venerdì, 20 Dicembre 2024

Unione Europea VS Cina. L’occidente compatto e le difficoltà per le aziende

E’ stata una settimana difficile sul fronte delle relazioni tra Cina e l’intero occidente, a partire dall’Unione Europea. Le acque hanno iniziato ad agitarsi lunedì 22 marzo, quando l’Unione Europea ha deciso di imporre delle sanzioni contro alcune personalità coinvolte nelle violazioni dei diritti umani della popolazione Uigura. Alla presa di posizione europea sono presto seguite quelle di altri alleati occidentali e la durissima risposta cinese. Una settimana ricca di eventi, ma andiamo con ordine.

Le sanzioni europee e il sostegno alleato

Le sanzioni approvate dall’Unione Europea si basano su un regolamento e una decisione approvate dal Consiglio dell’Unione Europea a dicembre dello scorso anno. E’ previsto il congelamento di tutti i fondi e risorse economiche dei soggetti (persone o enti/aziende) sanzionati.

Un punto importante da notare è che per sanzionare qualcuno è richiesta l’unanimità dei voti del Consiglio. Questo vuol dire che è stato necessario trovare l’accordo di tutti i 27 Stati Membri per poter colpire la Cina, una cosa certo non scontata considerando quanto certi paesi, come l’Ungheria, si sono avvicinati a Pechino negli ultimi anni.

Lunedì, dunque, i ministri degli esteri hanno raggiunto un accordo e il Consiglio ha comunicato che avrebbe imposto sanzioni per violazioni dei diritti umani a:

  • Repubblica Popolare Cinese
  • Corea del Nord
  • Libia
  • Russia
  • Sud Sudan
  • Eritrea
  • Myanmar

Nello specifico, le sanzioni contro alcune personalità cinesi sono state adottate per via del trattamento riservato agli Uiguri. Questa etnia è da anni vittima di detenzioni arbitrarie (non ci sono notizie certe, ma si parla di un milione di persone), durante le quali subiscono trattamenti degradanti, indottrinamenti e sorveglianza estrema.

Le sanzioni europee hanno colpito quattro funzionari della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese coinvolti nelle politiche dello Xinjiang e un ente pubblico cinese (Xinjiang Production and Construction Corps Public Security Bureau), accusato di gestire la detenzione.

Se la sanzione in sé potrebbe sembrare non troppo dura, dal punto di vista politico il messaggio è fortissimo. Per capirlo è sufficiente pensare al fatto che gli stati europei non applicavano sanzioni alla Cina dal 1989, anno delle proteste di piazza Tienanmen.

Il resto dell’Occidente

L’UE non è stata lasciata sola: Regno Unito, Stati Uniti e Canada hanno avviato altre sanzioni.

La scelta canadese ha anche un’altra origine, infatti lunedì è cominciato il processo a Michael Kovrig, ex-diplomatico canadese. Pochi giorni prima, invece, aveva avuto inizio quello a Michael Spavor, uomo d’affari, anch’esso canadese. I due cittadini sono stati arrestati dalle autorità cinesi con l’accusa di spionaggio nel 2018, poco dopo l’arresto in Canada, su richiesta statunitense, di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei e chief financial officer dell’azienda. Il Canada ha già ripetutamente espresso preoccupazione per l’opacità del sistema giudiziario cinese, dichiarando anche le prove utilizzate al processo non sono state rese note. Ancor più grave: a entrambe le udienze è stato vietato l’accesso a giornalisti e diplomatici, la giustificazione sarebbe la tutela di segreti nazionali.

La compattezza dimostrata dagli Stati occidentali è importante ed è un chiaro segnale del riavvicinamento tra il vecchio continente e gli Stati Uniti, dopo l’allontanamento nel periodo dell’amministrazione Trump.

La durissima risposta cinese

Non si è fatta attendere la risposta della potenza orientale, che, dopo poche ore, ha sanzionato a sua volta 10 persone e 4 entità europee.

Le persone colpite sono principalmente figure politiche: 5 europarlamentari e 3 parlamentari nazionali, uno belga, uno olandese e uno lituano. La cosa grave è che le sanzioni han colpito anche soggetti esterni alla politica, infatti sono rimasti coinvolti anche due ricercatori.

Anche per quanto riguarda le entità si è andati oltre alla politica. Oltre al comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell’UE e la sottocommissione per i diritti umani del Parlamento Europeo, a essere stati sanzionati ci sono anche l’ONG danese Alliance of Democracies Foundation e MERICS (Mercator Institute for China Studies), think tank tedesco tra i più importanti in Europa per gli studi sulla Cina.

Una risposta sproporzionata, nei numeri e nella gravità, e particolarmente preoccupante nel suo intento di colpire anche soggetti non politici. Queste ritorsioni, infatti, non fungono da monito solo per la politica europea, ma anche verso analisti, ricercatori e centri di studio. Il messaggio è abbastanza semplice: posizioni troppo dure verso la Cina saranno punite. E’ facile intuire quale grave danno possa essere il divieto di entrare nel paese che si studia.

Qui la risposta di Merics alle sanzioni e le accuse ricevute da Pechino.

Successivamente la Cina ha annunciato sanzioni anche contro 9 personalità inglesi e 4 enti, accusati, come gli altri, di diffondere menzogne riguardanti la Cina e le violazioni di diritti umani in Xinjiang. Una scelta aspramente criticata dal premier Boris Johnson.

Ritorsioni hanno colpito anche a Canada e Stati Uniti. La Cina ha espressamente chiarito che non metterà fine ai suoi avvertimenti finchè questa campagna sulla violazione di diritti umani Xinjiang continuerà.

