Notizia scottante dell’ultima settimana è la scarcerazione dello studente Patrick Zaki. A seguito dell’ultima udienza, il tribunale ha deciso per la scarcerazione, subito precisando però che il ragazzo non è ancora considerato innocente. Nei telegiornali risuona l’eco della frase “Patrick scarcerato ma ancora sotto processo”. Ed è comprensibile come questa possa destare alcune perplessità nello scenario collettivo.
La carcerazione preventiva
Utile a questo fine potrebbe essere una piccola digressione. I 669 giorni trascorsi in carcere per Patrick non erano la pena da scontare per il reato commesso secondo l’autorità egiziana, ma si è trattato semplicemente della cosiddetta carcerazione preventiva, uno strumento del procedimento penale previsto anche nel nostro ordinamento.
I casi in cui la custodia cautelare può essere disposta, nel nostro ordinamento, sono espressamente previsti dalla legge. Non è possibile ricorrere a questa misura se non nei casi previsti e per rispondere a specifiche esigenze. Tra queste, assume una posizione rilevante quella della sicurezza. Infatti, è possibile ricorrere alla custodia in carcere laddove si ritenga che la persona colpevole possa continuare a commettere ulteriori reati, anch’essi considerati particolarmente gravi.
Tutta la rigidità che pregna l’utilizzo della custodia in carcere è giustificata dal fatto che la pena della detenzione, essendo quella più incisiva per i diritti fondamentali, dovrebbe seguire esclusivamente ad un processo in cui viene accertata la colpevolezza del soggetto.
I limiti e le garanzie dell’ordinamento italiano
Tutte queste limitazioni non riguardano solo ed esclusivamente la misura della carcerazione preventiva, ma investono l’intero processo, in particolare quello penale. Queste si basano tutte sull’articolo 111 della Costituzione che recepisce i cardini essenziali del Giusto Processo di derivazione comunitaria. L’articolo elenca una serie di principi e diritti che devono essere garantiti al soggetto nei cui confronti si sta svolgendo un processo o le indagini. Tale norma esiste affinché la giustizia possa essere amministrata in maniera idonea alla salvaguardia dei diritti fondamentali durante il processo. Il momento di accertamento processuale, infatti, rende i diritti fondamentali più vulnerabili e dunque bisognosi di tutela.
La tutela dei diritti
È proprio la violazione di tutti questi principi che ha fatto sorgere le numerose e legittime polemiche sulla illegalità della custodia carceraria di Patrick. Al di là della dubbia pericolosità del reato contestato e della ancor più dubbia colpevolezza, la sua custodia in carcere non è stata assistita da alcuna di queste garanzie.
L’ordinamento egiziano non ha una disposizione che garantisca il rispetto dei diritti come l’articolo 111 della nostra Costituzione. Tale disposizione è derivata proprio dalla sottoscrizione dell’Italia alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, una carta che oltre a sancire una serie di diritti prevede anche un organo giurisdizionale volto a garantirne l’effettivo riconoscimento da parte degli Stati contraenti.
La tragica vicenda dello studente Patrick rende sempre più evidente il fatto che e la tutela dei diritti fondamentali non può mai dirsi eccessiva. La previsione, la tutela e la garanzia di un numero sempre più alto di diritti non è mai sufficiente.