venerdì, 20 Dicembre 2024

Rivoluzione digitale: la musica, ieri e oggi

2003: Apple annuncia la nascita di iTunes Music Store. Steve Jobs, allora CEO di Apple, afferma che questo rivoluzionario negozio di musica online segnerà il superamento della tecnologia del CD  e darà alle persone la possibilità, mai avuta prima, di collezionare canzoni di diverso genere, autore, categoria, a seconda dei gusti dell’utente e di poterle ascoltare dovunque e illimitatamente. Ad esso seguiranno You Tube nel 2005, Spotify nel 2006 e numerose altre piattaforme negli anni successivi, che hanno segnato la rivoluzione digitale e permettono ad oggi alla musica in streaming e in formato mp3 di raggiungere altissime vette di popolarità. È inutile negare che l’avvento di queste piattaforme abbia completamente rinnovato il rapporto dell’uomo con la musica, mutandone le dinamiche e le emozioni dovute ad essa.

Voce ai veterani

Per capire la portata di questa rivoluzione musicale, bisogna ascoltare cosa ha da dire chi tra anni 80 e 90 era teenager o giovane adulto. Chi meglio di loro infatti può spiegarci cosa ha significato passare dal comprare cassette e CD , investendoci spazio e denaro, a ritrovarsi catapultato nel nuovo millennio con uno smartphone e milioni di brani da ascoltare come,dove e quando vuoi. Raccogliendo testimonianze e ricordi si scorge una malinconia di fondo, accompagnata però dalla consapevolezza di quanto sia pratica e rivoluzionaria questa nuova era digitale.

La prima cosa che emerge è appunto la concezione del tempo: una volta acquistare un vinile o un cd non era un’ operazione immediata e tantomeno una decisione da prendere con leggerezza: era necessario scegliere con accuratezza perché quei pochi brani  avrebbero accompagnato il compratore fino all’ acquisto successivo, che non sarebbe però avvenuto in tempi brevi.

Scoprire nuovi generi, inoltre, significava dedicare del tempo ad ascoltare la radio, a leggere riviste di musica, a passare ore in negozi di CD. Questo dava la possibilità alle persone di appassionarsi davvero ad un autore, una band, di fare proprio un brano e a volte persino uno stile di vita.

Così sono nate vere e proprie icone: Aretha Franklin, Freddie Mercury, Michael Jackson, Jimi Hendrix  e quanti altri ancora, che solo a pronunciarne il nome si identificava un modo di essere, di cantare, di pensare.

L’immagine di questi miti era inoltre alimentata dal fatto che non avessero la visibilità che hanno oggi le star. L’unica occasione che il pubblico aveva di vederli era attraverso copertine dei vinili,con clip musicali in televisione (ma solo dagli anni 80 in poi), o per i più fortunati andando direttamente ai concerti. Questo rendeva la musica qualcosa di profondamente concreto, resa tale sia dagli strumenti stessi con cui veniva ascoltata, sia dalla connessione che naturalmente veniva a crearsi tra un cantante o una band e colui che lo ascoltava.

Oggi, i protagonisti del panorama musicale hanno perso quel velo di mistero e fascino su cui un tempo ci si poteva costruire una carriera. D’altra parte,  Il fatto di avere la possibilità di vedere, quasi giornalmente, la loro vita quotidiana, ci permette di capire almeno in parte il processo creativo che sta dietro la persona e, di conseguenza, rende quel personaggio familiare e vicino a noi.

1985,Wembley Stadium: Freddie Mercurie manda in visibilio 70.000 persone (e tante altre via satellite) durante il Live Aid

Rivoluzione digitale ma anche di immagine

Un altro elemento incisivo e che segna queste due epoche è la concezione dell’immagine dell’artista: una volta lo stile dei cantanti poteva anche essere trasandato, stravagante e fuori dalle righe. Era spesso un ulteriore maniera di esprimere  concetti che già venivano raccontati in musica. Per intenderla all’italiana, basti pensare all’eccentricità di Renato Zero, o più internazionalmente agli indimenticabili look degli Abba, o a quello sobrio  ma scardinato di Patti Smith.

Oggi, sebbene il mondo dei cantati continui ad essere patria di eccentricità e personalità (Lady Gaga ad esempio) ci sono sempre più artisti che fanno dell’apparire una questione  puramente estetica e questo li ha resi più “belli da vedere” ma anche più standardizzati e a volte addirittura anonimi.

Renato Zero, anni ’80

Anche ottenere fama e fondi è diventato qualcosa di molto più accessibile: esistono realtà quali il crowfunding, programma di finanziamento per progetti musicali nascenti ( come spiega il social media manager e talent scout Carlo Alberto Biasioli in questa intervista). Basta poi accendere la tv per trovare show quali X Factor, The Voice, Amici e chi più ne ha più ne metta. Da non dimenticare che rivoluzione digitale significa anche avvento dei social network, che permettono a chiunque di guadagnare fama e apprezzamento e di farsi conoscere potenzialmente da tutto il mondo.

Questo porta a volte alla convinzione che “tutti possiamo essere cantanti”  e crea una matassa confusa di nuovi talenti oscurati da chi di talento magari ne ha meno ma è più bravo ad utilizzare i canali giusti e capire cosa piace ai più.

Un cambiamento necessario

Rivoluzione digitale a parte, l’obbiettivo non è quello di esaltare il concetto di musica degli ultimi anni del secolo scorso e di demonizzare quello del presente, ma semplicemente di sottolineare come in pochi decenni la visione e la concezione di questo grande e fondamentale mondo sia cambiato.

Cio che è certo è che oggi è tutto più facile. Le piattaforme digitali ci permettono di scoprire continuamente cose nuove, che magari non credevamo di poter apprezzare, di avere playlist calibrate sui nostri gusti e di poterle ascoltare dovunque e con qualsiasi mezzo. In questo senso la musica è diventata molto più immateriale e astratta e alla portata di tutti con il minimo sforzo. È  efficiente, veloce e innovativa, ma forse ha perso quel fascino che una volta la caratterizzava. Chissà se tra qualche decennio sarà il turno dei giovani di oggi di guardarsi indietro e pensare con malinconia ai Daily Mix e alle playlist personalizzate di Spotify.  

Ai posteri l’ardua sentenza.

Alessandra Sabbatini
Alessandra Sabbatini
Classe 1999. Bolognese di nascita ma cresciuta in un paesino della Bella Romagna. Amo tutto quello che mi permette di andare lontano con la mente: cinema, letteratura e soprattutto musica. Mi piacciono le gite fuori porta e i viaggi verso luoghi che lasciano a bocca aperta. L'Irlanda è il mio paese del cuore (però sono di parte, ho i capelli rossi)

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