Per quanto il titolo ricordi una famosissima saga fantasy che ha fatto sognare il mondo intero, questa è una storia che di magico non ha proprio nulla. Ogni società ha, purtroppo, i suoi “invisibili”: membri partecipanti e tuttavia inascoltati. Sono così numerosi che a volte ci si chiede come sia possibile ignorarli, eppure così accade… i giovani ne sono un esempio.
Da un anno a questa parte
È passato quasi un anno dall’inizio della pandemia, un’emergenza che ha stravolto i nostri stili di vita e ha imposto a ciascun cittadino di riconoscersi come tale, dovendo agire nell’interesse personale e collettivo.
Non è stato affatto semplice: siamo arrivati a Natale provati, psicologicamente stanchi e, per l’ennesima volta, incerti su ciò che accadrà nei prossimi mesi.
Istruzione e Covid: una convivenza difficile
È innegabile la rilevanza delle ripercussioni economiche che questa emergenza ha causato e causerà, ma doveroso soffermarsi anche sul problema dell’istruzione, in particolare degli studenti universitari.
Essa, si sa, non è mai stata una priorità italiana (spendiamo il 3,6% del nostro PIL, contro una media europea del 5%) e, di fronte all’impossibilità di fare lezione in presenza, il ministero e le università hanno introdotto sistemi di DAD (didattica a distanza). Studenti e insegnanti, non senza parecchie difficoltà, hanno dovuto adattarsi a un nuovo modo di lavorare, perdendo la possibilità di relazione e compartecipazione attiva.
Ci consola, se non altro, il fatto che se ne parli: Conte, durante le sue conferenze stampa, e i telegiornali hanno sempre aggiornato i cittadini relativamente alle misure adottate.
Di chi non si parla
Di scuola, dunque, si parla, così come si parla anche e giustamente della disoccupazione in rapido aumento in tutto il Paese. Scuola e lavoro, lavoro e scuola.
Ma a chi ci riferiamo nel concreto? Chi rientra in queste categorie? Quando parliamo di scuola si intende una fascia della popolazione che va dai 6 ai 19 anni circa, mentre parlando di lavoratori si considera mediamente chi ha 25 anni o più.
C’è quindi un vuoto, un’assenza di considerazione nei confronti di tutti i giovani tra i 19 e i 25 anni, di chi studia all’università oppure lavora. Non che la cosa stupisca troppo, infatti oltre alla bassissima spesa per istruzione e ricerca, l’Italia è anche il terzo paese per disoccupazione giovanile in Europa con una percentuale del 31,4% (peggio di noi solo Grecia e Spagna).
Il 27 agosto scorso il giornalista Enrico Mentana ha pubblicato un post sul suo profilo Instagram scrivendo:
“Un altro aspetto, tra i più gravi: dallo scorso marzo si stanno trattando gli studenti universitari, che sono cittadini maggiorenni iscritti a pagamento in istituzioni garantite dallo Stato, come dei burattini. Sono stati sbattuti in fondo alla catena delle priorità, a rendere ancora più evidente il disinteresse del nostro paese per il futuro. E non si dica che non è così”.
Gli invisibili
Questo vuoto è ingiustificabile. La negligenza nei confronti di una così importante fascia della popolazione, come dice Mentana, non mostra altro che disinteresse per il futuro. È assenza di lungimiranza, predilezione per il “qui e adesso” e completa mancanza di solidarietà intergenerazionale.
Ciò che più rattrista è che questa situazione non abbia sorpreso nessuno: siamo così abituati all’insufficienza da non notarla nemmeno più. Nessuno ha parlato dei soldi spesi in affitti dagli studenti universitari fuori sede durante il primo lockdown, nonostante gli appartamenti fossero vuoti. Tutti si chiedono se la DAD sia efficace nella scuola dell’obbligo, ma nessuno si domanda lo stesso per l’istruzione superiore. Nessuno si è indignato per le rette annuali che, nonostante l’impossibilità di usufruire dei servizi, non sono state riequilibrate.
L’autonomia e l’autogoverno di cui le università godono in quanto enti pubblici, non possono motivare a cui stiamo assistendo.
Di fronte alle migliaia di universitari che proprio quest’anno si sono laureati e non hanno trovato lavoro, dovremmo dunque rivedere le nostre priorità. Di fronte ai giovani che si accontentavano di un impiego part-time poco remunerato e che si sono visti privati anche di esso, dovremmo farci molte domande o almeno riconoscere il problema.
Un paese che non considera, né tanto meno investe nei giovani, è un paese morto e noi siamo stanchi di essere ignorati.
Continuate a seguirci anche sulla nostra pagina Giovani Reporter.
Francesca Anigoni