giovedì, 21 Novembre 2024

Senilità e inettitudine: le malattie di Svevo nel XXI secolo

Quasi totalmente ignorato dalla critica, nel 1898 esce il secondo romanzo di Italo Svevo. Un capolavoro, come affermerà anche James Joyce, di analisi dell’uomo e delle sue “malattie” interiori, la senilità e l’inettitudine. Una narrazione a metà tra la psicanalisi freudiana ed il determinismo storico.

La trilogia dell’inetto

Al giorno d’oggi la parola senile è collegata principalmente ad una definizione di tipo anagrafico. Dal latino senex, essa indica il vecchio, l’anziano. Quello che la maggior parte delle persone ignora è che esiste una particolare accezione di questo termine. Un significato sfruttato e reso celebre da uno degli intellettuali più sottovalutati di inizio Novecento. Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo, è un autore difficile da inquadrare. Conosciuto soprattutto per il suo grande capolavoro, La coscienza di Zeno, egli è padre di altri due romanzi, fondamentali per capire il suo pensiero. Una vita e Senilità, insieme con il loro più noto fratello, contribuiscono a formare una trilogia inedita. Un ciclo incentrato su una delle figure più particolari della storia della letteratura mondiale: l’inetto.

Italo Svevo

L’inettitudine si configura come la grande malattia dei personaggi di Svevo, ma non solo. Una debolezza psicologica, un’insicurezza morbosa che rende l’eroe di inizio ‘900 “inadatto” a vivere la vita, ad affrontarla con pienezza. In questo clima l’inetto costruisce su di se delle maschere, come quella dell’intellettuale “contemplatore”, che in Senilità assumono tutti i connotati di un guscio protettivo, da cui il protagonista fatica ad uscire. La costruzione di un’esistenza cauta garantisce certamente una tranquillità interiore ed una sicurezza esteriore, al riparo dal rischio e dal pericolo. Tuttavia essa preclude anche il godimento dei piaceri e delle gioie della vita, mortificandola. In questo senso la senilità si configura come una sospensione della vita, dei suoi pericoli come dei suoi piaceri. Un limbo dantesco tra Inferno e Paradiso che prende tutti i connotati di una “vecchiaia dell’animo”.

Vicende esemplari

Proprio questo è lo sfondo in cui si trova a vivere Emilio Brentani, un impiegato in una società di assicurazioni che ha sede a Trieste. Un lavoro noioso e arido, che contribuisce a ingigantire il tedio dell’esistenza. Emilio vive la sua vita in modo nascosto, con eccessiva prudenza, affidato alle cure della sorella Amalia (una “madre dimentica di se stessa”) e coadiuvato dalla presenza dell’unico grande amico che lo supporta, lo scultore Stefano Balli (figura attraverso cui Svevo fa rivivere l’amico Umberto Veruda, famoso pittore di inizio ‘900). Balli viene rappresentato come il contraltare di Emilio: esperto dongiovanni, egli risponde alla crisi della vita in maniera apparentemente energica.

Italo Svevo (a destra) con l’amico Umberto Veruda (Casi quotidiani)

La vicenda presenta il momento di rottura di questa falsa condizione di equilibrio dei personaggi. Una svolta in cui il protagonista cerca di fuggire dalla sua esistenza insoddisfacente e mediocre tramite l’appagamento di un piacere fugace, rappresentato dal rapporto con la figura di donna Angiolina. Ovviamente questa esperienza di gioventù mai vissuta (il personaggio all’epoca dei fatti ha già compiuto 35 anni), conduce ben presto Emilio alla delusione amorosa e al ritorno a quell’aridità vitale che lo caratterizza. Egli, in conclusione del romanzo, torna a guardare a questo fugace momento di piacere nei panni di un vecchio che guarda alla sua gioventù e ai suoi momenti di festa e divertimento (non a caso il titolo originale del romanzo è Il carnevale di Emilio), prefigurando il trionfo delle grandi malattie umane, l’inettitudine e la senilità.

Le radici sociali della crisi

Per quanto riguarda entrambe le malattie, tuttavia, Ettore Schmitz non si limita a delineare un semplicistico ritratto psicologico dei suoi protagonisti. Inettitudine e senilità, infatti, hanno delle radici sociali che l’autore è in grado di analizzare assai acutamente. Emilio Brentani è un “diverso” della società borghese triestina dell’ottocento, una società che ha il culto dell’individuo dominatore, vitale ed energico (quello configurato nel superuomo di D’Annunzio ad esempio). In lui l’impotenza sociale derivante dalla sua condizione di declassazione diventa impotenza e immaturità psicologica, che nessuna maschera virile è in grado di nascondere. Lo stereotipo culturale che egli è costretto a vivere è qualcosa di irrealizzabile. Per questo motivo all’interno del romanzo Svevo formula anche una sottilissima critica alla società di massa di inizio ‘900, che travolge l’individuo tradizionale nel nome del progresso tecnologico.

