Ci sono testi che a volte conviene rileggere, specie se si tratta di quei classici che affrontano i problemi con cui gli uomini avranno sempre a che fare. E La scienza come professione è uno di questi.
Max Weber era un professore tedesco dall’aria austera (sarà stato per la barba ispida, l’espressione severa?) che circa cento anni fa aveva compreso i propri (e i nostri) tempi: i profeti non esistono, diffidate di chi promette soluzioni facili invece di aiutare a leggere la complessità di un mondo sempre più indecifrabile, in cui circolano idee e principi differenti, incompatibili fra loro, ma tutti ugualmente legittimi. E nella sua Monaco, negli stessi anni, si trovava anche un certo Adolf Hitler.
Eppure il suo invito all’onestà intellettuale, a non chiudere gli occhi davanti ai fatti che costringono a rivedere le proprie posizioni, aveva un precedente illustre: Atene, 399 a.C., Socrate viene accusato di aver corrotto i giovani della città. Si descriveva come un tafano, aveva dedicato tutta la propria vita a seminare dubbi, a mettere in discussione i valori su cui si fondava la società, senza offrire alcuna risposta in cambio.
Ma a cosa serve un sapere che paralizza, moltiplica dubbi e certezze, cerca la complessità senza proporre soluzioni o indicare un cammino?
Dostoevskij era sicuro che se Dio è morto, tutto è permesso: in un mondo come il nostro, in cui mancano valori forti e punti di riferimento assoluti, le possibilità di scelta si moltiplicano e ogni decisione è legittima. Non c’è più Dio e l’uomo deve imparare ad affrontare le proprie idee, consapevole della diversità di quelle altrui. Ma questa è l’era della post-verità e siamo circondati da voci dissonanti, punti di vista contrapposti, dibattiti infiniti. Il rumore è assordante e l’emotività sembra aver trionfato: sembra di rivivere una delle scene della Repubblica di Platone, quando la nave si trova in mezzo ad onde sempre più minacciose e i marinai iniziano ad urlare, in preda all’isteria, perché ognuno vuole decidere come affrontare la tempesta che incombe.
C’è bisogno di voci capaci di raffreddare gli animi, seminare dubbi in una società disposta ad ascoltare soltanto quello che vuole sentirsi dire. Voci che non insegnino cosa pensare, ma come pensare. Weber e Socrate lo sapevano: se si fossero messi a dire la loro avrebbero aumentato il rumore di fondo.