Uno, nessuno e centomila, pubblicato nell’anno 1925, è un noto scritto di Luigi Pirandello. Vitangelo Moscarda, il protagonista della vicenda, seguita la propria esistenza passivamente, come trascinato dall’esterno, su cui non esercita domande. Orfano di padre, è ereditario di una banca ove si limita a firmare gli atti in quanto sono Firbo e Quantorzo i veri operanti. Nella quieta coesistenza con il mondo, Vitangelo persiste fintanto che Dida, sua moglie, irrompe con una nota: gli dice che ha il naso pendente verso destra. L’innocua osservazione innesca la trama ed ecco che Vitangelo decostruisce il reale.
L’intervento di Dida e la rottura con il reale
L’intervento di Dida accende in lui una progressiva frammentazione di tutto ciò che conosce: Vitangelo scopre che è diverso nello sguardo di ciascuno. Lui, beato nella sua ignoranza, mai si era visto indosso quel naso storto tanto presente negli occhi di Dida.
Vitangelo, un estraneo dentro se stesso
Vitangelo comprende come per Dida lui sia il suo sciocco Gengè. Lei, nella sua inconsapevolezza, ama un altro in un altro e stringe a sé un marito a cui dà un valore che è per lei e non in sé. In un disorientamento angosciante, il protagonista si sente sprofondare. E qui, preso da una concitazione interiore, cerca di incontrare l’estraneo che abita nel suo corpo, colui che non può vedere vivere: il sé che non percepisce se stesso.
Libertà e pazzia
Vitangelo, nel proseguirsi del racconto, si perde in monologhi che sono dialoghi, in pensieri di sempre più lucida e delirante introspezione. E come fulmineo, in lui, subentra il desiderio di libertà. Vitangelo procede a una scomposizione dell’Io: l’obiettivo è capire e distruggere l’idea che di sé hanno gli altri. In un susseguirsi di atti che si distanziano dall’abituale e rassicurante normalità, Vitangelo dev’essersi impazzito: vuole chiudere la banca del padre e cimentarsi in atteggiamenti differenti. A questo riguardo, c’è un gesto particolarmente eclatante: quando Vitangelo, divertendosi a destabilizzare la folla, prima sfratta e poi dona la propria casa al povero Marco di Dio. Nel rendersi insieme usurajo e redentore, è prima accerchiato da rabbia e poi chiamato pazzo. Il protagonista, denudandosi di ogni convezione sociale, rende spose libertà e follia.
L’Io di Vitangelo in dialogo con l’Io contemporaneo
Uno, nessuno e centomila offre uno spunto di riflessione: quanto c’è dell’individuo nell’idea che si fanno gli altri? L’immagine social, nell’attualità, è imperante e volubile, possibile al cangiamento e dipendente dal giudizio esterno in quanto forma di validazione. Ervin Goffman, sociologo statunitense del Novecento, parla di interazione sociale quale interazione da palcoscenico: ogni sé interfaccia l’altro come fosse un attore. E Pirandello, nel suo scritto, riprende il concetto di maschera: ognuno è sublimato al ruolo sociale che deve interpretare. La soggettività dell’idea di ciascuno si accompagna alla presunzione dell’assoluta verità di ogni: Vitangelo, alla presa di consapevolezza, si destina alla pazzia.
Chi è, veramente, Vitangelo Moscarda?