Quando è nato il mito di Medea? È impossibile dirlo.
Il mito, per sua natura, è mutevole perché si fonda su una tradizione orale. Affonda le sue origini nella notte dei tempi. Non si sa chi l’abbia raccontato per primo e ogni narrazione non è mai identica a quelle che lo hanno preceduto. Dà voce alla coscienza di un popolo perché ne esprime la cultura e le inquietudini interiori. Quando viene messo per iscritto diventa testo ma riesce ad abbracciare solo alcuni dei possibili significati e contenuti.
Nessuna altra storia come quella di Medea e Giasone ha avuto così tante riscritture dall’Antichità ad oggi. Ogni riproposizione svela un dettaglio, esprime una sfumatura diversa in un quadro variegato e polimorfo. È questa la ricchezza della mitologia antica che non si basa su un testo unico e predefinito.
La storia di Medea comincia in Colchide..
nella costa più orientale del Mar Nero (l’attuale Georgia). Medea è una principessa la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di Giasone, greco, giunto in quelle terre con gli Argonauti per cercare il Vello d’oro. La ragazza se ne innamora e il Fato, il volere imperscrutabile del Mondo, le si stringe addosso e la induce a tradire la patria e la famiglia per aiutare quello straniero. Fuggirà con lui attraversando il Mediterraneo fino ad approdare a Corinto .
Ora è lei la barbara, la sconosciuta, portatrice di una cultura estranea alla razionalità maschilista dei greci. Medea, da principessa nipote del Sole, si trova ad essere considerata pallakè (“concubina”) ad essere additata come diversa. Giasone, con cui si era sposata e aveva avuto due figli, decide di prendere in moglie la figlia del re di Corinto, vuole una donna che sia greca. Sono questi i presupposti su cui Medea elabora la propria vendetta ed esprime la propria ira..
Le Medee della letteratura greca
Nella letteratura greca arcaica troviamo già attestazioni della figura di Medea, ad esempio nella Teogonia di Esiodo, nella Korinthiakà di Eumelo, nella 4 Pitica di Pindaro.
La Medea più celebre dell’età classica è quella di Euripide, una delle 18 tragedie che ci è pervenuta integralmente, ultimata nel 431 a.C. È lui che “inventa” lo struggente finale che oggi riteniamo fondante del mito: Medea, per vendetta e ira, uccide i propri figli.
Il primo passo per comprendere un’azione è conoscere il background su cui questa si fonda. Il figlicidio, per quanto possa inorridire, assume un altro significato se consideriamo la cultura greca, in cui il figlio era esclusivamente del padre. La donna era un semplice contenitore, non si occupava nemmeno dell’educazione dei propri bambini che fin dalla più tenera età erano affidati a nutrici, insegnanti e precettori. I figli, rappresentano per Medea, l’ultimo nodo che la stringe a Giasone.
Recidere tale legame è l’unico modo per tornare ad essere ciò che era, per ritrovare se stessa. In questo gesto, si esprime bene lo scontro culturale tra il mondo di Medea e l’universo di valori greco. Medea non è una qualunque donna ceduta da un padre ad un marito: unirsi a Giasone è stata per lei una scelta consapevole. La sua risolutezza è un tratto definibile “virile” dalla forma mentis greca e la pone in piena parità con l’uomo a cui si è legata. La principessa della Colchide non accetta di farsi mettere da parte. Non permette di essere considerata un oggetto. Medea, mantiene e rivendica, con tutta la forza che ha, la propria dignità.
Creonte: e se le donne non sono neanche capaci di bene,
sono tuttavia maestre del Male.
(Euripide, Medea)
Attraverso un personaggio apparentemente irriducibile alla mentalità del suo tempo, Euripide porta una critica impietosa alla condizione femminile e al matrimonio nella grecia antica del V a.C.
Medea nella letteratura latina
Il mondo romano riprende il mito di Medea fin dall’età repubblicana. Lo troviamo in Ennio, Accio, Pacuvio, Ovidio (nelle Heroides e nelle Metamorfosi) fino ad arrivare al capolavoro di Seneca.
Tutto ciò che ho praticato finora, lo chiamo opera d’amore..
Medea sono adesso,
cresciuta è la mia natura
grazie alla sofferenza.”
(Seneca, Medea)
La Medea senecana si mostra fin da subito più monolitica nella psicologia. Fin dall’inizio è risoluta a vendicarsi per gli oltraggi subìti. Al contrario, l’eroina di Euripide è dotata di un fortissimo autocontrollo e capacità di riflessione, l’elaborazione della vendetta giunge gradualmente e non senza grande tormento interiore. In Seneca la violenza sembra essere inscritta nella natura della protagonista. Seneca giustifica persino Giasone, che invece Euripide dipinge come uomo meschino, opportunista e ipocrita. Anche anche il questo caso, il mito viene plasmato per esprimere la cultura di riferimento.
Medea si emancipa anche dall’universo maschilista romano. Capovolge il diritto di vita e di morte che spettava solo al paterfamilias, nega anche la custodia ventris secondo cui il marito poteva gestire l’utero femminile come sua proprietà. Al contrario, lei è padrona assoluta del proprio corpo.
Da qui si sono succedute infinite rielaborazioni del mito, con tante attestazioni anche in età moderna e contemporanea, nel teatro e nel cinema.
Siamo noi che ci degniamo di scendere fino agli antichi, sono loro che vengono a noi? Fa lo stesso. È sufficiente tendere le mani.
(Christa Wolf, Medea. Voci)
Tra le versioni contemporanee c’è Christa Wolf con il suo romanzo “Medea. Voci” (1996) in cui racconta il mito come fosse un susseguirsi del flusso di coscienza dei personaggi. Medea è amareggiata, ferita nel profondo ma sempre forte, libera e orgogliosa. (“Una volta mi hai detto che se mi uccidessero, in aggiunta dovrebbero ammazzare anche il mio orgoglio”). È consapevole della sua sensibilità magica, di essere portatrice di un sapere arcaico ormai perduto.
Medea, in tutte le sue versioni, riflette l’identità e i problemi di quanti si accostano a lei. Non sarà mai ad una dimensione, ma ha nel bifrontismo la sua caratteristica fondante.
“È umana, ma possiede saperi e poteri che trascendono quelli umani; è una donna, ma è più virile di tanti uomini; è una barbara ma tiene testa a quanti passano per civilizzati; è portatrice di una cultura arcaica, ma è emancipata più di qualunque donna greca: è fragile e forte allo stesso tempo; sa essere tenera ma anche spietata; è una vittima ma anche un’assassina, una ribelle irriducibile un capro e, può espiatorio. Il suo segno è l’ambiguità: può aiutare e guarire, può distruggere e perdere. È passionale, ma neppure nei momenti di maggiore commozione perde la sua lucidità.”
(Il mito di Medea. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi. – M.Bettini, G. Pucci – 2017, Einaudi)