Rimini è una città dai mille volti. La romana Ariminum caratterizza ancora l’assetto cittadino, il quale vede alternarsi edifici medievali, rinascimentali e barocchi. Il capoluogo, da sempre uno dei principali centri politici e artistici d’Italia, si caratterizza per questa suo carattere plurimo, crocevia tra il nord e il centro della Penisola. Questo suo essere “di passaggio”, in costante contatto col mondo bizantino, rese la medievale Rimini un polo artistico di notevole importanza. Fu per tale motivo che, agli albori del Trecento, giunse in città Giotto. La bottega e le opere del pittore portarono in città un nuovo fervore artistico, capace di creare una scuola locale basata sugli insegnamenti rivoluzionari dell’artista toscano. Tra di essi vi era certamente anche Giovanni, detto “da Rimini”. A questo grande interprete del rinnovamento giottesco la città dedica la mostra “L’Oro di Giovanni”, dal 18 settembre al 7 novembre 2021, allestita nel seicentesco Palazzo Buonadrata.
La mostra, curata da Daniele Benati e Alessandro Giovanardi, è promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini assieme al Soroptimist International Club e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Marvelli. L’esposizione è ospitata al piano nobile di Palazzo Buonadrata, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini. La rassegna si svolge in un’unica sala, moderna, che ben si presta alla fruizione, alla valorizzazione e al dialogo delle opere esposte. La mostra nasce intorno al restauro della Croce di Mercatello ed ha permesso di riunire assieme tutti i crocifissi attribuiti a Giovanni da Rimini. Mai, prima d’ora, queste opere sono state poste insieme con tali finalità di studio. “L’Oro di Giovanni – Il restauro della Croce di Mercatello e il Trecento Riminese” è dunque un’occasione più unica che rara per conoscere e studiare queste opere di grandissima importanza per le sorti dell’arte romagnola e marchigiana del XIV secolo.
Iohannes, Zagnonus, Giovanni…
Di Giovanni da Rimini non conosciamo né la data di nascita né quella di morte. Sappiamo solo che veniva chiamato Iohannes o Zagnonus, “Giovannone”, forse in virtù di una sua notevole stazza fisica. Il primo documento che lo menziona, del 1292, lo ricorda pagare, con sei di capponi, l’uso di un terreno dell’ospedale di San Lazzaro. La sua attività di pittore dovette certamente iniziare prima dell’arrivo di Giotto in città ma, di questo periodo, nulla rimane. L’incontro col Maestro fu per Giovanni un punto di non ritorno. Considerato tra i fondatori della Scuola Riminese, Il nostro pittore divenne in breve tempo il principale promulgatore della rivoluzione giottesca tra Romagna e Marche. L’unica sua opera firmata, il Crocifisso di Mercatello sul Metauro (1309 o 1314), è anche l’ultima testimonianza di lui nota. Già nell’aprile del 1316 il suo nome non figura più nel contratto d’affitto del terreno sopracitato.
Le opere superstiti di Giovanni da Rimini ce lo mostrano come un pittore “di transizione”. La sua primaria formazione deve essere stata caratterizzata dall’apprendimento pittorico della “maniera greca”. È estremamente difficile per un artista liberarsi di certe metodologie lavorative conosciute con la prima formazione, anche Giovanni non fa eccezione. Nelle sue opere successive, nonostante l’accettazione del nuovo stile giottesco, l’artista usò ancora tratti affini a quel periodo dell’arte bizantina noto come Rinascenza Paleologa. Tra questi indizi il più chiaro è il suo caratteristico modo di disegnare i nasi, leggermente adunchi e con un accenno di forcella bizantina.
“Posto di fronte al bivio tra l’arte “greca” e quella rinnovata in senso “latino” e dunque moderno di Giotto, il riminese Giovanni sembra inizialmente non avvertirlo come tale, ma rilegge le soluzioni di Giotto alla luce delle sue già stabilite convinzioni filo-bizantini.”
Daniele Benati
La rivoluzione di Giotto
Il rinnovamento che Giotto di Bondone portò a Rimini passa per un luogo specifico: la Chiesa di San Francesco, oggi nota come Tempio Malatestiano. Del soggiorno riminese del pittore toscano non si conoscono date certe ma si deve collocare tra il periodo assisiate e quello padovano, ovvero a cavallo tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento. A questo periodo risalirebbe infatti il crocifisso (1299-1300) oggi conservato al Tempio Malatestiano, purtroppo orfano dei quattro tabelloni posti a termine delle assi. Il grandioso dipinto doveva in origine essere collocato sulla sommità del tramezzo, una sorta di struttura posta a separare la chiesa dei laici da quella dei religiosi e caratteristica delle chiese medievali. La particolare costruzione lignea della croce sarà fonte di ispirazione per gli artisti della Scuola Riminese che replicheranno, in maniera più o meno fedele, le sue caratteristiche materiali e le sue forme pittoriche.
