Di Beppe Fenoglio è facile rimanere incantati, anche prima di leggere i suoi scritti.
Grandi scrittori ne avevano fin da subito apprezzato le indiscusse capacità. Italo Calvino, ad esempio, dopo la lettura del primo romanzo proposto agli editori Einaudi nel 50’- La paga del sabato – mostrò così tanto interesse da esprimere un commento coraggioso di apprezzamento:
“Ti dico subito quel che ne penso: mi sembra che tu abbia delle qualità fortissime; certo anche molti difetti, sei spesso trascurato nel linguaggio, tante piccole cose andrebbero corrette. […] Però sai centrare situazioni psicologiche particolarissime con una sicurezza che sembra davvero rara.”
Italo Calvino
Una settimana dopo Calvino scrisse a Vittorini:
“Caro Elio, ti mando il manoscritto de “La paga del sabato”, di un certo Beppe Fenoglio di Alba. […] Spero che ti piaccia e che vada bene per la tua collana, perché – benché non possa essere considerato un “neorealista” di stretta osservanza – non rifà il verso a nessuno e dice delle cose nuove.”
Italo Calvino
Conoscendo le premesse, allora, non si può far altro che cimentarsi nella lettura dei testi di questo grande autore, e il primo romanzo da cui iniziare questo percorso di scoperta è senz’altro “Una questione privata”.
A un lettore incuriosito si potrebbe descrivere come un romanzo di guerra e amore.
Due termini antitetici ma capaci di fondersi tra di loro e di portare alla luce un ampio spettro di sentimenti in conflitto. Chi si innamora va in battaglia. Travolto dall’eccitazione si arma di grinta e, con passione, si lascia trasportare da una ragione profonda, intima. Una questione privata.
La trama
Beppe Fenoglio, dipingendo un paesaggio collinare avvolto dalla nebbia, inserisce la figura di Milton. Giovane partigiano badogliano, si scontra con il ricordo dirompente del vecchio amore per Fulvia, che riemerge scorgendo la casa della giovane donna e parlando con la vecchia custode. Milton scopre che c’è la reale possibilità che Fulvia sia l’amante di un altro partigiano, Giorgio, il migliore amico del protagonista. Allora, ecco che da queste vicende parte una vera e propria Odissea, una ricerca frenetica volta a scoprire la verità, sulle note di una Somewhere Over the Rainbow struggente.
Le note della canzone vengono accostate a un paesaggio in continua evoluzione, che partecipa alla storia del protagonista. Piange con lui, soffre, si disgrega e perde lentamente pezzi.
Un gioco di equilibri
Beppe Fenoglio riesce a trovare armonia in quel groviglio di emozioni che Milton deve fronteggiare, dove amore, rabbia per il tradimento, preoccupazione e orrore per la guerra convivono e nessuno stato d’animo prevale sull’altro.
Un romanzo, quindi, che vive e si fonda su stabili equilibri, dove tutti i piani del racconto sono interconnessi tra di loro e nessuno prevale sull’altro: c’è la vicenda amorosa, c’è la guerra civile, ci sono le vicende -non meno importanti- di altri personaggi, come i giovani partigiani Riccio e Bellini. E tutte queste storie sembrano essere tra loro collegate da un sottile filo rosso. Ogni personaggio, infatti, agisce e il peso delle sue azioni ricade sulla vita di un altro. Il segreto confidato dalla custode, per primo, permette lo sviluppo della trama e, quindi, la ricerca della verità da parte di Milton. Quello che qualcuno potrebbe considerare un episodio marginale che nulla ha a che fare con il tema della guerra, in realtà è intimamente connesso al contesto: senza la guerra non avrebbe causato terribili conseguenze, sarebbe rimasto confinato e, in fine, anche dimenticato.
La guerra unisce
La tragedia della guerra lega saldamente ogni personaggio, ogni storia e ogni decisione. Condiziona la vita, l’amore e anche il suo ricordo. Quando ci si arrende alla violenza tutto crolla e si disgrega. Milton viene risucchiato dalla ferocia della guerra. Nonostante la fuga concitata verso la salvezza, le gambe gli cedono, crollano gli appoggi, la vista si fa appannata. Il paesaggio si fonde con il suo corpo, l’acqua del fiume lo trattiene, il fango gli avvinghia le caviglie.
Nella sua testa riecheggia un “Fulvia, a momenti mi ammazzi”, monito della responsabilità che lega questioni private e storicità.
Poi la terra diventa lontana, i ricordi vanno via e rimane la maledetta, sanguinosa e spietata realtà.