Tra le istituzioni più moderne dello Stato italiano sorto dal secondo dopoguerra si scorge un vecchio rudere. La carcassa, purtroppo ancora in vita, dei lauti privilegi di cui godeva il clero cattolico in passato. È l’otto per mille, una quota dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) volta a finanziare le confessioni religiose in base alle scelte indicate dai contribuenti.
Questo sistema è colmo di problematicità, considerando le contraddizioni con importanti principi come quello della laicità dello stato. Ma soprattutto, esso mette in atto un metodo di ripartizione dei fondi del tutto iniquo e ingiusto, che premia la confessione religiosa più potente e influente in Italia, ossia la Chiesa cattolica, e penalizza le altre confessioni minori.
Storia del privilegio ecclesiastico sulle casse dello Stato
Tutto comincia con i Patti Lateranensi del 1929, quando Mussolini tenta di porre rimedio alla “questione romana” tra la Santa Sede e il Regno di Italia. I rapporti tra i due erano ancora compromessi dall’episodio della breccia di Porta Pia e non accennavano a migliorare, sebbene l’enorme influenza della Chiesa nella società italiana non si fosse mai spenta.
Tra i vari benefici riservati alla Chiesa, esso ribadisce l’erogazione della congrua, uno stipendio mensile destinato al clero cattolico come forma di compensazione per l’annessione dello Stato Pontificio e per le confische di vari beni ecclesiastici.
L’otto per mille che conosciamo oggi sostituirebbe proprio questo stipendio, dopo che nel 1984 il governo Craxi e il segretario di Stato del Vaticano Agostino Casaroli avviano una revisione del Concordato risalente all’epoca fascista. Il risultato sarà l’Accordo di Villa Madama, dove viene stabilito l’obbligo per i cittadini italiani di indirizzare una quota dell’IRPEF pari all’otto per mille a un ente religioso a scelta, oppure (unica alternativa veramente laica) allo Stato.
Otto per mille: una “mostruosità giuridica”
Questa apertura generale verso le altre confessioni religiose non lo è che in apparenza. Infatti, il sistema inaugurato a Villa Madama impone una ripartizione dell’otto per mille tra le confessioni religiose tutt’altro che redistributivo.
I nodi vengono al pettine quando si considerano le scelte non espresse. Se il contribuente non esprime una scelta, la destinazione del suo otto per mille viene ripartita automaticamente tra le varie confessioni religiose in base al totale delle quote espresse dagli altri contribuenti.
Proprio quest’aspetto è da sempre oggetto di molte critiche, poiché a godere maggiormente delle quote non espresse è proprio la Chiesa cattolica, maggiore beneficiario delle scelte espresse (il 71,74% nel 2019). Considerando che nel 2017 le scelte espresse hanno rappresentato solo il 41,79% (dati del Dipartimento delle Finanze), è chiaro come una minoranza dei contribuenti riesca a determinare l’intera distribuzione dei finanziamenti. In questo modo, l’ammontare totale ricevuto dalla Chiesa cattolica nel 2017 è stato di più di un miliardo di euro, di cui circa il 60% derivante dalle scelte non espresse.
Di certo si tratta di una politica iniqua, che era già stata definita nel 1984 come una «mostruosità giuridica» dallo storico Piero Bellini sul Sole 24 Ore. Sono molti gli italiani non affiliati a un gruppo religioso, e altrettanti non sanno che non scegliendo lo Stato come destinazione della propria quota di otto per mille, essa finisce comunque a disposizione delle varie confessioni, con il Vaticano che si aggiudica la fetta più grande.
Le confessioni tagliate fuori dall’otto per mille
Un’altra enorme falla riguarda le barriere d’entrata a questa forma di finanziamento. Infatti, i vari gruppi religiosi per beneficiarne devono aver raggiunto previamente un’intesa con lo Stato. Ma non tutte le confessioni hanno potuto concludere un concordato di questo tipo e alcune sembrano essere molto lontane da questa possibilità.
Ad oggi si tratta di un privilegio riservato solamente a 12 gruppi confessionali. Oltre alla Chiesa cattolica, hanno raggiunto un concordato valdesi, avventisti, pentecostali, luterani, ebrei, cristiani ortodossi, apostolici pentecostali, battisti, induisti, buddhisti e Soka Gakkai. Tuttavia, ne restano esclusi gruppi religiosi molto più diffusi. Un esempio sono i Testimoni di Geova, gruppo religioso che in Italia conta circa 250.000 fedeli. Il movimento religioso aveva iniziato un processo di concordato con lo Stato, poi arenatosi in Parlamento in assenza di una legge d’approvazione.
