Se c’è un paese che si sta distinguendo per un’ottima gestione del Coronavirus, quello è Taiwan. Ieri, lunedì 27 Aprile, si è registrato il 14° giorno consecutivo senza nuovi contagi sull’isola di Formosa, come riporta il Central Epidemic Command Centre.
Come Taipei sta affrontando l’emergenza?
Nella Repubblica di Cina i casi totali di coronavirus sono stati 429, su circa sessantamila persone testate. La maggior parte delle positività accertate erano casi “importati” e pochissimi domestici. Fortunatamente anche il numero di morti è decisamente contenuto, con soli 6 decessi, i dati sono disponibili sempre aggiornati sul sito del Taiwan Centers for Disease Control.
Sembra che sull’isola sapessero bene come muoversi fin da subito, la tempestività stessa della risposta sicuramente ha giocato un ruolo chiave. A differenza di molti paesi occidentali, Taipei può far tesoro della memoria dell’epidemia di SARS nel 2003, che portò alla morte di più di 70 persone.
Segnati da questa esperienza, a Taiwan hanno creato il Central Epidemic Command Centre (CECC), reso operativo già il 20 Gennaio. Alla cui guida c’è l’attuale ministro della Salute, Chen Shih-chung. Il CECC ha l’autorità per monitorare la diffusione del virus e coordinare la risposta. Fin dal primo caso sospetto ha dato il via ad una ampia serie di attività per il evitare l’espansione della pandemia: sorveglianza, tracciamento dei casi sospetti, controllo dei passeggeri su aerei in arrivo, isolamento di casi sospetti e l’esecuzione di un ampio numero di test. Oltre a tutto questo, il governo taiwanese ha potuto contare sull’aiuto del Vice Presidente Chen Chien-jen, noto epidemiologo.
Anche mezzi innovativi
Nella battaglia all’epidemia la Repubblica di Cina ha deciso di avvalersi anche di mezzi innovativi. Sono, infatti, stati sfruttati i Big Data per poter monitorare meglio i contagi e fare una mappatura di essi.
L’isola di Formosa non è riuscita a difendersi solo dal virus, ma anche dalla campagna di fake-news e disinformazione, spesso provenienti dalla Cina continentale. Questo ha permesso che i cittadini mantenessero la calma, pur adottando un comportamento responsabile e lo stesso è accaduto per l’economia. Mantenendo la calma e la stabilità il tessuto economico ha subito un contraccolpo meno duro che in molti altri paesi.
Tutta questa serie di azioni e risposte ad ampio raggio, non unicamente sanitarie, ha fatto sì che per i cittadini non fossero imposte lunghe e dure restrizioni. Il successo taiwanese colpisce ancor di più se si considera che il suo governo è escluso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dunque dal suo flusso di informazioni.
La polemica intorno all’OMS
Il fatto che sia proprio “l’altra Cina” a eccellere ha aperto molti dibattiti. Prima di tutto la questione delle sua partecipazione all’OMS e la gestione della pandemia da parte dello stessa organizzazione. Essa è stata accusata di essere troppo filo-cinese e per questo motivo aver commesso gravi errori gestionali.
Il principale finanziatore dell’OMS è Pechino e ovviamente questo gli garantisce una certa influenza sulle decisioni finali. Proprio grazie a questo potere può garantirsi l’esclusione di Taiwan non solo come membro, ma anche come semplice uditore. Allo scoppio della pandemia, questa situazione è tornata al centro dell’attenzione.
A Taipei fu permesso di partecipare come osservatore ai lavoti dell’assemblea nell’OMS per un breve periodo. A partire dal 2009, grazie a un accordo con Pechino; al 2016, in seguito all’elezione della presidente Tsai Ing-wen, poi confermata nel 2020 . Questa scelta non incontrò il favore della Cina continentale, perché la nuova leader è considerata troppo filo-indipendentista.
Sull’esclusione di Taiwan dai lavori c’è stato anche un episodio abbastanza imbarazzante per la leadership dell’OMS. In una conferenza stampa, di fronte a domande dirette di una giornalista, si mostra in chiara difficoltà. Il risultato è che decide in maniera forse un po’ goffa di aggirare il problema e non dare una risposta chiara.
Come ormai è noto, Taiwan avvisò l’OMS della preoccupazione per l’insorgere di un nuovo virus nella città di Wuhan addirittura il 31 Dicembre 2019. L’OMS, però, non diede mai risposta a quella mail. Taiwan, però, non fiducioso delle notizie provenienti dal governo comunista decise di alzare la guardia, da cui la risposta tempestiva che abbiamo visto.
Gli USA contro l’OMS
Appellandosi ai possibili errori dell’organizzazione, Trump ha deciso di tagliare i fondi americani per essa. In effetti le critiche rivolte all’OMS negli Stati Uniti sono state piuttosto dure, con gravi accuse di aver favorito il dilagare della pandemia.
L’OMS può non essere perfetta, ma è meglio migliorarla che affossarla del tutto. Il motivo è abbastanza semplice e sotto gli occhi di tutti. La coordinazione e cooperazione internazionale che c’è e c’è stata durante questa pandemia la si deve al ruolo dell’OMS. Essa si pone anche come veicolo per lo scambio di informazioni, le quali sono un bene preziosissimo in questa emergenza.
La scelta del Presidente degli USA è discutibile anche perché sembra presa senza essersi posti un quesito fondamentale: chi occuperà lo spazio lasciato dagli americani? Se la principale potenza mondiale fa marcia indietro, qualcuno accorrerà a prendere il suo posto e non è detto che questo qualcuno possa essere meglio. È lecito attendersi che il principale candidato sarà la Repubblica Popolare Cinese, perché interessata a rafforzare la propria posizione nel sistema internazionale e migliorare la propria immagine.
