Il 9 gennaio ci ha salutato Zygmunt Bauman ma, se possibile, si è rafforzato il concetto di “società liquida”, lo smarrimento dell’uomo moderno al cospetto di un mondo plurale, organizzato in categorie mutevoli e sfuggenti.
Come reagisce il novello Odisseo ad un quadro così indecifrabile e burrascoso? Laddove i confini sfumano e le strutture sociali si compongono e decompongono rapidamente, il cinismo vince facile sulla razionalità. E il problema sorge nel momento in cui realizziamo che la nostra epoca sia rimasta prigioniera di un unico polo, proprio quello del cinismo, che si è tradotto in ironia o, nella sua forma più becera, in sarcasmo. Qui ci accorre in aiuto l’etimologia: sarkasmòs è detto di colui “che dilania le carni” ed ecco che il sarcasmo, apparentemente innocuo, rivela il proprio esercizio di violenza.
Oggi è possibile mettere in ridicolo qualunque cosa e lo si fa con gusto, chi ragiona o dubita è sospetto. Ma non scopro nulla di nuovo: il compianto David Foster Wallace, più di vent’anni fa nel suo E Unibus Pluram, aveva predetto questa distorsione dell’ironia: “chiunque abbia la sfacciataggine di chiedere all’ironista che cosa sostiene veramente finisce per sembrare una persona isterica o pedante. In questo consiste l’oppressione dell’ironia istituzionalizzata, di una rivolta che, oserei dire, sia troppo riuscita: la capacità di interdire la domanda senza occuparsi del suo oggetto“.
A vent’anni di distanza la situazione, se possibile, è peggiorata: questo “modello dittatoriale della delegittimazione” è stato affinato politicamente (Berlusconi, Trump?) e sdoganato moralmente, fino a diventare una sorta di riflesso incondizionato. Ogni cosa può essere liquidata con il riso e ciascuno si arroga il diritto di poter esprimere il proprio rancore sotto la maschera della risata caustica. E se lo facciamo è perché ci troviamo qualcosa di piuttosto appagante: non c’è alcuna difesa contro il sarcasmo, che io reagisca con una battuta o cercando di argomentare il mio interlocutore può continuare a denigrarmi.
Ed è qui che subentra l’errore più imperdonabile: ritenere il sarcasmo un’arma efficace contro le storture del sistema o gli abusi di potere. Ci parla di nuovo Foster Wallace: “Una volta evidenziati i problemi, che vogliamo fare? A quanto pare solo continuare a mettere in ridicolo la realtà“. Viviamo in tempi poveri di ideali e colmi di rabbia sociale, oscilliamo tra una certa povertà intellettuale e uno smarrimento in un mondo pluralistico: se continuiamo a considerare il dialogo razionale come qualcosa di noioso e inutile, allora moriremo tutti prendendoci in giro.
Alessandro Laloni