Una maledetta primavera, quella del 2020, e le sue conseguenze raccontate da una delle penne più lucide e ironiche del giornalismo nazionale. “Neoitaliani. Un manifesto” è la nuova opera di Beppe Severgnini, che racconta il post-lockdown del paese.
Uno sguardo sull’Italia di marzo
“E’ una storia che conosciamo, ma è bene ricordarla”. Con questa semplice frase prende avvio “Neoitaliani. Un manifesto”, l’ultimo scritto di Giuseppe Severgnini, in arte Beppe. Accademico, opinionista e saggista di lungo corso, egli è anche e soprattutto un grande giornalista. Lo suggeriscono, tra gli altri, i suoi prestigiosi incarichi come vicedirettore del Corriere della Sera e come opinion writer per il New York Times. Meticoloso osservatore degli italiani nel mondo, si dimostra da sempre un grande conoscitore del loro modo di pensare, che analizza all’interno delle sue opere. Tra queste spicca indubbiamente “La testa degli italiani” (2005), tradotto in 15 lingue e conosciuto in tutto il mondo. Questo lavoro è diventato una specie di carta d’identità ideale per chiunque intenda approcciarsi agli abitanti del Bel Paese. Quel che è accaduto nei primi mesi del 2020, tuttavia, ha portato ad un necessario aggiornamento della materia.
In questo suo ultimo elaborato, di recentissima pubblicazione per la casa editrice Rizzoli, l’autore cremasco non si allontana dal suo abituale modus scribendi. Una descrizione inusuale ed ironica, con l’obiettivo di evidenziare cosa noi italiani stiamo diventando e siamo diventati all’indomani di quel fatidico lunedì 9 marzo 2020. L’inizio di quella che Severgnini definisce “una stranissima primavera”, un lockdown durato mesi che nel suo pensiero è divenuto causa e radice di cambiamento. Una trasformazione è dunque avvenuta. La pandemia, secondo quanto affermato nelle prime pagine dello scritto, ha agito come una “macchina della verità”. Sulle nostre coscienze, sulla nostra socialità, sulle nostre abitudini, sul modo in cui ci possiamo ancora considerare “italiani”.
50 motivi, una pluralità di situazioni
Tutte le 210 scorrevoli pagine ruotano attorno ad una fondamentale domanda: esistono ancora motivi per essere italiani alla fine di questo annus horribilis? La risposta di Severgnini, all’indomani del lockdown, parrebbe indubbiamente affermativa, forse ancora più di quanto lo fosse prima della crisi. Non a caso il libro si struttura e frammenta in 50 capitoli o meglio, come li chiama l’autore, “50 motivi per essere italiani”. Un manifesto, come indicato nel titolo, verso un futuro incerto, ma sul quale si possono costruire delle basi. Il sintomo di una rivoluzione, di una trasformazione radicale, secondo quanto evidenziato in uno dei passi più significativi del saggio.
“Dalla bufera siamo usciti diversi. Peggiori o migliori? Direi: non siamo andati indietro. A modo nostro, siamo andati avanti. Siamo stati costretti a trovare dentro di noi risorse che non sapevamo di possedere.”
Nello scorrere delle parole, i grandi temi dell’attualità si fondono in maniera mirabile con alcune semplici storie di vita quotidiana. Si crea così un piccolo Zibaldone dei mesi terribili del lockdown, che Severgnini mette a disposizione del lettore. Scrivere del contagio, scrivere nel contagio è importante, così come hanno fatto tanti altri autori, presenti e passati. Come corollario alla condizione nazionale vi è il confronto con gli altri stati. In particolare con gli USA (la critica alla gestione di Trump è spietata e anche un po’ di parte), la Gran Bretagna (qui l’analisi è un po’ meno spietata) e la Francia (l’esempio dei gilet gialli è emblematico del contesto oltre le Alpi). L’immenso caleidoscopio delle situazioni focalizzate rende ovviamente alcuni dei 50 motivi più importanti ed affascinanti di altri.
