Il 24 maggio il presidente Joe Biden ha dichiarato, rispondendo ad una giornalista, che gli USA sarebbero pronti a intervenire militarmente in caso di attacco di Taiwan da parte della Cina.
«Non avete voluto immischiarvi nel conflitto ucraino per ovvie ragioni, ma sareste disponibili a essere coinvolti militarmente per difendere Taiwan, nel caso succedesse una cosa simile?»
«Sì, questo è l’impegno che abbiamo preso»
Da anni gli USA hanno adottato una politica ambigua rispetto a Taiwan; tuttavia, le dichiarazioni del Presidente rimarcano ciò che è da tempo evidente. In caso di attacco cinese, Washington interverrebbe in difesa di Taipei. Da qui la conclusione che, se in futuro le due superpotenze dovessero entrare in guerra tra loro, la causa scatenante sarebbe proprio l’isola di Taiwan.
“Se sarà guerra tra USA e Cina, allora sarà per Taiwan” afferma Dario Fabbri nel podcast “Stati di tensione”
Perché un paese da 23 milioni di abitanti ricopre un ruolo così cruciale all’interno dello scacchiere geopolitico?
Un po’ di storia di Taiwan
Dopo la colonizzazione portoghese e olandese, verso fine ‘600, l’Impero cinese prende il controllo di Formosa: un milione e mezzo di cinesi si trasferiscono sull’isola mescolandosi con gli aborigeni. Questa fase è decisiva per la narrativa della Repubblica popolare perché dimostrerebbe le origini storiche dell’appartenenza di Taiwan alla Cina.
La guerra sino-giapponese (1894-95) vede la sconfitta della Cina contro il Giappone: Taiwan diventa così una colonia giapponese e lo rimane fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, quando l’impero nipponico, tra i vinti, perde tutte le sue colonie.
Nel 1949 i maoisti vincono la guerra civile, costringendo i fuggiaschi nazionalisti a lasciare il paese. Questi, capeggiati da Chiang Kai-shek, trovano rifugio nell’isola di Taiwan, che riconoscono come la vera e unica Cina nazionalista.
Inizia il periodo del “terrore bianco”. La dittatura dei nazionalisti censura ogni forma di dissenso e reprime le minoranze dell’isola. Ciononostante, in ottica anticomunista, il governo di Taiwan viene riconosciuto dagli Stati Uniti come l’unico legittimo rappresentante della Cina. Nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU il seggio permanente è occupato dal governo dell’isola e non da quello della Repubblica popolare di terraferma. Da parte sua, la Cina considera Taiwan come una provincia ribelle che è necessario riannettere alla Repubblica.
Cambio di politica
Nel 1971, Taiwan viene rimossa dall’ONU. Si verifica una svolta della diplomazia statunitense nei confronti di Pechino. Gli Stati Uniti adottano la “politica di una sola Cina”, quella comunista, nella strategia antisovietica. Taiwan non viene più riconosciuto come paese sovrano. Tuttavia, questo “tradimento statunitense” è solo illusorio, poiché gli USA continuano a sostenere il paese sia sul piano industriale che militare.
Taiwan, nonostante sia isolato diplomaticamente, entra in una fase di sviluppo politico ed economico. Viene avviato un processo di democratizzazione che passa anche attraverso un cambiamento ideologico dalla parte di Taipei. Il paese valorizza quei geni aborigeni che per secoli aveva rinnegato, pensandosi come diverso da Pechino.
Perché la Cina vuole Taiwan
- Posizione geografica: Taiwan si trova a 140 km dalla costa cinese e forma una sorta di barriera naturale fra la terraferma e l’Oceano Pacifico. Per la sua posizione strategica, prendere l’isola significherebbe per la Cina aumentare notevolmente la sua influenza nella zona. Il paese è inoltre la ventiduesima economia mondiale.
- Motivi culturali e simbolici: Taiwan rappresenta una Cina alternativa, non comunista, che per la Repubblica popolare non può esistere. Inoltre, è il Paese più democratico di tutta l’Asia. L’Economist lo classifica come l’undicesimo paese più democratico del mondo (Italia 29novesima). Ne consegue che la caduta di Taipei in mano cinese sarebbe simbolo della vittoria dell’autoritarismo sulla democrazia.
Presente
Secondo quanto affermato da Xi Jinping, entro il 2049, centenario della rivoluzione, Taiwan deve rientrare nella Repubblica popolare. Ciononostante, a presente, l’obbiettivo di Pechino non è il conflitto: non avrebbe, infatti, la potenza militare necessaria per realizzare uno sbarco sull’isola. La strategia è piuttosto far sì che Taiwan ceda alle pressioni cinesi, evitando così lo scontro.
Ad oggi la popolazione taiwanese rivendica un’alterità culturale netta rispetto a Pechino e l’isola è ben armata grazie all’aiuto statunitense.
Il conflitto in Ucraina viene osservato dalla Cina come esempio. Dalle sanzioni verso la Russia che potrebbero esser applicate alla Repubblica popolare in caso di conflitto, fino alla resistenza del popolo ucraino che potrebbe essere seguito da quello taiwanese. Ma se per quanto riguarda Kiev gli Stati Uniti si stanno limitando a inviare armi, se dovesse ripetersi lo scenario dell’aggressione con Taiwan, l’isola sarebbe troppo importante per non intervenire. Fare il contrario significherebbe per gli USA abdicare a loro ruolo di superpotenza.