Il Rapporto Annuale ISTAT 2022
L’8 luglio 2022 è stato reso pubblico il Rapporto Annuale ISTAT, presentato a Montecitorio con il Presidente Gian Carlo Blangiardo a relazionare. Il rapporto dell’istituto nazionale di statistica evidenzia come dati socioeconomici finora soltanto ipotizzati si dimostrino in realtà ben radicati nella realtà fattuale.
Il primo dato che l’ISTAT mostra è la frenata del PIL ad inizio 2022. Nonostante un’ottima ripresa nel 2021 (+6,6%), la congiuntura economica nazionale ed estera ha portato il nostro PIL allo stallo. L’aumento dell’inflazione causata dai mercati finanziari a partire dall’ottobre 2021, ed esacerbata poi dalla crisi bellica in Ucraina, ha raggiunto il dato record di +8,0%. Aumento dei prezzi che ha causato, conseguentemente, l’aumento dei costi di gas ed elettricità. Dato problematico, se si considera che l’Italia importa il 75% del proprio approvvigionamento energetico. E se le previsioni economiche internazionali per il 2022 e 2023 non sono rosee, quelle italiane non sono da meno.
Under-35: la generazione che paga le crisi
L’ISTAT ha iniziato a raccogliere dati sulla povertà in Italia a partire dal 2005. Da allora, 3 crisi economiche (ed una pandemica) hanno colpito l’Italia. Non siamo ancora usciti dalle ripercussioni della crisi dei mutui subprime, peggiorata dalla seguente crisi del debito sovrano del 2011. Nemmeno un decennio dopo, e l’economia mondiale subisce un altro colpo d’arresto a seguito della pandemia da Covid-19, della crisi della supply-chain, e della crisi delle materie prime, del settore IT e automotive.
Confrontando i dati della povertà, è evidente come le politiche del lavoro e di sostegno alle fasce più deboli della popolazione abbiano miseramente fallito. Dal 2005, le persone in condizioni di povertà assoluta sono passate da 1,9 milioni a 5,6 milioni, triplicandosi. Ma anche il dato suddiviso per fasce generazionali è sconcertante. Gli under-35 in condizioni di povertà sono passati dal coprire il 7,0% al 25,3% delle persone in povertà. E non poteva essere diversamente: come certifica l’ISTAT, l’aumento del lavoro precario (e più in generale del lavoro non-standard) ha giocato un impatto determinante su queste variazioni.
Il lavoro non salva più dalla povertà
“Il lavoro nobilita l’uomo” è un detto che viene apertamente sconfessato dai dati ISTAT. Come scritto precedentemente, le forme di lavoro non-standard sono diventate predominanti nel mercato del lavoro italiano, soprattutto tra i più giovani. Ma non è l’unico dato che l’ISTAT fornisce.
A fine 2021, il numero di lavoratori poveri è cresciuto ulteriormente. Oltre 4 milioni di lavoratori del settore privato, cioè 1 lavoratore su 3, hanno ricevuto uno stipendio lordo annuo inferiore a 12mila euro, ovvero 1000€ lordi al mese, da cui vanno poi sottratte tasse e contributi. Non solo: 1 lavoratore dipendente su 5 riceve meno di 780€ lordi al mese. Meno del valore massimale del Reddito di Cittadinanza: se questi lavoratori si licenziassero e richiedessero il RdC, con tutta probabilità avrebbero una situazione economica migliore rispetto a quella che hanno ora.
Il Reddito di Cittadinanza: unica ancora di salvezza?
Anche il Reddito di Cittadinanza ed il Reddito di Emergenza sono ovviamente oggetto dell’analisi del Rapporto Annuale ISTAT. Negli ultimi mesi, sostenuti dalle lobby imprenditoriali, molti tra partiti e politici si sono espressi in favore della cancellazione del RdC, o di una sua revisione in senso molto più restrittivo. La ragione, secondo gli abolizionisti, starebbe nel fatto che il RdC disincentiva le persone a lavorare (ipotesi dimostratasi falsa da anni di studi sullo UBI), e rende lo Stato un concorrente delle imprese sul mercato del lavoro.
Eppure, l’importo medio erogato alle famiglie percettrici del RdC è di 530€ mensili. 530€ che, ricordiamolo, non vengono erogati ai singoli membri, ma all’intera famiglia. Significa che le famiglie percettrici hanno, in media, 530€ al mese per pagarsi il cibo, l’affitto, le bollette, le medicine, i vestiti. Un importo che difficilmente sarebbe competitivo con uno stipendio, se l’imprenditoria italiana non usasse la svalutazione degli stipendi proprio come strumento di competitività sui mercati internazionali.
Un importo che, nonostante tutto, si è dimostrato utile nel combattere, per la prima volta dal 2005, l’aumento della povertà in Italia. Stando ai dati ISTAT, il RdC ed il REM hanno permesso alle famiglie italiane di non perdere potere d’acquisto. Non solo: l’analisi incrociata con i dati INPS hanno dimostrato che senza il RdC oltre un milione di persone si sarebbero aggiunte a quelle che vivono in povertà assoluta. Se questo non è successo, è solo grazie al RdC e al REM.
Quali possibili scenari futuri?
L’ultimo biennio ha dimostrato come l’Italia sia un Paese che fa pesare le proprie criticità sui più giovani e sulle persone già in difficoltà. Serve una rivoluzione copernicana se si vuole invertire la rotta, che ad oggi presagisce effetti sociali disastrosi nel giro di qualche decennio, a partire dalla crisi demografica in corso, anch’essa correlata all’evoluzione delle disparità economiche. Le soluzioni ci sono, e molti nostri partner europei le hanno già messe in campo.
In Spagna, ad esempio, la riforma del lavoro introdotta ad inizio 2022, sta già dando effetti notevoli. La stretta ai lavori precari, la prioritizzazione del lavoro a tempo indeterminato, gli investimenti statali in formazione e reintroduzione nel mercato del lavoro, hanno permesso un boom di stabilizzazioni e un crollo della disoccupazione.
Un altro esempio, utilizzato in quasi tutta Europa ma assente in Italia, è il salario minimo. Una materia delicata, perché rischia di compromettere il lavoro decennale fatto fin qui sui CCNL; d’altra parte, i CCNL stessi sono da anni fermi e oggetto di ostruzionismo da parte delle associazioni di categoria imprenditoriale. Ad esso, si può e si deve aggiungere un’analisi dei pro e contro dell’introduzione del già citato UBI, il reddito universale di base, attraverso l’estensione e superamento dei preesistenti RdC e REM.
Anche senza fare una lista omnicomprensiva di tutte le possibilità in campo, insomma, ci sarebbero innumerevole soluzioni per combattere diseguaglianze, povertà, precarietà. Manca, evidentemente, la volontà politica di metterle in campo.