venerdì, 20 Dicembre 2024

Tra inquietudine e innovazione. Pascoli, il poeta del ‘900

Troppo spesso ritenuto un poeta da antologia scolastica, Giovanni Pascoli è in realtà uno dei primi artefici della rivoluzione linguistica e letteraria del XX secolo. Il suo simbolismo, visionario e onirico, pervade la parola e la arricchisce di significati molteplici e sinestetici.

Le Avanguardie tra i giovani

Se si volesse proporre un rapido sondaggio ad alcuni dei ragazzi che stanno frequentando l’ultimo anno di scuola superiore e si chiedesse loro cosa pensano della letteratura del 1900, la risposta unanime probabilmente sarebbe: difficile, innovativa e visionaria. Il secolo che precede il nostro, infatti, è stato sicuramente un periodo di innovazioni tecnologiche e sociali, ma anche letterarie. I canoni del lessico, della morfologia e della sintassi, fino a quel momento rispettati alla lettera dall’epoca del monolinguismo petrarchesco nel 1300, si sono aperti alle forme più disparate e particolari. La rivoluzione delle avanguardie, culminata nel manifesto futurista, ha spianato la strada alla liberta dell’arte spontanea. L’artista, fino a quel momento emarginato, è stato esaltato finalmente come figura cardine della società.

Se si volesse poi chiedere allo stesso gruppo di ragazzi quale poeta sia per loro il precursore di questa transizione letteraria, la risposta molto probabilmente sarebbe: Gabriele d’Annunzio. L’uomo dell’eccesso al di là delle convenzioni politiche, sociali, storiche ma anche e soprattutto letterarie. Questa analisi, tuttavia, rispecchierebbe un tipo di verità solo parziale. Se da una parte infatti l’esaltatore del superominismo e della gloria mitica è una faccia luminosa di questa medaglia, dall’altro lato non bisogna dimenticare di sottolineare il valore uguale e contrario del suo rovescio. Il riferimento va ovviamente alla celebrazione innovativa delle realtà umili, che trova il suo cantore in un altrettanto umile professore universitario di Bologna.

Pascoli poeta
L’automobile fu uno dei simboli più famosi della rivoluzione futurista

Un genio trascurato o incompreso?

La fisionomia biografica e letteraria di Giovanni Pascoli per molto tempo si è imposta in ambiente scolastico come quella dell’uomo comune perfettamente incarnato e del poeta “delle piccole cose”. Il valore della famiglia, la vita dell’umile lavoratore di campagna ed il dolore delle esperienze personali, in poche parole la sfera del cotidianum. Tutte queste realtà sarebbero state portate ad un “livello zero” da Pascoli tramite il filtro dello sguardo innocente del “fanciullino“. Una dimensione di poesia che trae la sua denominazione da un saggio dell’autore, uscito nel 1897 sulla rivista “Il Marzocco. L’ingenuo stupore e la limpida meraviglia dell’uomo della creazione, tuttavia, hanno fatto sì che venisse dimenticato l’aspetto più nascosto e affascinante di questo artista.

Un aspetto che certamente deriva dalla vicenda familiare di questo grande studioso e letterato. Privato del padre e della madre all’età di 12 anni, egli visse un rapporto morboso con le sorelle. Il nido familiare che sta al centro di ogni cosa, il rifugio sicuro al riparo dalle disgrazie della vita e della storia che probabilmente ha costituito l’immagine di un poeta isolato e superficiale. Questi elementi avrebbero convinto la maggior parte di coloro che raramente si accostano alla sua poesia a considerare questa superficialità come fondativa del suo pensiero.

Pascoli poeta
Il poeta Giovanni Pascoli (scuola.it)

Il fatto che questo sentire sia ampiamente diffuso tra chi si sia accostato a queste raccolte poetiche induce comunque a pensare a Pascoli più come ad un poeta incompreso che trascurato. Come afferma lui stesso, infatti, solamente il poeta può andare oltre lo strato apparente della realtà ed esplorare i misteri dell’ignoto. Un indovino, un veggente a cui è stata donata una vista più acuta di quella degli uomini comuni.

