La questione venezuelana non nasce quattro mesi fa.
E’ infatti ancora il 1998 quando Hugo Chávez (ex militare, golpista fallito nel 1992 e presidente venezuelano fino al 2012, anno della sua morte) viene eletto Presidente del Venezuela. Le sue promesse, allora, erano dirette alla maggioranza povera del paese, in una realtà in cui i profitti derivanti dalle enormi risorse petrolifere erano invece drenati da pochi.
Meglio lasciare qui il buon vecchio oro nero, ci si tornerà dopo.
Chávez e Maduro
Negli anni in cui Chávez vince le elezioni del ’98, Nicolás Maduro è ancora solo un’autista della metropolitana di Caracas.
Prima distinguendosi come sindacalista e poi come uomo fidato, Maduro si avvicina a metà degli anni novanta proprio a Chávez e vi rimarrà accanto anche negli anni della presidenza tanto da meritarsi, dopo la morte di questi avvenuta nel 2013 a Cuba (dove il presidente era andato a ricevere cure per paura di rischiare ritorsioni e quindi la vita negli ospedali del suo stesso paese), la presidenza. Con regolari elezioni? No, ad interim con un decreto legge.
Hanno le radici qui, con un episodio controverso, le cronache degli ultimi tempi.
Sì perché al termine di questo periodo di vicariato, Nicolás Maduro si ricandida alle elezioni successive. Quello che accade è però poco chiaro: se il vincitore sembrerebbe essere, anche in maniera netta (si parla di 1 milione di voti in più), il candidato dell’opposizione Henrique Capriles, ad uscirne vincitore è ancora Maduro.
Non sorprende allora se sono ancora molti i dubbi e le discussioni su quel voto che, se non fossero sparite molteplici schede elettorali, avrebbe probabilmente dato un risultato diverso.
Democrazia che traballa
Dubbi a parte, ha inizio il secondo Governo Maduro (il primo da eletto). E’ in questo frangente che il socialista comincia a mostrare inclinazioni non esattamente democratiche. Ciò emerge in particolar modo dopo la sconfitta alle elezioni politiche (ma non presidenziali) del 2015: in questa tornata, che vede le opposizioni prendere il controllo dell’Assemblea Nazionale (il parlamento), con un ancora sconosciuto Juan Guaidó nominato Presidente della stessa, Maduro subisce una pesante sconfitta. Non mancheranno le ripercussioni: innanzitutto l’Assemblea viene privata del potere legislativo e dell’immunità parlamentare dei suoi membri. Ma non finisce qui: nello stesso periodo viene inoltre incarcerato (per un certo periodo si riteneva addirittura ucciso) Leopoldo López, forte oppositore di Maduro liberato solo negli ultimi giorni dai sostenitori di Guaidó.
E’ in questo clima tutt’altro che disteso che, alle elezioni presidenziali del 2018, l’opposizione guidata da Henri Falcón chiede un controllo internazionale sul corretto svolgimento delle stesse: possibilità negata, Maduro viene rieletto Presidente. L’opposizione, lamentando ancora una volta delle irregolarità, non riconosce l’esito delle votazioni: ha così inizio la attuale crisi presidenziale venezuelana del 2019.
Punti di vista costituzionali
E’ proprio in questo periodo che si incardina la rivendicazione di Juan Guaidó il quale ha cercato per vie legali supporto evidente e tangibile per contrastare Maduro.
L’ordinamento giuridico venezuelano sembra poter essere d’aiuto: l’articolo 233 della costituzione esplicita infatti come, nel caso in cui il presidente eletto non presti giuramento, prende il suo posto, fino a nuove elezioni, il Presidente del parlamento: Guaidó appunto.
Ma quindi Maduro non ha prestato giuramento? L’ha fatto, ma davanti al Tribunal Supremo de Justicia (TSJ), la Corte Suprema venezuelana, e non davanti all’Assemblea Nazionale, il parlamento, come vorrebbe la Costituzione. Non solo: lo stesso TSJ è stato sostituito nella maggioranza dei suoi componenti con fedelissimi di Maduro ed il tutto è avvenuto con evidenti irregolarità.