La partita diplomatica di Taiwan
Anche Taiwan, come la Cina continentale, sta cercando di usare la pandemia per rafforzare la propria posizione e ottenere vittorie diplomatiche.
I problemi e le battaglie politiche legate al virus non si sono fatte attendere.
Il primo problema è arrivato quando paesi , come l’Italia, hanno bloccato i voli in arrivo dalla Cina. Il problema nasce dal fatto che si è deciso di includere nel blocco i voli provenienti dall’isola di Formosa, considerandola parte integrante della Repubblica Popolare Cinese. La scelta ha inevitabilmente provocato malumori nel governo di Taipei. Ciò è bastato a far rimuovere le restrizioni da altri paesi come il Vietnam, ma non dall’Italia.
La diplomazia delle mascherine
Dall’inizio dell’emergenza sanitaria, alcuni Stati hanno iniziato a inviare ad altri ingenti quantitativi di dispositivi di protezione individuale (DPI). In particolare, si è parlato di quelli provenienti da una Cina continentale, che si avvicinava al superamento della fase critica, ai paesi europei. In alcuni casi queste transazioni sono state presentate come donazioni, anche quando si trattava di semplici acquisti. La Repubblica Popolare Cinese è, quindi, diventata famosa per la sua “diplomazia delle mascherine”. Con tale nome si intende l’operazione promossa da Pechino per cercare di ricostruire la propria immagine tramite l’invio di questo bene necessario, ma scarseggiante, come putroppo sappiamo.
In realtà Pechino non è l’unica ad aver avviato una politica simile. È noto che gli aiuti umanitari portano con sè anche fini politici, non necessariamente malevoli. Allora abbiamo visto medici muoversi da tutto il mondo: dalla Russia, sempre interessata ad aver presa sui vicini di casa europei; o dall’Albania, proprio nei giorni in cui si discuteva la possibilità di avviare i negoziati per il loro accesso all’UE.
Non da meno è stata Taipei. Vedendo che ormai si era riusciti a tenere sotto controllo la pandemia e evitare isterismi di massa, Taipei ha potuto pensare anche all’occasione che aveva davanti. Presentarsi come attore responsabile, benevolo e indipendente in questo momento, può essere un modo per perseguire il fine ultimo di essere riconosciti come Stato indipendente. Fattore legato strettamente all’opportunità di far parte di organizzazioni internazionali e agenzie Onu, come l’OMS.
Sull’isola di Formosa era stato avviato un “razionamento” delle mascherine. C’erano per tutti gli abitanti, ma ognuno aveva diritto a una quota. Oggi i cittadini di Taiwan possono lasciare parte della loro quota in donazioni internazionali.
Le dimostrazioni di forza e il supporto esterno
Mentre il covid-19 miete vittime in tutto il mondo, i rapporti tra i due lati dello stretto di Formosa non migliorano. Pechino in questi mesi non si è tirato indietro dal dare dimostrazioni di forza tramite esercitazioni notturne e avvicinamenti di mezzi militari, aerei o navali, all’isola. La risposta di Taipei non è tardata: è stato messo in chiaro che se il Partito Comunista CInese intende approfittare del momento per intraprendere azioni militari e deteriorare i rapporti ragionali, magari arrivando a un conflitto, Taiwan non si farà trovare impreparato,
In questo non manca il supporto Usa. Questi, oltre ad alimentare pesantemente la polemica contro l’OMS, hanno apertamente aumentato il sostegno a Taipei. Il 4 Marzo la Camera dei Rappresentati degli Stati Uniti ha approvato il Taiwan Allies International Protection and Enhancement Initiative (TAIPEI). Secondo questo atto, Washington garantirà l’appoggio a Taipei per stringere alleanze nel mondo. Inoltre, si impegna a sostenere la sua partecipazione come mebro o come osservatore nelle organizzazioni internazionali.
Taiwan proiettato nel mondo
La battaglia alla pandemia sull’isola è stata affrontata egregiamente, ma, mentre il mondo è ancora distratto, le tensioni e le questioni politiche intorno allo stretto non si dileguano. Ora che il pericolo, il momento più grave, sembra essere lasciato alle spalle, si cerca di trarne vantaggi o almeno difendersi da nuovi possibili attacchi.
Come abbiamo visto, Taiwan ha tutto l’interesse a promuoversi nel mondo, in un sistema internazionale dove è riconosciuto da appena 15 paesi. Taipei spera di potersi prendere più spazi e più partecipazione nella vita internazionale, anche nelle organizzazioni. Al contrario, Pechino vuole affossare questa volontà.
Allora, la presidentessa Tsai promuove e sponsorizza il suo Paese nel mondo. Non solo con relazioni economiche o la diplomazia delle mascherine, ma anche parlando apertamente al mondo con una lettera in inglese pubblicata sul Time. Una lettera che richiama al passato e alla resistenza del suo Paese e fa sfoggio del successo alla lotta al nemico globale: il coronavirus. In particolare ricordando la tempestività della risposta, in netto contrasto alle lentezze dell’OMS e di Pechino. Ci ricorda come sono riusciti a salvare anche l’economia, problema che in Europa fatichiamo ad afforntare, e che nel loro paese il bene più cercato degli ultimi mesi, le mascherine, non mancano.
In chiusura si trova il chiaro rimando e appello alla comunità internazionale e la volontà di esserne considerati parte, soprattutto visto il valore dimostrato in questa sfida. Tsai sceglie con cura le parole e ci dice “ciò che spero che Taiwan possa condividere con il mondo: la capacità umana di superare le sfide insieme è illimitata. Taiwan può aiutare”.