciuto come Voltaire.