Storie personali, storie di un paese
Per fare un esempio si potrebbe citare il motivo numero 3: Perchè sappiamo essere seri, ma lo ammettiamo malvolentieri. Anche se è vero, infatti, che i due aggettivi più abusati all’estero nei confronti di noi italiani sono da sempre “socievoli” e “indisciplinati” e che, come nota l’autore, “noi italiani pensiamo sia un insulto alla nostra intelligenza osservare una norma senza prima metterla in discussione”, è anche giusto osservare la resilienza con cui ognuno ha saputo affrontare questa situazione. La storia di Francesco, bidello del liceo classico “Racchetti” di Crema, è emblematica di come ciò che è giusto e sbagliato siano categorie ben presenti nella testa dei nostri connazionali. Ancora più dopo un lockdown che, come nota Severgnini, “ci ha messo con le spalle al muro. Una posizione nella quale noi italiani diamo tradizionalmente il meglio”.
Usando una citazione proveniente da Dino Buzzati l’autore rende il lettore consapevole che in quel sabato di ordinaria follia, in quel 7 marzo 2020 di attesa delle decisioni del governo, “qualcosa era successo”. Il movimento centrifugo di persone e treni ha dato il via a qualcosa di inarrestabile, nessuno sapeva a cosa avrebbe portato questa svolta. Pur consapevole del vuoto prodotto dal fuggi-fuggi generale, tuttavia, l’autore focalizza come nel silenzio di questi terribili mesi “anche le città vuote producono rumori interessanti” (motivo 40) e come la nostra società visiva, tattile e olfattiva abbia in qualche modo ricevuto un forte stimolo da questa esperienza.
Milano, DaD e laboratori
Un pensiero particolare da parte di Severgnini va al lockdown di Milano, la città simbolo della regione più duramente provata da questi mesi. Perchè essa è una città euforica, sempre sulla spinta dell’entusiasmo (non sempre positivo si intenda, il quinquennio post-Expo 2015-2020 avrebbe comunque necessitato a breve di uno stop e di un riordino delle idee). Le parole di Luciano Bianciardi e, ancora una volta, di Dino Buzzati ricordano come Milano sia “politica e sensuale” (motivo 20). Certo, molti errori sono stati commessi e non vengono negati, primo tra tutti il gigantesco caos legato ad una struttura sanitaria troppo debole. Tuttavia se ancora oggi 160mila persone da tutta Italia vanno a curarsi in Lombardia qualcosa vorrà pur dire.
I disagi sono stati indubbiamente tanti nel corso del lockdown e l’ironia di Severgnini non manca di sottolinearli con estrema lucidità. Esempio principe una battuta quasi nascosta su una D.A.D. (Didattica a Distanza) che avrebbe probabilmente dovuto cambiare il suo acronimo in M.U.M. (Mamme Ufficialmente Malmesse). La scuola è stata indubbiamente uno dei grandi errori di questi mesi. Rimane tuttavia da evidenziare il contributo di una generazione di figli che vede un futuro, e che ogni tanto è in grado di spiegarlo ai suoi padri.
Una generazione che, tuttavia, non dovrebbe essere più indotta a lasciare la propria patria, perchè i 500mila cervelli italiani che in questo momento mettono a frutto le loro potenzialità all’estero sarebbero certamente molto utili in un frangente così critico. E qui la semplicità e l’ironia dell’autore emergono ancora una volta, dal momento che, per quanto all’estero si venga a volte derisi per le nostre particolarità, resta il fatto che in tutti i laboratori del mondo tre cose non vengono mai a mancare: un computer, una pianta verde e un italiano.
Paese unito
All’interno dei 50 motivi per essere neoitaliani dopo il lockdown il richiamo all’unità nazionale è trattato da Severgnini di sfuggita. Il motivo, tuttavia, non è che questa unità sia considerata secondaria, ma proprio il fatto che il Nord e il Sud bisticciano come una vecchia coppia (motivo 17) contribuisce a rendere particolare questo paese. Anche in questo caso gli aspetti da migliorare non vengono trascurati, ed una critica neppure troppo sottile al potentato di alcuni governatori sia del settentrione (Zaia) che del meridione (De Luca) è facilmente riconoscibile tra le righe.
Il cambiamento che ha portato questa stranissima primavera, insomma, non sarà facile da portare avanti, nè tantomeno da capire. Certamente un occhio esterno al nostro piccolo mondo italico potrà stupirsi di come agiamo e di come pensiamo. Ma questa persona non deve confondersi nè preoccuparsi poichè, come nota l’autore in modo lapidario “gli osservatori stranieri guardano tutto questo e, non sorprendentemente, sono confusi. Cerchiamo di essere comprensivi, diciamo loro: l’Italia è un esame difficile. Spesso non lo superiamo neanche noi”
[mc4wp_form id=”8119″]