Poche persone ignorano l’esistenza e la bellezza dei poemi di Omero, che rappresentano una delle basi su cui poggia l’intera letteratura mondiale. Ancora meno, tuttavia, sono quelli che conoscono il poeta greco Quinto di Smirne, autore di un’opera che, per gli appassionati di epica greca, rappresenta la risposta a molte domande sulla frammentazione della narrativa omerica.
La storia che tutti conoscono
“Cantami, o Musa, del Pelide Achille l’ira funesta“. Questi versi, tra i più conosciuti della classicità greca, sono stati letti, commentati e esaltati in moltissime occasioni nel corso dei secoli da una pletora di studiosi, ma anche da semplici appassionati. La vicenda che tutti sanno raccontare. La storia dell’offesa perpetrata dal principe troiano Paride nei confronti del re spartano Menelao, che si vede portare via la sua bellissima sposa Elena.
Da questo incipit si sviluppa una storia ricca di colpi di scena, che presenta come centro di gravità il conflitto umano e divino. La guerra contro la città di Ilio (o Troia, se si preferisce), portata avanti dai valorosi eroi greci sotto la guida del re miceneo Agamennone. Dieci anni di conflitti, nel corso dei quali si distingue sopra tutti gli altri Achille, l’eroe per eccellenza.
Una storia di grandi duelli e di grandi inganni, culminata con la costruzione del cavallo di legno, che permette agli invasori di avere la meglio sulla strenua difesa degli assediati. Il ritorno a casa dei guerrieri. Un viaggio verso la patria che ha come protagonista Ulisse, re di Itaca. Egli, infatti, tra varie peripezie impiega altri dieci anni per tornare dalla moglie Penelope, in un’avventura che si dipana tra il fantastico ed il tragico.
La toppa e il buco
Questa è, a grandi linee, la trama che tutti noi conosciamo. E nell’immaginazione popolare tutto questo viene raccontato nei due grandi poemi del poeta Omero, si parla ovviamente dell’Iliade e dell’Odissea. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Le opere di questo compositore cieco a metà tra storia e leggenda, infatti, raccontano solamente una piccola parte di quanto accaduto in un arco cronologico molto più esteso. Basti pensare che la prima racconta le vicende svoltesi nell’arco di una cinquantina di giorni, un numero esiguo se si considerano i dieci anni di guerra.
Si palesa dunque agli occhi degli studiosi e dei profani un vulnus narrativo assai esteso, che nel corso dei secoli ha trovato delle soluzioni forse discutibili, ma anche piuttosto convincenti. Opere minori, autori minori che hanno tentato di riempire il vuoto lasciato da Omero. Tra questi, uno in particolare merita maggiore attenzione rispetto agli altri: un letterato di nome Quinto, originario di Smirne, una città della Turchia.
Dopo Omero
Cronologicamente collocato a cavallo tra il II e il III sec. d.C., questo poeta si distingue particolarmente per averci lasciato un vero capolavoro, i Posthomerica. Composto da 14 libri, questo poema rappresenta l’apice dei vari continuatori e soprattutto imitatori di Omero, narrando le vicende della guerra di Troia a partire da dove l’Iliade trova la sua conclusione (i funerali dell’eroe troiano Ettore e i giochi funebri in onore dello stesso) per terminare dove prende avvio l’Odissea (la dispersione degli eroi greci in tutto il mar Egeo).
L’eccezionalità di quest’opera si può scoprire nel profondo grado di intertestualità con il modello originario, sia a livello di nuclei tematici che a livello stilistico e linguistico. In aggiunta a questo, il modo nel quale la narrazione si dispiega permette di compiere un’analisi approfondita di una figura di grandissimo interesse come quella di Achille. Particolarmente affascinante il momento della morte di questo eroe, vero momento cardine di tutta la narrazione. Si capisce quindi come i Posthomerica siano stati a buon diritto definiti come “Homeriòtatoi” (i più omerizzanti) tra gli scritti che trattano questi argomenti.
I poemi del ciclo
E dire che di queste opere non mancano gli esempi. Una composizione, quella di Quinto di Smirne, che si inserisce un filone assai più ampio, conosciuto come Ciclo troiano. Poemi che integrano ed esauriscono la materia omerica, come i Canti Ciprii (il racconto degli antefatti del conflitto), l’Etiopide (il racconto dell’arrivo degli Etiopi, alleati dei Troiani, e della morte di Achille), la Piccola Iliade (la lotta per le armi di Achille), l’Ilioupersis (letteralmente “La distruzione di Ilio”), i Nostoi (i “Ritorni” degli Achei vincitori) e la Telegonia (la storia di Telegono, figlio di Ulisse).
L’opera di questo Omero 2.0 ripercorre le vicende narrate in alcune di queste composizioni, proponendo una propria versione dei fatti narrati. La materia è indubbiamente molto estesa, cosa che ha portato molti studiosi a criticare gli standard qualitativi dei Posthomerica. Nonostante questo, non vi è dubbio che la prova letteraria di Quinto di Smirne abbia contribuito ad apprezzare ancora di più la grandezza di Omero.
Stesso spirito, diverse epoche
Un aspetto che ha sicuramente fatto storcere il naso ai cultori di Omero che si sono approcciati a questo suo abile continuatore è certamente la diversa temperie culturale che caratterizza i due poemi. La collocazione cronologica del padre del genere epico è infatti rintracciabile intorno all’VIII sec a.C. La datazione dello Smirneo, invece, è da ipotizzare intorno al II secolo d.C. Non è più, dunque, l’era della Grecia arcaica, culla primordiale dei sogni di grandezza di una nazione. In questo periodo l’epica aveva un ruolo fondamentale. Un ruolo educativo per i giovani, di riflessione per i vecchi e di unione per l’intera comunità che si apprestava ad ascoltare il canto degli aedi, i cantori del dettato omerico.
Una centralità che nel II secolo d.C. è ormai andata perduta. Sono gli anni della Seconda Sofistica. Il ruolo dell’èpos si è ormai marginalizzato e questa nuova temperie culturale e politica si concentra sulla retorica e sulla rivisitazione linguistica del periodo classico. La forma quindi ha preso il sopravvento sulla sostanza. In quest’ottica appare facile capire come un poema che riprende il contenuto, lo stile e la formularietà di Omero non abbia riscontrato troppo successo presso i contemporanei. La prosa è il mezzo di comunicazione per la produzione intellettuale di sofisti e filosofi, per i poeti non c’è più molto spazio.
Un’opera da riscoprire
Questo è uno dei motivi per i quali i Posthomerica sono stati a lungo un’opera bistrattata dai commentatori, i quali non hanno risparmiato critiche pesanti anche al loro autore. Ad esempio, l’accusa di essere un semplice riscrittore di Omero o di aver intrapreso un lavoro troppo ambizioso per il suo livello mediocre.
Tuttavia, con il passare del tempo, ci si è resi conto della grande ricchezza contenutistica e stilistica di questo racconto. Esso merita di essere apprezzato dai contemporanei tanto quanto i ben più famosi poemi del ciclo troiano. Non solo per le informazioni di carattere puramente narrativo che esso contiene, ma in quanto anche a livello retorico e stilistico quest’opera merita con pieno diritto di essere considerato un ponte tra l’Omero della giovinezza e quello della maturità, tra il racconto delle imprese degli eroi e quello del loro ritorno a casa. In questo modo assumerà ancor più rilievo l’opinione di uno dei più grandi studiosi di Quinto di Smirne, Mario Cantilena, il quale evidenzia come i Posthomerica siano da sempre “una presenza culturale immane, viva ed imprescindibile all’interno del mondo di Omero”.