lunedì, 18 Novembre 2024

Stallo nella lotta alla violenza sulle donne: l’Ungheria boccia la Convenzione di Istanbul.

A inizio maggio, l’Ungheria di Viktor Orbán è tornata a far parlare di sè decidendo di non ratificare la Convenzione di Istanbul per la lotta alla violenza sulle donne. Solo poche settimane prima, il 30 Marzo, Orbán aveva attirato decise polemiche per essersi fatto attribuire dal Parlamento pieni poteri senza limiti di tempo.

Che cos’è la Convenzione di Istanbul?

Il suo nome è Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. La convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, e di prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica (come riporta il Consiglio d’Europa).

Questa è nota come Convenzione di Istanbul perché lì è stata firmata l’11 maggio 2011 da 12 paesi; essa è entrata in vigore solo nel 2014, al verificarsi delle condizioni richieste, ossia il raggiungimento di almeno 10 ratifiche di cui 8 di Stati Membri del Consiglio d’Europa.

Cos’è il Consiglio d’Europa?

La convenzione è un atto dell’Unione Europea? No. Il Consiglio d’Europa, seppur il nome possa trarre in inganno molti, è un’organizzazione internazionale distinta. Fu fondata nel 1949 e oggi conta ben 47 Stati membri. Tra i partecipanti ritroviamo anche i paesi dell’UE, ma anche altri Stati come la Russia o la Turchia; mentre alcuni stati non europei hanno ottenuto lo status di osservatori, per esempio Canada, Giappone, Israele o Kazakistan. Gli scopi di questa organizzazione consistono nella promozione e tutela dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto.

Nell’ambito del consiglio d’Europa, ha visto la luce la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nota come CEDU. Di far rispettare i diritti fondamentali sanciti da essa si occupa la corte europea dei diritti dell’uomo.

Cosa prevede la Convenzione di Istanbul?

La Convenzione è un testo composto di 81 articoli che affrontano il tema della violenza di genere con una veduta davvero a 360 gradi che si occupa di numerosi aspetti.

Prima di tutto definisce di cosa si sta parlando.

La Convenzione all’art. 3 definisce la violenza nei confronti delle donne come “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”. Questo passaggio è fondamentale perché qualifica la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani, ciò comporta una maggior gravità di questo atto e maggiore protezione per le vittime.

I diritti delle donne sono diritti umani
I diritti delle donne sono diritti umani

Prevenzione delle violenze e tutela delle vittime

Dopo le definizioni, la convenzione di Istanbul prevede che gli Stati stanzino risorse finanziarie adeguate a questa lotta e diano sostegno alle ONG che operano nel campo. Inoltre, impone agli Stati la creazione di almeno un organismo ufficiale che si occupi di attuare e monitorare le misure di contrasto alla violenza di genere e si occupi di raccogliere dati statistici sul fenomeno oggetto della convenzione.

Nel capitolo successivo la convenzione si occupa di un tema complicato, la prevenzione. Per questa gli Stati devono impegnarsi a creare campagne di sensibilizzazione e educazione, ma non basta.

L’articolo 16 si occupa di una questione fondamentale, ma spesso sottovalutata, ossia la necessità di istituire programmi per gli autori delle violenze, affinché non ripetano il loro comportamento violento.

Ovviamente la prevenzione non basta, serve anche la protezione e il sostegno alle vittime a 360 gradi. Anche qui il testo si dimostra innovativo, sottolineando l’importanza di un “approccio integrato” che considera il rapporto tra “vittime, autori, bambini e il contesto sociale”. È fondamentale che l’aiuto non sia vincolato alla volontà di avviare un processo o alla disponibilità a testimoniare. Il tipo di sostegno di cui una vittima ha bisogno spazia molti aspetti diversi: informazioni chiare e tempestive, consulenza legale, aiuto psicologico ed economico (con l’obiettivo di rendere le vittime autonome). Per questo viene richiesto agli Stati di creare linee telefoniche di sostegno, case rifugio e misure specifiche per la tutela dei minori testimoni.

La Convenzione di Istanbul prevede anche che gli Stati che la ratificano si impegnino ad adottare misure contro vari tipi di violenze: stupri, violenze psicologiche, stalking, matrimoni o aborti e sterilizzazioni forzati, molestie sessuali e mutilazioni genitali femminili.

Spesso gli autori o la società giustificano alcune violenze con scuse legate alle tradizioni, ma va chiarito che ciò non è accettabile. Senza pensare a culture lontane, è sufficiente ricordare il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Per evitarlo, la Convenzione di Istanbul in un articolo vieta la possibilità di giustificare le violenze con ragioni di usi e costumi o di “onore”.

Il meccanismo di controllo – GREVIO

La Convenzione di Istanbul prevede la creazione di un gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza sulle donne, GREVIO. È composto da 10 a 15 membri, scelti dal Comitato delle Parti, l’organo composto dagli Stati che ha ratificato la convenzione.

I membri del GREVIO hanno un mandato di quattro anni rinnovabile una sola volta e non devono esserci più cittadini di uno Stato. GREVIO raccoglie i dati statistici dei membri, monitora l’attuazione della Convenzione e può adottare delle raccomandazioni sulla sua applicazione.

A che punto siamo?