Il mondo dei sogni

Esiste infatti un altro Pascoli, un poeta visionario, tormentato e inquieto che ha saputo incamerare la lezione del decadentismo di fine ‘800 e farla propria, superando così l’apparente fragilità della sua struttura psicologica. E proprio dal movimento decadente egli trae la sua straordinaria sensibilità nell’analizzare gli aspetti più profondi e inediti del reale. Un mistero che si nasconde oltre quello che può vedere l’occhio umano e che eleva ad una condizione superiore e lirica le cose apparentemente più umili. In questo sta il simbolismo del poeta Pascoli, nel nascondere appunto realtà ulteriori dietro una semplice parola, una semplice immagine. Ovvia conseguenza di ciò è il fatto che l’innovazione nello sguardo sia seguita da un’innovazione formale altrettanto imponente.

La logica e la gerarchia che hanno tenuto ordinatamente insieme il mondo fino alla fine del 1800 (il cui ultimo rigurgito si può ritrovare nella matrice del Positivismo) è frantumata. Dunque anche gli elementi testuali, come ad esempio la sintassi, meritano di essere frantumati. Una crisi del modulo che sarà sviluppata da tutta la letteratura del XX secolo, non solo da quella poetica ma anche da quella filosofica (le teorie di Bergson, Nietzsche), psicologica (l’analisi psichica di Freud) e scientifica (la teoria della relatività di Einstein). Il verso, frantumato come la sintassi, presenta un lessico su più livelli che supera finalmente la standardizzazione della lingua e crea un linguaggio evocativo, basato prevalentemente sull’analogia. Realtà lontanissime che vengono accostate in maniera allusiva, un’atmosfera quasi magica evocata anche attraverso particolari figure retoriche a livello sensoriale.

Pascoli poeta
Il lavoro del dottor Sigmund Frud fu fondamentale per la nascita della moderna psicanalisi

L’eco di un grido che fu

Questo modo di intendere la poesia da parte dell’autore si esprime soprattutto nel comunemente noto “fonosimbolismo”. Una tecnica che, a parere di chi scrive, trova la sua più compiuta realizzazione ne “L’assiuolo”. Tale componimento rappresenta una summa dei temi pascoliani, dal contatto con il mistero della natura all’ossessiva e angosciante presenza della morte in questo clima visionario. Probabilmente l’unico mistero che l’occhio veggente del poeta Pascoli non riuscì mai a disvelare compiutamente. Le strofe, infatti, costituiscono un rimando continuo al nemico invincibile dell’uomo, rappresentato qui in modo molto emblematico dal verso dell’uccello.

sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù…

La seconda strofa de “L’assiuolo” di Giovanni Pascoli, pubblicato nel 1891 all’interno della raccolta “Myricae

Quel chiu è la realizzazione più compiuta del fonosimbolismo pascoliano, della destrutturazione delle logiche e della realtà positivista del 1800. Il linguaggio del poeta si sottrae alla comunicazione di tipo abituale, andando ad indagare l’intimo degli oggetti nelle loro valenze più misteriose e affascinanti. Un messaggio allusivo e simbolico che tuttavia non appare artefatto, ma testimone della ricerca di una poesia pura e spontanea. Quel grido nella notte spalanca davvero una porta. Non solo all’ignoto della morte, alla visione e al sogno ma anche ad un nuovo tipo di poesia, ad un nuovo tipo di secolo.

Dal vivere inimitabile al poetare inimitabile

Il poeta Pascoli è davvero, dunque, il primo avventuriero della letteratura del Novecento. La perdita della conoscenza e della consistenza oggettiva apre una serie infinita di possibilità. Un cambiamento dinamico tra l’illusione e la realtà, tra sogno e realizzazione in cui vi è una fusione assoluta tra l’io lirico e il mondo esterno, tra il soggetto e l’oggetto.

Così come il contemporaneo d’Annunzio aveva messo al centro della sua personale rivoluzione un “vivere inimitabile“, anche il poeta di San Mauro in Romagna evoca una realtà poetica inimitabile. Connessioni profonde nella realtà, che solo un fanciullino può comprendere, un sognatore con uno sguardo sul futuro. Ma anche un precursore di quello che questo futuro andrà a costituire. Non a caso Pascoli vive a cavallo tra due secoli totalmente diversi (nasce nel 1855 e muore nel 1912), andando a costituire un’ideale cerniera tra due epoche. Due modi differenti di vivere, due modi differenti di fare poesia.

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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