La storia di Vanessa Zappalà, la 26enne uccisa dal fidanzato a colpi di pistola, dovrebbe far riflettere tutti noi.
Una sconfitta per la giustizia, per lo Stato, il femminicidio della ragazza. Un’azione premeditata, studiata, preannunciata in quei messaggi insistenti, in quegli appostamenti sotto casa da parte di lui, e le chiamate-sfogo fatte dalla ragazza ai carabinieri.
“È solo geloso”
Una frase banale, che spesso tutte noi abbiamo detto nei confronti dei nostri partner. Tre parole che possono risultare molto pericolose.
Una breve sintesi
Ripercorriamo, brevemente, i fatti fin ad ora noti: Vanessa aveva denunciato nel maggio scorso il suo ex Antonino Sciuto per stalking. L’8 giugno, il 38enne viene arrestato, ma il 12 dello stesse mese il GIP della Procura di Catania Filippo Castronovo non convalida gli arresti e dispone soltanto il divieto di avvicinamento, affermando che si poteva “fare affidamento sullo spontaneo rispetto delle prescrizioni dell’indagato”. Inoltre, ha aggiunto, che tra i due c’era stata, a un certo punto, una rappacificazione.
Nel frattempo, tra Vanessa ed il Comandante dei Carabinieri di Trecastagni Corrado Macrì, si era creato un rapporto di fiducia, nel quale l’uomo cercava di aiutare la ragazza a non cedere alla paura dell’ex, dandole anche preziosi consigli.
Da quanto emerge, la linea con Macrì era diretta, l’uomo rispondeva sempre e a qualsiasi orario.
La ragazza teneva addirittura un taccuino dove segnava meticolosamente ogni avvicinamento dell’ex.
Perchè, allora, non si è potuta evitare questa tragedia?
Se fosse stato ai domiciliari?
Gli arresti domiciliari impongono il divieto di potersi allontanare dalla propria abitazione, da ogni luogo che costituisca privata dimora, da un luogo pubblico di cura o di assistenza o da una casa famiglia.
Per la legge si è in custodia cautelare ed il giudice può disporre vari altri divieti in base al caso.
Gli arresti domiciliari hanno durata variabile, da 3 mesi a 12, in base alla gravità della pena.
La legge prevede che il Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria possano controllare, anche di propria iniziativa, se l’imputato stia osservando le prescrizioni che sono state imposte dall’applicazione degli arresti domiciliari.
Per esempio, il giudice può stabilire dei mezzi elettronici o degli strumenti tecnici da utilizzare per effettuare i controlli, quali, per esempio, il braccialetto elettronico. Qualora l’imputato dovesse rifiutare di adottare tali mezzi, potrebbe allora essere sottoposto a custodia cautelare in carcere.
Quindi, se Antonino Sciuto fosse stato agli arresti domiciliari, la tragedia si sarebbe potuta evitare?
Non esiste un si o un no. Sarebbe comunque potuto evadere e mettere in atto il suo piano, soprattutto se sprovvisto dei suddetti mezzi elettronici di rintracciamento. Però, rispetto alla misura adottata dal GIP, forse sarebbe stata un po’ più efficace.
Prima di Vanessa, una lunga lista
Vanessa si aggiunge alla lunga lista di donne uccise da coloro che credevano di amare. Uccise per aver osato porre fine ad una relazione, oppure per voler essere libere di vivere.
Nel 2020, sono state 112 le donne vittime di femminicidio, una in più rispetto all’anno precedente. Tra queste, 55 uccise dal partner attuale, 13 dal partner precedente, 25 da un familiare, le restanti 5 da un’altra persona che conosceva.
Dati agghiaccianti.
Molti di questi delitti “passionali” sono l’emblema del declino del patriarcato. No, non sono raptus di follia, né gesti compiuti da mostri o da pazzi o da malati.
Li chiamano passionali, perché si presuppone che alla base ci sia l’amore. Ma un amore tossico, che vede nell’altro un oggetto da possedere, un corpo svuotato di umanità. Di contro, quanto più la donna lotta per la sua indipendenza e per la sua libertà, tanto più l’uomo reagisce in modo violento, cercando di sopraffarla.
Picchiandola, minacciandola, controllandola, uccidendola.
L’identikit dell’uomo violento non esiste. Può essere colto, un figlio di una buona famiglia, oppure povero ed ignorante. La paura di perdere il potere può rendere chiunque aggressivo, volgare, un mostro.
Può capitare a ogni donna
Può capitare a tutte: quando il tuo fidanzato viene lasciato può diventare geloso e possessivo. Dapprima lo vedi piangere, quasi implorare una riappacificazione. Poi, ti avvicini, mossa quasi a compassione dalle sue lacrime. E la trappola ha inizio.
Il giorno dopo, ti chiama, ti manda messaggi e se non rispondi contatta i tuoi familiari, i tuoi amici. Non contento, viene a casa tua, a suonare al campanello, a vedere se ci sei. Magari prova anche ad aspettare un tuo ritorno. E intanto, urla, insulti, minacce di togliersi la vita.
Gradualmente, quella libertà che avevi assaggiato ponendo fine alla vostra relazione tossica, si trasforma in una prigione sempre più stretta. Lui sa dove vai, ti segue, ti riempie di notifiche, cerca in tutti i modi un contatto, arrivando persino ad appostarsi ore sotto casa tua. Ti senti violata, in gabbia, quasi grata a svegliarti nel tuo letto viva.
In questo contesto, è facile forzare una “riappacificazione”, un “riavvicinamento” tra i due. Ma con che coraggio riusciamo a chiamarlo così?
Nel frattempo vai dalla Polizia, munita di screenshot e di registro chiamate, nonché foto in cui documenti i suoi appostamenti. Ma “sono solo parole” e “ancora non ha fatto niente di grave”.
Nel caso di Vanessa, un primo step di ascolto e di denuncia è stato messo in atto. Una piccola vittoria di Pirro per le donne, ma non basta a salvare vite.
Una resa alla violenza
Ora, guardate negli occhi una donna vittima di violenza, e ditele che denunciare può non cambiare le cose. Ditele che il suo carnefice non può esser incarcerato poiché occorrono elementi gravi per disporne l’arresto. Ditele che può denunciare, ma anche che spesso non verrà creduta. O, se verrà creduta, le autorità a stento disporranno delle sanzioni.
Allora, qual è l’opzione che le resta? Arrendersi alla violenza? Dopo anni di dibattiti, campagne antiviolenza, leggi dello Stato ad hoc.
Vanessa si sarebbe dovuta affidare ad un centro antiviolenza? Forse sì, ma la sua colpa è stata credere nello Stato. Eppure, se dall’altra parte non vi è una conoscenza approfondita di questi fenomeni, saremo sempre impreparati ad affrontare questi casi.
Vanessa poteva esser salvata? Forse sì, se il giudice non avesse messo in libertà sulla fiducia il suo aguzzino.
Le leggi sono fondamentali, ancora migliorabili, dobbiamo investire enormemente nella formazione di magistrati, forze dell’ordine, ma se non sradichiamo quel pensiero di sopraffazione, le donne continueranno a essere in pericolo.
Valeria Valente, presidente della commissione sul femminicidio del Senato