venerdì, 20 Dicembre 2024

Scerbanenco e Bukowski: due figli del Novecento

C’è un sottile filo rosso, un sentiero nascosto, che lega la vita di Giorgio Scerbanenco a quella di Charles «Hank» Bukowski. Non è un nesso fisico, forse nemmeno letterario. È un vincolo culturale e umano.

Quando l’apparenza inganna

Ma cosa accomuna il padre del giallo italiano al più grande esponente del realismo sporco statunitense? Cosa annoda due vite vissute agli antipodi, come due rette parallele adagiate sul medesimo piano cartesiano? Nulla, all’apparenza. Perché la vita di un giovane operaio milanese non ha niente a che fare con quella di un precoce alcolista californiano.

Il loro stile, poi, è antitetico. Scerbanenco predilige le frasi lunghe, quasi infinite, ricche di sottolineature e di immagini evocative. «Hank», invece, ha un solo imperativo: la nitidezza. I periodi sono concisi, i dialoghi sono frequenti, il linguaggio è colloquiale, alle soglie del grossolano. Ma il risultato è lo stesso. Più si legge Scerbanenco, infatti, e più si fa il callo con i suoi lunghi periodi. La lettura inizia ad alleggerirsi e la comprensione diventa immediata. Come con Bukowski, si rimane incollati alla pagina.

Giorgio Scerbanenco, padre del giallo italiano

Due figli del Novecento

La scrittura non è l’unico elemento che accomuna i due scrittori. Sono contemporanei, vissuti nel Novecento. Sono figli di migranti. Entrambi forniscono uno spaccato crudo e amaro delle rispettive società di appartenenza. Scerbanenco racconta la Milano del boom economico e le sue trasformazioni. Tiene delle rubriche. E grazie alla fitta corrispondenza con i lettori entra in contatto con le angosce della gente comune: ne descrivere i disagi e ritrae le disuguaglianze socio-economiche.

La stessa cosa la fa Bukowski in America: rappresenta il dramma dell’uomo comune, costretto a svegliarsi alle 6:30 del mattino per andare a lavorare «in un posto dove fai un sacco di soldi per qualcun altro e ti viene chiesto di essere grato per l’opportunità di farlo». Su di lui hanno una forte influenza Kafka e Dostoevskij. L’ispirazione di «Hank», però, non viene dalla vita degli altri, ma dalla sua: trae linfa dalla propria quotidianità, dal rapporto morboso con l’alcol. Ma anche dalle frequenti esperienze sessuali e dai burrascosi legami con le persone.

C’è un sottile filo rosso, quindi, che lega Scerbanenco a Bukowski. Adesso è visibile, e non è poi così fragile. Sono scrittori senza tempo, le cui opere, purtroppo, sono sempre più attuali. Perché non è cambiato nulla dal Novecento a oggi: le disparità economiche e di genere esistono ancora, il razzismo non è mai scomparso. Ne sono stati vittima tutti e due gli scrittori, entrambi vessati per l’origine straniera.

Charles Bukowski, poeta e scrittore statunitense

L’artista e l’uomo

Charles Bukowski, tuttavia, è accusato di essersi trasformato da vittima in carnefice. La cancel culture lo condanna per il linguaggio volgare e denigratorio. Sbaglia, perché confonde Bukowski l’artista, che va letto e studiato, con Charles l’uomo, che invece va dimenticato. O meglio, cancellato, ma senza tralasciare un dettaglio: che «Hank», nella sua follia, è sempre stato equo e imparziale. Non ha mai fatto distinzioni e ha denigrato tutti: se stesso prima degli altri. Ha criticato persino il suo grande maestro, Ernest Hemingway, definito «troppo cupo, troppo serio, sempre in guerra totale con la vita senza mai lasciarsi andare».

Ci vuole coraggio per giudicare Hemingway, persino per un anticonformista come Bukowski: un abitante qualunque di Los Angeles, che ha preso la penna in mano perché voleva sfatare un tabù. Quello che vieta all’uomo di essere scapolo, antisociale e disinibito. Dunque, totalmente libero.

Luca Carrello
Luca Carrello
Aspirante giornalista, laureato in giurisprudenza all’Università degli Studi di Pavia. La mia passione: la politica. Adoro leggere (prediligo i grandi classici) e amo il mondo dello sport. Mi trovate spesso sui social.

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