Origini e ambizioni della pittura analitica
Il Novecento è un secolo così breve e intenso da non aver concesso ad alcune correnti artistiche di emergere dal sottosuolo culturale e di ottenere un riconoscimento da parte della critica, oscurate dalla diffusione di cataloghi e recensioni dei maggiori movimenti artistici del secolo scorso. Tra di esse vi è una corrente finita nell’oblio prima ancora di poter affermare una propria identità, prima di raggiungere la notorietà e di essere compresa nella sua totalità: la Pittura Analitica. Questa riceve il battesimo dalla crisi dell’Informale e dalla guerra fredda al Minimalismo. Nasce all’inizio degli anni ‘70 ma scompare prematuramente per tornare alla ribalta solo mezzo secolo dopo.
Una corrente caratterizzata da una salute cagionevole che ne anticipa la scomparsa (vi contribuisce la presenza di artisti che la attraversano senza mai farne parte, limitandosi ad attingere alle sue potenzialità durante le mostre collettive). Debilitata dalla mancanza di un manifesto e da una figura di riferimento alla quale rivolgersi, la corrente non spicca per unità e omogeneità.
Caratteristiche e limiti
Alcuni dei deficit vengono attenuati dalla presenza di caratteristiche comuni e coerenti. La predilezione per la pittura, il supporto della tela grezza, l’essenzialità del telaio, il segno, il pigmento, il pennello e ogni materiale ascrivibile alla stessa tecnica pittorica. Tutti strumenti elementari che concorrono a una rivalutazione della pittura secondo un’esecuzione essenziale, priva di ogni risvolto emotivo.
Si potrebbe tentare un raffronto tra Pittura Analitica e una corrente artistica precedentemente citata: il Minimalismo. Un minimalismo in questo caso pittorico, che non nega la verticalità della tela ma esalta i fondamenti stessi della pittura rendendola essenziale. Le tele vengono definite dagli stessi autori come opere a lenta percezione. Il fruitore deve rintracciare sulla superficie segni, pigmenti, tracce evanescenti di carboncino che rischiano di perdersi tra gli intrecci del supporto stesso. Elementi che necessitano di un’indagine minuziosa per essere colti con la dovuta attenzione.
I pittori analitici
Se Alberto Burri realizza i suoi Grandi Cretti con colate di cemento che emulano le spaccature dell’argilla secca e riproducono parallelamente il processo di invecchiamento della pellicola pittorica, Enzo Cacciola utilizza la stessa materia prima industriale secondo un processo tipicamente pittorico. L’artista ligure stende uno strato omogeneo di cemento su tele rettangolari, lo lascia asciugare senza particolari ritocchi. Nessuna incisione sulla superficie a sondarne lo spessore. Se su alcuni dei suoi dipinti emergono delle lievi crettature, queste corrispondono solo a un processo naturale, in nessun modo influenzato dall’artista. Cacciola combina due elementi senza approfondirne la relazione.
Osservando le composizioni di Mauro Cappelletti non è difficile individuare una delle “scuole” a cui si ispira la Pittura Analitica: lo Spazialismo di Lucio Fontana e allievi. Fanno riferimento alla scelta del monocromo, alle linee vettoriali che tagliano il quadro, all’essenzialità dei quadri. Rigore che l’artista smarrisce con la serie Dissolvenze, inaugurate nel 2008, nelle quali permane l’indagine primaria sul colore e si inserisce un nuovo studio spaziale.
La produzione di Sonia Costantini, artista mantovana attiva a partire dai primi anni ‘80, ruota intorno all’utilizzo e alla selezione della carta, una carta povera sulla quale applica tempera ad uovo e pastelli, tecniche diverse che concorrono alla realizzazione di opere strettamente monocrome, punto d’arrivo di una ricerca sui valori primari del colore e della luce. Per Sonia Costantini la superficie non è una materia da coprire ma da valorizzare attraverso la costruzione delle sue parti elementari, anche attraverso il senso del tatto, suggerito appunto dalla carta stessa.
La rinascita della Pittura Analitica degli anni 2000
I pittori analitici rifuggono ogni rimando al Concettuale: la riflessione sulla pittura e i suoi mezzi non assume un taglio filosofico. Non si tratta di una ricerca sul linguaggio dell’arte come strumento sociale. La ricerca della pittura su se stessa ritorna protagonista alla Biennale di Venezia del 2017 nel momento in cui la direttrice Christine Macel decide di invitare due artisti analitici. La Pittura analitica torna quindi in auge negli anni 2000, oppressa dalla fama delle transavanguardie, dell’Arte Povera e dell’Arte concettuale. Rivendica i suoi strumenti diventando più attuale che mai in un momento storico di forte crisi del saper fare artigiano.
L’atto e il processo del dipingere, prima dell’opera, sono così l’aspetto importante della Pittura Analitica, che è tale in quanto analizza non solo gli elementi-base della pittura, ma soprattutto gli elementi-base del pittore, cioè dell’uomo che vi sta dietro e che agisce socialmente come “produttore”.
Marco Meneguzzo, professore di critica d’arte
Perché dare una seconda chance alla Pittura Analitica a distanza di cinquant’anni dalla sua nascita? Forse la sua rinascita corrisponde alla necessità da parte del pubblico di osservare un’opera senza pretese. Senza l’urgenza di individuarvi un significato più alto e senza intromissione di carattere politico o sociale. Come sosteneva Josef Albers, il colore inganna costantemente l’occhio e per padroneggiarlo è necessario rendersene conto. Assecondare la sua mutevolezza e riconoscere le relazioni che intercorrono tra i suoi contrasti e le sue evanescenze.
In quest’ottica di forte coinvolgimento tra fruitore e opera, la Pittura Analitica può diventare un punto di osservazione privilegiato.