Le storie sono fatte di nomi; ogni profumo, ricordo, emozione ha un nome. L’amore, l’odio, la gioia, il dolore si celano dietro un nome. Ogni cosa che ci circonda porta in sé la certezza di avere un’identità. Il nostro racconto è un racconto di nomi che si intrecciano, si scontrano, si ingarbugliano e si districano. Uno, che ne racchiude altri mille: Liliana.
Segre come il fiume: bambina
«È tornata Liliana Segre…». È tornata alla vita una bambina, strappata dall’innocenza e dal candore della gioventù, catapultata in un mondo senza nomi, ne volti, suffragato solo da numeri. Alla Sala Umberto di Roma il regista Antonio Tucci ricostruisce gli incubi di una tredicenne trascinata nell’oblio di corpi senz’anima. Lo fa con l’ausilio della sola e unica voce, di una lavagna e di un gessetto. Il regista, attraverso la voce di Alberta Cipriani, ci accompagna lungo tutto il viaggio della senatrice, dalla sua infanzia, passando per l’orrore dell’epoca nazista, sino ai giorni d’oggi. Tucci, con accurata maestria, ricostruisce pezzo dopo pezzo il grande puzzle di una bambina come tante altre, a cui piace mangiare la torta cucinata dalla nonna per gli ospiti, a cui piace giocare con il papà e che ama studiare nella sua scuola di Milano.
Segre come il fiume: senza nome
La senatrice, interpretata dalla Cipriani, si racconta con il sorriso ferito e con la corazza di chi porta con sé il peso di un’esperienza universale. Segre. Come il fiume è una pièce liberamente tratta da La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah di Enrico Mentana e Liliana Segre (Rizzoli, 2015) e Fino a quando la mia stella brillerà della stessa Segre con Daniela Palumbo (Piemme, 2018). Nel buio della sala emerge dolcemente, quasi con timidezza, una piccola luce che sembra rimbalzare su quella lastra nera. Quel gioco di ombre e disegni ricostruiscono il fantasma di quello che fu, dell’orrore dei giorni vissuti senza nome.
« […] Considerate se questa è una donna, / senza capelli e senza nome / senza più forza di ricordare / vuoti gli occhi e freddo il grembo / come una rada d’inverno».
Tutto merita di essere identificato per essere distinto nella moltitudine. Tutti hanno un’unica certezza: possedere un nome, diverso dal tuo, che è solo mio e rimarrà incollato alla mia anima fino alla fine dei giorni. Non tutti, però, ne possiedono il diritto. Non tutti hanno il diritto di essere ricordati con il loro nome.
Tu, ufficiale svizzero della caserma di Arzo.
Da Segre: come il fiume, regia di Antonio Tucci
Tu hai condannato a morte tre di noi.
Tu mi hai condannato al lager.
Tu hai emanato la sentenza poi eseguita dai nazisti.
Tu, nella mia storia, sei l’unico a non avere un nome.
Segre come il fiume: rinascita
Un nome: Segre, non come l’orrore dei giorni, non come il numero tatuato, ma come un fiume (che scorre tra la Francia e la Spagna). Quel fiume che fluisce dentro di noi è una testimonianza viva che non si placa se non con il silenzio. Quel nome, perduto e ritrovato è la vera rinascita. E la vera alba altro non è che la forza di raccontare, e raccontare e raccontare ancora quello che è stato. Non è con il silenzio che si dimentica il rumore della pioggia, il tormento delle nuvole e il trambusto dei tuoni; ma è saper riconoscere l’arcobaleno la vittoria più significativa. Tucci e Cipriani, nella loro pièce ricostruiscono le tenebre dell’oblio e la luce della rinascita di una bambina a cui piaceva mangiare la torta e giocare con il papà. Con straordinaria versatilità, Cipriani è uno, nessuno e centomila: una matassa di corpi e anime che si incastrano, plasmando il puzzle della vita di Liliana Segre. Il regista e l’attrice ricostruiscono, tramite l’ausilio del corpo, della voce e di pochi elementi scenici, la vita della senatrice tra crepuscoli, tramonti e albe.
SEGRE. COME IL FIUME
di Antonio G. Tucci
con Alberta Cipriani
scena Antonella Spelozzo/CHIEDISCENA
costume B-ATELIER Ortona
light designer Tea Primiterra
regia Antonio G. Tucci