Ad oggi 12 paesi hanno firmato la Convenzione di Istanbul e 34 l’hanno ratificata. L’Italia ha firmato nel settembre 2012 e poi ratificato il testo il 10 settembre 2013. L’Unione Europea ha firmato nel 2017, ma stiamo ancora attendendo che il Consiglio proceda alla ratifica. Non è semplice perché ci sono ancora cinque Stati Membri (6 prima della Brexit) che non l’hanno ratificata. Per questo motivo il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione chiedendo che il Consiglio e tutti gli Stati membri procedano alla ratifica.

La bocciatura ungherese

Nel parlamento ungherese attualmente la maggioranza è detenuta da Fidesz, con 116 seggi su 199, il partito conservatore e cristiano del premier Orbán; sostenuto anche dal Partito Popolare Cristiano Democratico, con 17 seggi. Questo parlamento, che a marzo aveva dato i pieni poteri al premier, ha deciso di bocciare la ratifica della Convenzione di Istanbul. La ragione sarebbe che questa favorirebbe “l’ideologia gender” e le migrazioni illegali.

Il problema principale è il capitolo settimo della Convenzione sulle migrazioni e l’asilo. In questo si prevede che venga concesso un titolo di soggiorno autonomo alle vittime il cui status di residente dipendeva dal coniuge. Viene anche richiesto che in caso di vittime di matrimoni forzati, condotte in altri paesi per questo, possano acquisire nuovamente la residenza nel paese di origine. La prescrizione che genera più preoccupazioni nei conservatori ungheresi, però, è quella che riguarda l’asilo politico; infatti la convenzione prevede che questo debba essere concesso a vittime di violenze di genere. Un obbligo inaccettabile per il governo ungherese che negli ultimi anni si è distinto per una dura e ferma lotta all’immigrazione che ha portato all’innalzamento di muri sui confini.

La situazione della donna in Ungheria

È da notare che la situazione della donna in Ungheria già non era delle migliori. Nel Gender Equality Index, l’Ungheria ha un punteggio di 51.9 (indice del 2019, riferito a dati 2017), circa 15 punti al di sotto della media europea. Un punteggio che la pone in fondo alla classifica europea, insieme alla Grecia. Preoccupa anche che questo indice sia migliorato di soli due punti dal dato del 2005. Il settore che attualmente penalizza maggiormente il punteggio ungherese è la voce “potere”, dove realizza appena 20 punti. L’indice non considera i dati sulle violenze, ma se si osservano anche questi la situazione ungherese non migliora. Nel 2017, circa una donna ogni 100.000 in Ungheria è stata vittima di un omicidio intenzionale da parte del partner o di un famigliare.

Si consideri anche che, secondo le ricerche condotte dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, in Ungheria il 21% delle donne dopo i 15 anni hanno subito violenze fisiche e/o sessuali dal proprio partner, ma solo il 14% di queste si è rivolta alla polizia. Dati non rassicuranti, che spinsero l’Istituto a consigliare all’Ungheria di ratificare la Convenzione di Istanbul, insieme ad alcuni consigli per migliorare la raccolta dei dati e renderli disponibili.

La Convenzione di Istanbul in Bulgaria

In realtà il parlamento ungherese non è il primo ad opporsi alla Convenzione di Istanbul. Questa aveva già incontrato critiche simili nel 2018 in Bulgaria. Qui si era espressa la Corte Costituzionale, che ha dichiarato che la convenzione si scontrerebbe con alla costituzione bulgara perché rende meno chiara l’identificazione del genere. Il problema si concentra nella definizione che la Convenzione dà del termine “genere”, inteso come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini” (art.3). Come per il parlamento ungherese, il timore è che questo trattato, con questa definizione, potrebbe favorire “l’ideologia gender”.

Un futuro per la Convenzione di Istanbul e lo stop alla violenza sulle donne

La scelta ungherese ha incontrato non poche critiche, tra cui quella del direttore di Amnesty International Ungheria David Vig. Stando al suo commento la scelta sarebbe particolarmente pericolosa, anche perchè dall’inizio dell’emergenza coronavirus le violenze domestiche in Ungheria sarebbero raddoppiate.

In generale preoccupa che vi siano ancora tante lentezze nel ratificare e attuare la convenzione nei paesi dell’est dell’Unione Europea; infatti oltre ai due casi citati ancora mancano: Repubblica ceca, Lituania, Lettonia, Slovacchia, Lettonia e Slovacchia.

Il lockdown degli ultimi mesi ha messo in pericolo donne di tutto il mondo, non è stato un problema diffuso solo in Ungheria, ma non bisogna smettere di lottare. La Convenzione di Istanbul è stato un passo decisivo, una linea guida per gli Stati affinché possano creare l’ambiente necessario a garantire sicurezza e protezione alle vittime. Vista l’importanza e la qualità di questo testo possiamo augurarci che rimanga alta l’attenzione e la pressione sugli Stati affinché lo recepiscano.

In Italia esiste un numero anti-violenza e stalking, è gratuito e attivo 24 ore su 24 con operatori specializzati che possono fornire aiuto e consigli: 1522.

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Andrea Giulia Rossoni
Andrea Giulia Rossoni
Classe 1996, nata nella nebbiosa provincia novarese, laureata a Pavia in scienze politiche, Erasmus a Bamberg. Oggi studio a Torino Relazioni Internazionali, profilo China and Global Studies. Fin da bambina ho sempre la valigia pronta, qualcuno mi chiama vagabonda. Innamorata del sogno europeo, affascinata dall'Asia, ma curiosa di quello che succede in tutto il mondo.

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