Non è stata eutanasia, anche se l’Olanda la consente a partire dai 12 anni e dai 17 anche senza il consenso dei genitori. Tutti i giornali italiani ora stanno rettificando.
Noa Pothoven sembrerebbe essersi lasciata morire di fame, accompagnata da un’assistenza medica specializzata. Dopo due abusi sessuali subiti e nascosti per molto tempo, dopo l’anoressia, la depressione, la fatica di vivere.
C’è chi ha usato sui social parole molto forti, di un suicidio “allestito in salotto” con tutti i cari che dicono “ti capiamo” e ti salutano. A seconda dei punti di vista si potrà dire che Noa è stata lasciata sola dalla sua stessa famiglia o che Noa è stata sostenuta dalla famiglia nella sua scelta.
Ma in questa storia, una cosa rimane chiara: il riflettore bisogna puntarlo sul tema degli abusi e non su di lei.
Come reagisce il cervello a seguito dell’esperienza di abuso?
Gli eventi come abusi, maltrattamenti e violenza assistita, scatenano la risposta allo stress, con meccanismi di reazione più o meno funzionali.
Si attivano meccanismi biochimici che modificano il funzionamento cerebrale: si iperattiva l’area della risposta emotiva e si disattiva quella della risposta cognitiva.
C’è una percezione di sé negativa, una riduzione della piacevolezza delle attività quotidiane, una disregolazione delle emozioni, un’aggressività rivolta a volte verso se stessi e a volte all’esterno, difficoltà nella relazione con gli altri, ritiro, difficoltà scolastiche, disturbo del sonno.
Recenti studi dimostrano che gli eventi avversi aumentano dalle 3 alle 6 volte il rischio di suicidio e psicosi.
Cosa scatena il pensiero di non voler più vivere?
Il senso d’impotenza, la percezione di non potersi difendere spesso inducono profondissimi sensi di colpa, sentimenti d’inadeguatezza così importanti da minacciare il rapporto con gli altri e la relazione con se stessi.
Il primo dolore d’affrontare è essere creduti, presi sul serio, non giudicati. Ed è vero che ogni società, famiglia si difende dalla violenza prodotta, negandola, ridimensionandola o mettendo sotto accusa il comportamento della parte offesa.
La mente quindi si divide, da un lato protegge il luogo e le persone della violenza, dall’altro penalizza se stessa, percependosi come inadeguata ad offrirsi protezione, diventando, così, il campo di battaglia di forze potentissime ed in contrasto. La minaccia, è entrata in quella vita, ed è come se la persona, non riuscisse più a sentirsi al sicuro né con sé né fuori da sé.
Questo può spiegare il desiderio di non voler più vivere.
Può succedere a tutti
I casi di stupro sono molto più diffusi di quanto si pensi, non stanno diminuendo, e sono in gran parte taciuti. Le persone che li subiscono sono lasciate, in nove casi su dieci, sole a gestirne le conseguenze psicologiche e fisiche. Per questo lo stupro, fatto di per sé inquietante, diventa inquietante al quadrato.
Milioni di donne se li portano dietro per tutta la vita, spesso in silenzio, quasi sempre senza alcun supporto da parte di strutture capaci di darlo. Purtroppo è così in quasi tutto il mondo. In Italia come in Svizzera, in India come in Giappone.
Una sconfitta per tutti
Ancora una volta si apre una finestra nera sul genere umano, una finestra sempre più grossa.
Non è stata eutanasia, ma un lasciarsi morire. A 17 anni è comunque una sconfitta per tutti.
L’unico contributo possibile forse è quello di illuminare non Noa, quanto i temi, i dolori, le fragilità che hanno abitato la sua vita. Perché questa informazione possa servire a qualcuno.