Anche la ben più numerosa comunità islamica italiana è tagliata fuori dalla possibilità di accedere all’otto per mille. A detta dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR), il Vaticano starebbe cercando attivamente di impedire il raggiungimento di un’intesa tra i musulmani italiani e lo Stato. Infatti, tale comunità è costantemente in crescita e conterebbe circa un milione e mezzo di fedeli. Una sua possibile adesione alla ripartizione dell’otto per mille causerebbe una notevole redistribuzione delle quote espresse e non espresse tra le varie confessioni, portando via una buona fetta di finanziamenti alla Chiesa.
In definitiva, così com’è stato concepito, il sistema dell’otto per mille mette in atto evidenti discriminazioni, dal momento che la possibilità delle comunità religiose di accedervi avviene in base all’esistenza di un accordo con lo Stato, un difficile percorso a ostacoli.
Una questione di immagine
Sono abbastanza celebri gli spot televisivi che promuovono l’assegnazione dell’otto per mille alla Chiesa cattolica. L’immagine promossa è quella di un otto per mille destinato unicamente alle opere umanitarie. Vengono mostrati continuamente bambini poveri del terzo mondo, persone malate, disabili o senza fissa dimora.
Ma è realmente così? Infatti, leggendo i rendiconti della Conferenza Episcopale Italiana, nel 2018 alla voce “interventi caritativi” sono stati destinati 275 milioni di euro, contro 368 milioni per il “sostentamento al clero” e 355 milioni per le “esigenze di culto”. Le opere caritative rappresentano dunque solo il 27,55% delle assegnazioni totali, senza contare che spesso la descrizione delle attività finanziate è spesso generico e fumoso.
Inoltre, la Chiesa ha di fatto un imponente monopolio pubblicitario. Gli spot delle altre confessioni hanno una presenza minimale, mentre lo Stato si astiene dal ricorrere alle campagne pubblicitarie per il proprio otto per mille, ritenendole “inopportune”. Ma non finisce qui. Nel 2007, l’ex-ministra per la Solidarietà Livia Turco quando aveva proposto di destinare parte della quota statale a progetti contro la povertà infantile ha trovato l’opposizione del clero che l’ha accusata di voler «fare concorrenza scorretta nei confronti della Chiesa».
Considerando tutti questi fattori, nel 2020 l’otto per mille destinato allo Stato era pari al 23,99% delle quote espresse, una percentuale molto al di sotto del suo potenziale, sebbene in un trend di crescita.
Mantenere lo status quo, come al solito
È evidente che il sistema dell’otto per mille sia ormai più che datato. Va ripensato tenendo in considerazione valori fondamentali quali la separazione tra Stato e Chiesa, il laicismo, ma soprattutto le pari opportunità, la libertà religiosa e la loro tutela, evitando di privilegiare alcune comunità a scapito di altre.
In questo senso, l’esempio fornito da altre realtà come quella di alcuni cantoni svizzeri indica che un’imposta ecclesiastica avrebbe molto più senso se fosse completamente volontaria, seguendo l’impostazione di uno stato laico anche nei fatti. Ancora più efficace sarebbe il ricorso unicamente alle donazioni private (una bestemmia per molti ecclesiastici) essendo l’appartenenza a una confessione religiosa una questione del tutto attinente alla coscienza individuale dei cittadini.
Tuttavia, per il momento non si scorgono riforme di alcun tipo. “Beh, ma in Italia c’è il Vaticano” è diventata una frase di routine in qualsiasi discussione, quasi per giustificare in tono rassegnato e indulgente la mancanza cronica di cambiamenti culturali nella penisola. È accaduto con l’affossamento del DDL Zan e accade quando si parla di eutanasia, legalizzazione della cannabis e non da ultimo degli obiettori di coscienza in tema di aborto.
Le questioni riguardanti l’otto per mille non sono che l’ennesima riconferma del potere simbolico della Chiesa in Italia, assecondato dall’immobilismo della classe politica italiana, forse suggerendo che la breccia di Porta Pia non ci sia mai stata realmente.
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