Una crociera di quattordici giorni che comincia e finisce a Venezia, passando attraverso le località più turistiche del Mediterraneo: Zara, Malta, Creta, Santorini, Rhodos, Délos, Mykonos, Istanbul, Delfi, Atene. A bordo della nave, la Proleterka (Proletaria) viaggia un gruppo di aristocratici svizzeri, tra i quali ci sono anche un padre e sua figlia. La crociera è per la protagonista un’occasione per conoscere meglio il genitore, dopo che per anni il loro rapporto si è basato solo su fugaci incontri di qualche giorno. Per la giovane, tuttavia, il viaggio costituisce anche una sorta di iniziazione all’età adulta, alla scoperta della vita. “La Proleterka è il luogo dell’esperienza. Quando finisce il viaggio lei deve sapere tutto.”
Un poema in prosa
Proleterka è un romanzo della scrittrice svizzera di madrelingua italiana Fleur Jaeggy, pubblicato per la prima volta da Adelphi nel 2001.
114 pagine, un libro brevissimo, eppure estremamente denso. Ogni parola viene calibrata con un’attenzione maniacale, riscritta, corretta e ritoccata fino all’ultimo. Una sintassi paratattica, quasi un susseguirsi di aforismi, al punto che si è parlato dei suoi romanzi come dei macroscopici poemes en prose.
Un romanzo d’iniziazione
Filo conduttore di quello che l’autrice ha definito un romanzo di iniziazione è la ragazzina. È lei che a distanza di anni ripercorre con la memoria le tappe del viaggio reale, che però nel ricordo si mescolano ad altre vicende della vita. La narrazione fonde continuamente la prima e la terza persona singolare, quasi come la protagonista non sapesse di volta in volta se definirsi soggetto che ricorda, o oggetto, personaggio e immagine all’interno del ricordo.
Una giovane alla continua ricerca di definizione del proprio io. Durante il viaggio l’adolescente compirà infatti una serie di esperienze – come il tentativo di conoscere il padre, l’incontro con una classe sociale cui non appartiene, l’iniziazione amorosa –, che la traghetteranno verso l’età adulta.
La costruzione della propria identità inoltre è legata alla conoscenza dei propri antenati e famigliari. Nella narrazione quindi, il viaggio reale-esperienziale si fonde al viaggio nei ricordi dell’infanzia e della ricerca delle proprie origini.
Identità
L’identità di tutti i personaggi è legata al possesso: possesso di un patrimonio, di una casa, ma anche dei figli, degli antenati, di una genealogia di cui sentirsi parte. Un’idea di identità che emerge quasi per antitesi nel padre Johannes, il personaggio che ha perso tutto, lo “spersonalizzato”.
I genitori di Johannes hanno utilizzato tutto il loro immenso patrimonio per poter curare il gemello infermo. Johannes è quindi un aristocratico che, pur mantenendo quel codice comportamentale, è diventato un proletario. La contrapposizione tra queste due classi è resa evidente nella figlia, che viene “ammessa” nella nave in virtù delle origini paterne, ma è costantemente osteggiata dagli altri passeggeri, perché sentita estranea al loro ambiente.
Johannes, ormai povero, è costretto a vivere in un’anonima stanza d’albergo, spersonalizzata e spoglia. Un contrasto evidente con le case piene di oggetti personali che si susseguono nel romanzo e che di volta in volta rimangono impregnate della personalità di chi le ha abitate. Perché “le case non sono soltanto mura”.
Infine, con il divorzio, l’uomo ha “perso” anche la figlia, che può “avere soltanto in prestito” per qualche giorno all’anno, chiedendo il permesso. Perfino alla morte con le sue ultime volontà egli renderà la figlia ereditaria di “niente”.
Un personaggio totalmente privato della sua identità, anche fisica: il passeggero privo di bagagli, un uomo dalle iridi che “quasi non hanno la consistenza di uno sguardo”.
Oggetti sensibili
La protagonista è alla costante ricerca di prove dell’esistenza delle persone che hanno fatto parte della sua vita. I ricordi che la mente rischia di confondere, rendere evanescenti, illusori e falsi sembrano dover essere ancorati a qualcosa di concreto. Così, trova conferma della propria esistenza negli oggetti e nelle sensazioni che le danno.
Oggetti che, se non sono legati a esperienze vissute, rimangono soltanto freddi documenti burocratici. L’infanzia della bambina è testimoniata da uno dei tipici album che si usano regalare alla nascita. Album totalmente privo di fotografie, dove il padre annota asetticamente tutte le vicende della vita di lei attraverso “frasi brevi, senza commento”. Ancora, la famiglia del padre è conosciuta solamente attraverso le carte d’identità e i ritratti della madre, del padre e del fratello gemello.
Le cose infatti diventano “sensibili” solo convivendo con le persone, di cui mantengono la traccia concreta dopo essere state abitate e modificate. E’ così per le camelie curate dalla nonna Orsola, “la relazione più intensa” che la bambina abbia mai avuto. L’esistenza della madre, che parla solo attraverso lettere ed è descritta sempre in modo indiretto, è legata invece al suono di uno Steinway. Pianoforte che è diventato muto al momento del divorzio e della separazione dei genitori e il cui suono, ora mentale e visivo, viene evocato al passaggio nelle stanze dove la madre suonava.
Gli oggetti parlano nella memoria più delle persone. I personaggi non comunicano tra loro, persino se membri della stessa famiglia. Questa condizione è resa attraverso una narrazione quasi priva di discorsi diretti, che diventa espressione del “distacco” (parola che ricorre lungo tutto il romanzo), che è mancanza di dialogo, di affetto e sentimenti. Le persone stesse non si conoscono con le parole, ma osservando i loro gesti.
La fine del viaggio
Quello di Protelerka è quindi un viaggio a ritroso nel tempo, attraverso cui la protagonista cerca la conferma dell’esistenza del padre, della madre, della nonna e dei passeggeri.
Alla fine però, tutti quei documenti che per l’intero romanzo ci hanno dato l’illusione di credibilità, si dimostrano meri pezzi di carta. Nel capitolo finale compare il padre biologico della ragazza, nata da una relazione extraconiugale della madre. Egli dichiara di parlare “per amore della verità”, ormai anziano e prima di perdere la memoria. Questa volta però la ragazza non cercherà le prove che quello che le dice l’uomo sia vero.
Prove che sarebbero inutili perché impossibili da legare a un rapporto concreto, a ricordi di esperienze reali, vissute. Alla fredda e inutile verità, descritta come un morbo, si contrappongono le persone con cui la protagonista ha vissuto, coloro che hanno segnato gli oggetti intorno a lei, rendendoli sensibili.
Proleterka si dimostra cosi un viaggio nei ricordi. E la protagonista, una moderna Orfeo che compie il cammino nei suoi inferi per riportare alla luce le persone, i morti, che hanno fatto parte della sua vita e hanno determinato la sua identità ed esistenza.