Nord Stream I e Nord Stream II dormienti nel mar Baltico e flussi migratori in costante crescita. Giorgia Meloni trova la soluzione: un riavvicinamento non predatorio con l’Africa per trasformare lo stivale nel hub energetico di gas naturale per l’Europa.
Nasce così il Piano Mattei.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati?
Sia in tempi di guerra che di fame, sia per cavalcare l’onda delle opportunità, c’è una costante ricorrente nel panorama politico italiano: lo sguardo verso l’Africa.
Dall’altra parte del Mediterraneo, quei 30.370.000 km² ci vengono presentati con facciate contrastanti: spesso come minaccia all’europeità (qualunque cosa essa sia), altre volte, come ora, un business partner.
Dietro il Piano Mattei
Partiamo dal nome, perché Mattei?
Enrico Mattei, marchigiano di Acqualagna, che da operaio in una conceria di Matelica si è fatto strada fino a diventare il fondatore di Eni, cambiando per sempre la politica estera italiana. Nata nel 1953, l’Ente Nazionale Idrocarburi è un’azienda multinazionale creata dallo stato italiano per l’esplorazione e la produzione di idrocarburi.
71 anni di storia in cui Eni ha giocato un ruolo cruciale nel “boom economico” italiano.
Anni in cui bacino di risorse naturali si espansa dalla Pianura Padana ad alcuni paesi africani.
In particolare, l’esplorazione dei nuovi giacimenti petroliferi avviene in Egitto, Iran, Somalia, Marocco, Libia, Eritrea, Etiopia, Sudan, Ghana, Liberia e Nigeria.
Si parlava di un approccio diplomatico, rivolto più verso la collaborazione ché allo sfruttamento.
Affermava Mattei:
E Giorgia Meloni rivuole l’Italia ereditata da Mattei, in grado di portare una “nuova visione strategica e di sviluppo fondata sul progresso, sulla crescita reciproca e sulla collaborazione tra le Nazioni“.
Il Piano Mattei ambisce a mitigare il radicalismo islamico e l’immigrazione illegale con progetti mirati allo sviluppo economico del continente.
E a recuperare il ruolo strategico dell’Italia nel Mediterraneo attraverso un riavvicinamento all’Africa, sempre grazie ad Eni.
5,5 miliardi per l’Africa
Il 10 gennaio 2024 la Camera dei Deputati ha approvato la conversione in legge del Piano Mattei.
Si parla di un progetto fondato su cinque pilastri: istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia e acqua. Si tratta di pilastri interconnessi tra loro, come dimostra la promessa di un centro di formazione e training in Marocco sull’energie rinnovabili.
Le stime per la realizzazione dei cinque pilastri, di durata quadriennale rinnovabile, si aggirano tra i 4,2 e 5,5 miliardi di euro “riciclati’ da fondi esistenti“.
Infatti, consapevole di non poter essere totalmente autonomo finanziariamente, il governo ha intenzione di coinvolgere maggiormente l’Europa, come dimostrato dalla presenza di Ursula Von der Leyen al vertice Italia-Africa dello scorso 29 gennaio.
La Von der Leyen vede nel Progetto Mattei un’attuazione concreta dell’European Global Gateway, il piano Europeo verso l’Africa. Il European Global Gateway è un piano investimenti dal valore di 300 miliardi di euro a favore di progetti sostenibili, che tengano in considerazione le esigenze dei paesi partner e garantiscano benefici duraturi alle comunità locali.
Perfettamente in linea con il Piano di Giorgia, o almeno all’apparenza.
I Punti deboli
Nonostante si parli di un progetto volto allo sviluppo economico di alcuni Paesi Africani, non vi è alcuna rappresentanza africana nella cabina di regia del Piano Mattei.
Il Presidente dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, dice di non esser stato nemmeno consultato circa il progetto. La stessa Meloni aveva affermato in Mozambique che il piano sarebbe stato scritto con l’Africa.
In realtà, Meloni si è presentata al Vertice Italia-Africa con un progetto già scritto e la sua fattibilità è stata compromessa dalla franchezza di Faki Mahamat.
I rappresentanti di 45 Paesi Africani hanno atteso il Vertice Italia-Africa a Roma mostrando un interesse particolare nel Progetto ma sottolineando di voler rivendicare una partecipazione attiva.
L’Unione Africana ha avuto l’occasione di sottolineare le criticità esistenti nel continente, delle quali il Piano Mattei deve tener conto. Dall’indebitamento esponenziale, alle guerre interne e minacce da gruppi sempre più estremisti che alimentano la già esistente precarietà del continente.
Non sono mancati commenti critici nei confronti del Piano stesso, come dimostrato da Faki Mahamat, che ha posto l’attenzione sul perché l’immigrazione non faccia parte dei cinque pilastri se è la principale ragione dietro al progetto.
Anche le ONG rivendicano il ruolo ruolo nella cooperazione internazionale, ma anch’esse non consultate quando il Piano è stato delineato.
Nonostante tutto, il Piano Mattei rimane un pilastro dell’agenda politica di Giorgia Meloni, di grande interesse anche per l’Europa. È un progetto dalle tante possibilità, che è lungi dall’essere attuato senza un reale coinvolgimento dei Paesi Africani.
L’Europa non può più permettersi di investire senza consultare: è arrivato il momento di trattare l’Africa come un vero e proprio partner.