Emilio è l’incarnazione perfetta di questa crisi, è “l’impotenza sociale” per eccellenza che si chiude nel vittimismo della sconfitta. In questo contesto la letteratura si configura come il filtro attraverso cui sovrascrivere la realtà. Rappresenta la maschera che proietta i luoghi comuni che costituiscono il pensiero del protagonista (concetto riscontrabile ad esempio nella figura di Angiolina, che richiama la donna angelicata di stampo stilnovista). Anche la cultura dunque, così come la società, si presenta in una prospettiva decisamente corrosiva e degradata.

L’indagine psicologica si inserisce entro un quadro sociale e culturale ben definito a livello storico, ovvero quello della crisi dell’intellettuale e ancora prima dell’individuo borghese. Ovviamente, per quanto concerne l’analisi dell’interiorità individuale, le radici più profonde dell’inettitudine e della senilità umana sono da ricercarsi nell’inconscio. In questo senso la concezione di Svevo è avvenieristica, se si pensa ad esempio che le prime pubblicazioni di Freud, da lui conosciuto e ammirato, sono di una decina d’anni successive.

2020-21, crisi dell’individuo

Questi concetti di inizio ‘900 sono forse adattabili alla nostra realtà contemporanea? Un breve ragionamento induce a rispondere in modo affermativo: la questione pandemica, infatti, si potrebbe configurare come il gradino finale di una nuova crisi dell’uomo in quanto tale. Una crisi iniziata nei primi anni del nuovo millennio e che ormai impregna tutti gli aspetti della società del XXI secolo. L’economia di questi ultimi vent’anni ha dimostrato l’inadeguatezza di certi sistemi di fronte alle nuove sfide globali e la politica ha seguito a ruota. Non è un caso che l’una tenda imprescindibilmente a dipendere dall’altra. In tutto questo negli ultimi due anni si è aggravata la crisi sociale, con una situazione di emergenza sanitaria che, oltre ai danni economici e all’alto numero di vittime, si sta sempre più configurando come logorante per l’animo umano.

I nuovi senili

Questa nuova difficoltà a rapportarsi con la realtà storica trova dei collegamenti con l’inettitudine e la senilità di Svevo. Lo si constata ormai tutti i giorni: l’individuo trova sempre più difficoltà a reinventarsi, a vedere nuove prospettive e si rinchiude in una sfera che dal campo semantico della vita trasla verso quello della sopravvivenza. Esempio cardine quello dei giovani, i nuovi senili dei giorni nostri. Si provi a chiedere ad un gruppo di essi quali strade vorrebbero intraprendere nella vita e quali sono le loro sensazioni a tal proposito. Nella maggior parte dei casi le risposte catalogate paleserebbero probabilmente (anche se per fortuna non ve ne è certezza) una situazione di difficoltà sempre maggiore nell’affrontare le sfide del domani. Una difficoltà che oltre ad essere materiale diventa sempre più di tipo motivazionale.

Così come accadde per Emilio Brentani, esponente di una generazione inadeguata per il nuovo secolo delle masse, anche l’individuo del 2020 rischia di assimilare a livello psicologico le inadeguatezze sociali date dal presente momento storico. Da quel momento in poi, il passo dall’inadeguatezza all’inettitudine e dall’inettitudine alla senilità è breve.

Una prospettiva? Una letteratura non stereotipata

La soluzione di questo difficile problema, però, potrebbe essere fornita dalla rilettura dello stesso Svevo, e nel rovesciamento della letteratura di Emilio Brentani. Se infatti nel romanzo dello scrittore italo-tedesco le forme letterarie servono al protagonista per mascherare la sua inettitudine e la sua senilità, nel 2021 esse possono fornire una chiave del superamento dell’inadeguatezza alla vita. La stessa letteratura sveviana, infatti, serve come ammonimento. Proprio l’autore, nella trilogia dell’inetto, interviene a commentare e a criticare le menzogne e le difficoltà del protagonista, manifestando al lettore una soluzione differente.

L’esempio letterario che Svevo rappresenta, dunque, può indurre per contrasto a fare affidamento sulla letteratura. Non come maschera, ma come lezione da apprendere per l’innalzamento dell’animo umano, un’idea dal sapore quasi petrarchesco. Attraverso la lettura della vicenda di Emilio Brentani può avvenire la catarsi del lettore del XXI secolo. In questo modo l’inettitudine e la senilità, malattie vecchie eppure così attuali, possono tornare ad essere solo finzione letteraria.

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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