Nella Croce di Rimini Giotto aveva rinnovato le forme del crocifisso, elemento fondamentale della liturgia. Fino ad allora le croci erano caratterizzate da una alternanza poco chiara tra forme lineari e circolari. Giotto creò dunque questo motivo mistilineo, che vede la presenza di forme rotondeggianti in corrispondenza degli angoli. Tale soluzione, sin da subito assimilata dagli artisti locali e diffusa in ambito adriatico, farà invece più fatica ad affermarsi a Firenze. In San Francesco Giotto dipinse anche la zona absidale con un ciclo incentrato sulla storia del santo di Assisi. Vista la poca distanza cronologica del cantiere riminese con quello umbro è probabile che a Rimini il pittore toscano adottasse iconografie simili, certamente diminuendo il numero delle scene a causa della diversa grandezza del cantiere. Tali pitture vennero distrutte nel ‘400 con la trasformazione della chiesa francescana in quello che è oggi noto come Tempio Malatestiano.
Le Croci di Giovanni
La mostra di Palazzo Buonadrata è un’occasione unica per ammirare tutte le croci finora ricondotte alla mano di Giovanni da Rimini. Fulcro dell’esposizione è il Crocifisso proveniente dalla Chiesa di San Francesco di Mercatello sul Metauro. L’opera, l’unica ad essere datata e firmata dal pittore, è stata al centro di un restauro, svoltosi tra 2020 e 2021, effettuato dalla Ikuvium R.C. di Gubbio. La rassegna si caratterizza così anche per rendere noti al pubblico i risultati di questo recentissimo intervento. Bisogna ricordare che l’opera dovette subire anche i flutti malevoli dell’alluvione che colpì Firenze il 4 novembre 1966. Il dipinto era stato infatti spedito in città per essere restaurato ma rimase vittima di tale evento, rimanendo per ore sommerso da acqua e fango. La croce di Mercatello rimane comunque un’opera cardine per ricostruire il catalogo di Giovanni e per comprendere gli sviluppi della Scuola riminese.
La data che si legge nell’iscrizione sottostante viene decifrata come 1309 o 1314. La prima lettura pare più probabile se si tiene conto del percorso stilistico del pittore che mostra un progressivo distaccarsi dai modi bizantini che ne caratterizzano la produzione. Elementi come le ombre, le mani e i piedi trafitti dai chiodi sono realizzati con una maggiore attenzione naturalistica rispetto alle croci precedenti. Precedono infatti la Croce di Mercatello la Croce Diotalevi e la Croce della Moretti Gallery, già Goudstikker. Il primo dipinto, proveniente forse dalla Cappella della Vergine della chiesa riminese di Sant’Agostino, è databile agli albori del XIV secolo per alcune corrispondenze con gli affreschi di Giovanni per il medesimo complesso. La Croce della Moretti Gallery è invece di poco successiva, caratterizzata da un maggior naturalismo del costato. Il dipinto di Londra in tempi precisati, forse a causa di un deterioramento irrimediabile, è stato sagomato.
Talamello ultima tappa
L’ultimo crocifisso di Giovanni esposto è quello proveniente da Talamello ma originariamente destinato alla chiesa agostiniana di Poggiolo. La croce presenta un fondo blu scuro con le dorature che si concentrano solo sui nimbi. La foggia arcaica della croce non è dovuta ad una sua maggior antichità rispetto alle altre ma probabilmente si spiega con la predilezione per forme più severe e tradizionali dei padri agostiniani che ne erano i committenti. A confermare una datazione successiva, intorno al 1315, è anche la volumetria del corpo di Cristo, meno lineare delle forme di Mercatello e quasi totalmente esente da bizantinismi. Oltre a ciò, il Crocifisso di Talamello presenta un elemento di grande novità rispetto agli esemplari precedenti del riminese: gli occhi semichiusi abbandonati alla morte. In un momento imprecisato della sua storia, e per motivi a noi sconosciuti, il dipinto è stato privato della sua cornice originale.
La mostra L’Oro di Giovanni – Il restauro della Croce di Mercatello e il Trecento Riminese si presente come l’ideale completamento dell’esposizione svoltasi nel 2017 alla National Gallery di Londra e incentrata su Giovanni da Rimini. In quell’occasione nessuno dei crocefissi del pittore poté essere esposto e così anche il catalogo si prefigge l’obiettivo di completare gli studi svolti per la rassegna inglese. Alle quattro croci di Giovanni i curatori hanno pensato bene di affiancare altre due opere. Si tratta di una testa di Cristo di Giuliano da Rimini, fratello minore del pittore, proveniente da una distrutta croce, e un crocifisso del Maestro di Montefiore Conca, entrambi di proprietà della Cassa di Risparmio di Rimini. Queste due ultime opere dimostrano, se ne sentisse ancora il bisogno, la fedeltà dei pittori della Scuola Riminese alla rivoluzione giottesca. L’Oro di Giovanni è una mostra rara e preziosa, destinata ad essere ricordata negli annali.
Per approfondire….
Sito ufficiale della mostra: https://www.artecultura-fondcarim.it/
Un’alternativa a Giotto: https://www.sistemacritico.it/2018/07/17/trionfo-della-morte-buffalmacco/