Antonio Ecarri, un esperto costituzionalista venezuelano, ha infatti dichiarato, interrogato sulla questione, che “la precedente Assemblea (di maggioranza chavista, prima del 2015. ndr) ha violato l’intero processo legale per la nomina dei giudici della Corte Suprema”. “La legge venezuelana”, ha continuato l’esperto, “stabilisce che la carica di magistrato è assegnata solo quando si soddisfano una serie di prerequisiti. Tra questi: essere stati professore universitario oltre che dottore in legge. La maggior parte di questi magistrati è stata eletta arbitrariamente e senza i requisiti, e al di fuori del periodo stabilito dalla legge”.
Quindi, per riassumere: Maduro dopo aver vinto le elezioni presidenziali del 2018, probabilmente viziate da gravi irregolarità, ha prestato giuramento non davanti al Parlamento (che da quando ne ha perso il controllo nel 2015, cerca di sostituire con un nuovo organo parallelo, l’Assemblea Nazionale Costituente) come vorrebbe la costituzione venezuelana (art. 231), ma davanti a una Corte Suprema, ormai sua fedele, eletta con grandi irregolarità e per questo sostanzialmente invalida.
Visti i presupposti, non si capisce proprio come mai sia contestata la sua presidenza.
Dietro a Guaidó, un deus ex-machina
Dopo ormai 4 mesi di crisi profonda, ancora non sfociata nella guerra civile, la situazione è instabile.
Le accuse arrivano da entrambe le parti: mentre Guaidò contesta la presidenza e la sua via verso la dittatura, Maduro denuncia il complotto statunitense che punterebbe a mettere alla guida del Venezuela un fantoccio che dia maggiori concessioni petrolifere. Bingo! Alla fine tutto si riduce al petrolio.
Come sempre però, la verità sta nel mezzo. Maduro sta già da tempo allargando i suoi poteri e le sua recente rielezione è certamente profondamente incostituzionale; Guaidó però, dal canto suo, si è fatto sì carico delle speranze (legittime) di un ritorno alla democrazia in Venezuela ma ci sono molte ombre a stelle e strisce sulla sua repentina ascesa.
Svelato l’inganno
La situazione negli ultimi giorni è precipitata. Dopo ormai più di due mesi di stallo in cui Guaidó deve aver avvertito la paura di perdere la spinta popolare e l’occasione storica capitategli, ha fatto un appello all’esercito a difendere la Costituzione. Tradotto: golpe.
Sono seguite ore concitate. Prima le milizie hanno occupato il Ministero dei trasporti, poi l’area militare mentre parte dell’esercito imbracciava le armi contro altri soldati restati fedeli al regime. In tutto ciò, si faceva strada l’indiscrezione di un Maduro pronto alla fuga verso Cuba. Sembrava certo: il giorno dopo si sarebbe portato a termine il colpo di Stato.
Eppure non è successo.
Le ragioni alla base di questo colpo di scena sarebbero (meglio usare il condizionale), molteplici: Maduro sarebbe stato fermato dalla Russia che gli avrebbe imposto di restare mentre gli USA cercavano di convincere i capi militari a passare dalla parte di Guaidó.
Squarciato il velo! In un breve ma intenso revival della guerra fredda il mondo ha assistito ancora una volta al dualismo russo-americano. E pace all’anima dei venezuelani e dei loro sogni di libertà.
Ad oggi, la situazione è ancora in rapida evoluzione seppure il golpe paia ormai scongiurato. Quello che resta è tuttavia un paese diviso, stanco e alla fame: alcuni giorni viene staccata la luce, altri giorni a rischiare è il sistema idrico. Cosa resta? Sicuramente dubbi sulla libertà di un’area geografica, quella sudamericana, che troppo spesso è apparsa scacchiere di altri e non padrona di sé stessa.