Seamus Heaney: evocatore di sogni
I know that clay, the damp and dirt of it,
The coolth along the bank, the grassy zest
Of verges, the path not narrow but still straight
Where soul could mind itself or stray beyond
Il mondo si placa, la parola rallenta “to a walking pace” di fianco al corso di un canale. L’ultimo poema composto da Seamus Heaney scorre nello stesso flusso lirico – evocativo che ha attraversato la sua produzione poetica.
Il mondo di Heaney ha i colori del limo, delle ossa, dei lampioni appena illuminati la notte e del cielo mattutino.
Nel decimo anniversario della sua morte continuiamo ad accogliere il suo testamento intellettuale sbriciolato tra la terra umida e scura dove possiamo affondare le mani per ritrovarci nella nostra essenza ancestrale, la nostra verità umana.
Heaney autore e traduttore
La poesia di Heaney è commozione di un ricordo mai vissuto e vissuto al tempo stesso,la cui straordinaria composizione accosta malinconiche tenerezze di infanzia a echi primordiali della terra d’Irlanda.
La meravigliosa semplicità attuale della propria vita a epiche traversate di eroi folkloristici.
Vincitore del Nobel per la letteratura nel 1995 Heaney è stato un prolifico autore con le sue dodici raccolte di poesie (Death of a Naturalist (1966), Door into the Dark (1969), Wintering Out (1972), North (1975), Field Work (1979), Station Island (1984), The Haw Lantern (1987), Seeing Things (1991), The Spirit Level (1996), Electric Light (2001), District and Circle (2006), Human Chain (2010) ).
Parallelamente al lavoro poetico si intreccia uno spiccato interesse per la traduzione. Questo lo conduce negli anni a fronteggiarsi con capi saldi quali il Beowulf e l’Eneide che Heaney approccia con l’umiltà letteraria di un amante della cultura classica.
Passione che lo guida successivamente a due riproposte: l’Antigone e il Filottete sofoclei. Progetti nati durante la collaborazione con l’utopica provincia culturale e compagnia teatrale irlandese Field Day e dagli stessi portate in scena.
Heaney traduce con l’intendo di proseguire un dialogo, una conservazione che attraversa i secoli tra poeta e poeta, seduti agli estremi di questa linea cronologica, separati solo dallo spazio ma uniti nelle intenzioni.
Il grande rispetto che egli avverte verso l’arte del tradurre si attua in un meticoloso studio linguistico-metrico per la migliore resa testuale. In onore di quel patto poetico che egli sente di stringere qual volta traduce. Studio che culmina nella creazione di una commistione di fonemi inglesi e idiomi irlandese. Un tentativo di operare una mediazione identitaria in anni di sangue e terrore.
La lingua di Heaney si colora di tinte locali, si ricama sulla musicalità del latino. Segue lo spontaneità creativa del suo ideatore, lo slancio emozionale si sviscera nel tracciato delle parole.
L’Irlanda è il tutto, affetto e dolore.
Gli anni dei Troubles entrano nella poesia, portano violenza e morte, Heaney pur non sfacciatamente “politco”, come avrebbe preteso la stampa, elabora una sua critica luttuosa evitando un approccio semplicistico legato all’idea delle sides, riluttante al doversi schierare pubblicamente come segno univoco del proprio ruolo sociale.
L’Irlanda di Heaney è storia archeologica, letta nei tronchi degli alberi e nei resti sepolti, mistica-mitologica e contemporanea, vetri di un finestrino infranto.
La voce del poeta racconta estraendo memorie come piccoli ciottoli dall’acqua, con la mano conca scava portando alla luce, rapsodo dell’Irlanda di ieri di oggi.
Seamus Heaney è stato un umanista nel senso più completo del termine, prodigo in un auto- esaminazione costante di se e della natura circostante, impegnato a domandarsi il proprio ruolo in una società spezzata come quella dei Troubles, intellettuale curioso, poeta eccezionale e anima intrisa di dolcezza.
Consiglio a chiunque di concedesi un assaggio della sua potenza suggestiva fino ad addentrarsi nello straordinario viaggio sensoriale che ci conduce verso casa.
Che sia la sua o la nostra arriveranno in fine a coincidere.