Tutte le personalità sanzionate non potranno più entrare in Cina.

Non solo sanzioni

La Cina non si è limitata ad applicare delle sanzioni, ma ha dato inizio anche a una campagna retorica contro l’UE e gli Stati Uniti, accusandoli di ipocrisia. Negli organi di stampa di partito si parla di sanzioni ingiuste, ma soprattutto si sostiene che Unione Europea e Stati Uniti debbano (parafrasando) “farsi gli affari loro“. In particolare la campagna ha mirato a screditare l’autorità delle altre potenze mettendo in luce i loro problemi coi diritti umani, motivo per il quale, secondo la Cina, non dovrebbero giudicare la loro gestione, sia per lo Xinjiang, sia per Hong Kong.

Global Times, organo di stampa in lingua inglese del PCC, ha pubblicato una grafica sui “misfatti” europei sui diritti umani. Si trovano riferimenti a fatti ormai parte della storia (shoah, colonialismo) oppure a questioni più recenti, come la gestione della crisi migratoria.

A ciò si è anche aggiunta una narrazione che descrive un’Unione Europea debole e al totale servizio della politica statunitense. Angela Merkel ha indirettamente replicato che l’Unione, pur condividendo certi valori con gli USA, non si sovrappone completamente a questi: è un’entità autonoma coi propri interessi che devono riflettersi in una sua politica sulla Cina.

Anche gli Stati Uniti sono stati vittime di questa campagna: la Cina ha infatti rilasciato in settimana il report sulle violazioni dei diritti umani negli US nel 2020, riassunto in un’infografica del Global Times.

Oltre a tutto questo, ovviamente, la Cina continua a negare il problema, accusando chi punta il dito sulla situazione nello Xinjiang di mentire. Secondo i funzionari cinesi questa sarebbe solo una campagna per screditare la Cina, minarne lo sviluppo e destabilizzarla.

Solidarietà tra sanzionati

La Cina non è rimasta sola nella sua campagna contro per screditare le potenze occidentali e contro le sanzioni, vicino a loro la Russia di Vladimir Putin. I ministri degli esteri delle due potenze, Serghei Lavrov e Wang Yi, si sono incontrati in Cina all’indomani delle sanzioni e congiuntamente hanno definito le sanzioni europee illegittime. Secondo i due ministri la scelta di Europa e Stati Uniti replica delle alleanze e dei sistemi tipici della guerra fredda. Soprattutto l’obiettivo delle potenze occidentali non sarebbe davvero la tutela dei diritti umani, ma un tentativo di ristabilire e mantenere l’egemonia globale.

Le conseguenze

Ambasciatori e Italia

Il polverone sollevato di questa situazione ha fatto sì che diversi ambasciatori cinesi in Europa venissero convocati dai rispettivi paesi. Anche la Farnesina ha convocato quello in Italia, Li Junhua. Egli non è stato accolto dal ministro che pochi anni fa aveva firmato un memorandum of understanding per portare l’Italia nella BRI (Belt and Road Initiative), ma la viceministra Sereni. Il messaggio era chiaro e semplice: questa volta l’Italia si allinea agli altri paesi europei e non intende fare passi indietro sulla tutela dei diritti e delle libertà, criticando le sanzioni cinesi.

Accordi economici

Non ci è voluto molto perchè questo tumulto politico scatenasse ripercussioni extra-politiche. Non solo per i ricercatori colpiti dalle sanzioni, ma anche per l’economia.

In primis è a rischio l’approvazione dell’accordo sugli investimenti firmato a dicembre scorso da Unione Europea e Cina. L’accordo ancora necessita di essere approvato dal Parlamento Europeo, ma è molto probabile che ora il clima non sia propenso a un risultato positivo.

Per le aziende

Intanto diverse aziende si sono trovate schiacciate tra i due poli. Alcuni noti marchi occidentali, soprattutto H&M e Nike, hanno iniziato a esser vittime di una campagna di boicottaggio in Cina per la scelta di non utilizzare cotone proveniente dallo Xinjiang. H&M aveva annunciato questa scelta già l’anno scorso, ma la Lega della gioventù comunista e i media statali hanno ripreso il comunicato e l’hanno riportato in cima alle cronache cinesi proprio questa settimana.

La campagna di boicottaggio non vede solo la richiesta di non acquistare i loro prodotti, ma ha anche provocato la scomparsi di questi da diversi siti di e-commerce. Inoltre, molti influencer e star cinesi hanno chiuso i contratti con queste aziende e le hanno abbandonate.

Altre aziende coinvolte in questa dinamica: Burberry, Adidas, New Balance e Zara.

Si tratta di un danno potenzialmente enorme considerando le dimensioni del mercato cinese (un paese che conta quasi un miliardo e mezzo di persone).

Il rischio è che queste aziende si trovino costrette a scegliere tra Cina e Occidente, come in una sorta di guerra fredda in cui bisogna scegliere da quale parte stare. Se il futuro che aspetta queste aziende fosse questo, le ricadute sarebbero sentite pesantemente anche nei nostri mercati. L’unica speranza è che la diplomazia possa far il suo corso ed evitare che questa situazione degeneri totalmente.

Andrea Giulia Rossoni
Andrea Giulia Rossoni
Classe 1996, nata nella nebbiosa provincia novarese, laureata a Pavia in scienze politiche, Erasmus a Bamberg. Oggi studio a Torino Relazioni Internazionali, profilo China and Global Studies. Fin da bambina ho sempre la valigia pronta, qualcuno mi chiama vagabonda. Innamorata del sogno europeo, affascinata dall'Asia, ma curiosa di quello che succede in tutto il mondo.

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