Mary Shelley scrive “Frankenstein” nel 1817, durante un soggiorno nei pressi di Ginevra, in Svizzera. L’opera ottiene il successo vero grazie alle rappresentazioni teatrali e Mary Shelley rivendica il proprio nome, dichiarandosi autrice. L’idea nasce a Villa Diodati, nel 1816, in seguito alla ghost story competition proposta da Byron. Mary racconta come non riuscisse a trovare una storia, fintanto che un incubo partorisce il terrore. Come ha terrorizzato me terrorizzerà anche gli altri: Mary intrappola l’incubo, dando forma a “Frankenstein”, il moderno Prometeo.
Victor Frankenstein: lo scienziato che sfida la morte
Walton è un giovane alla ricerca del mondo, scrive all’amata sorella e dalle sue lettere si delinea il viaggio. Per mare salva un naufrago: Victor Frankenstein. Frankenstein è singolare e i suoi occhi hanno un’”espressione folle”, ma i modi sono gentili. Walton e Frankenstein, entrambi amanti della scienza, si avvicinano l’uno all’altro. La voracità per il sapere di Walton, però, rende Frankenstein cupo: vede in lui una vittima come sé stesso. In un’ammonizione, Frankenstein racconta la propria storia: ha dato vita a una creatura e si è reso Dio. E il mostro, composto dalle parti più belle, è quanto di più aberrante esista; lo sguardo giallo e inumano della creatura perseguita il creatore, che rifugge dal peccato di hybris. Lo scienziato da grande overreacher sprofonda come Icaro, impossibilitato a espiare ciò che ha commesso. Frankenstein, interiorizzando il suo essere colpevole soffre dentro e con sé stesso, come un byronic hero.
Il mostro: innocente o colpevole?
La creatura conserva il diario del creatore fuggito e cerca di capire: non conosce il mondo, non sa della sua condizione ed è lasciata sola a sé stessa. La creatura è il lucifero di John Milton, ma un lucifero esente da peccati, a cui Frankenstein non concede mai il paradiso. Dunque, Victor Frankenstein è pater e Dio di un mostro che vuole vendicarsi. Ma la creatura, nella sua rabbia, è o non è giustificata per ciò che ha vissuto? Richiede una compagna e ricerca amore in una solitudine già scritta.
Quanto è colpevole?
La pluralità tematica di Frankenstein
Secondo Locke, la mente di un bambino è una tabula rasa e le idee si sviluppano dall’esperienza, che può essere interna o esterna al soggetto. In questa prospettiva, l’innatismo è rinnegato e l’uomo è studiato in relazione a ciò che ha vissuto. Attraverso Frankenstein, l’autrice ritrae con maestria temi molteplici, in una narrazione soprannaturale, ma che parla dell’uomo all’uomo. Nell’opera si delinea l’esperienza umana, il peccato di hybris di Prometeo, il byronic hero colpevole, lo stato artificiale e di solitudine di Rousseau.
Tutto si coniuga nel doppio: Frankenstein e la sua creatura. L’uomo, fino a che punto può spingersi? Victor, anche lui, fino a che punto è colpevole?
Ecocriticismo, il compito della letteratura
L’ecocriticismo studia il ruolo della letteratura nei riguardi dell’educazione all’ambiente. Interconnette letteratura e natura e a coniarne il termine è Rueckert nel 1978. I romantici, tra cui Mary Shelley, iniziano già a percepire l’imposizione dell’uomo sulla natura: John Bate pone le basi per questa corrente, chiedendosi che ruolo avesse la poesia. Il compito della letteratura, dichiara Bate, è lavorare sulla consapevolezza umana. Le interazioni tra uomo e ambiente sono indagate anche da Coleridge, il suo acient mariner è colui che fa male alla natura e ne paga il riscatto.
Ma Il suo uomo è anche un uomo che nel limbo cerca di trasmettere la consapevolezza acquisita ad altri: come Frankenstein racconta la sua storia, in modo che non si ripeta. La parola è salvezza, l’ascolto la chiave.
Frankenstein e la contemporaneità dell’overreacher
Frankenstein è lo scienziato che modella la natura, il Prometeo che va oltre, l’affamato di conoscenza. Waldman è il professore che l’ accompagna nello studio della scienza, lasciando che lo stato artificiale diventi totalizzante. Frankenstein supera ciò che è concepito come umano e la sua divinizzazione muta in colpa. Nella sua sofferenza si cela un quesito atemporale: qual è il limite?