Il percorso di studi e relative problematiche
Esistono due periodi nella vita di uno studente che ambisce alla laurea e sono divisi da un momento molto importante: la maturità.
Il primo periodo è quello delle scuole superiori, in cui gli studenti sono chiamati ad apprendere la conoscenza e la cultura in senso ampio. Il secondo è quello universitario, in cui gli studenti approfondiscono un determinato ambito del sapere.
A questo punto è bene domandarsi: qual è il modo più completo per intraprendere un percorso scolastico? Esiste un tempo per la teoria e un tempo per la pratica?
È doveroso premettere che esistono diversi modi di vivere il tempo della propria istruzione e che questi sono influenzati dalle proprie capacità, dalle propensioni e dalle passioni, oltre all’ambiente che li circonda: nel caso del Bel Paese, dinamiche sociali e lavorative non sempre favorevoli.
Nuove frontiere
In un sistema scolastico funzionante, un ragazzo dovrebbe prendersi il proprio tempo per studiare, approfondire e sviluppare conoscenze e abilità. Lo studio della cultura in senso ampio, infatti, caratterizzerebbe cittadini istruiti e liberi.
Oggigiorno, uno degli strumenti più potenti è l’informazione, ed educare le future generazioni a conoscere dovrebbe essere un imperativo per ogni Stato. Inoltre, ormai, sono necessarie (e non più superflue) determinate abilità e conoscenze.
La prima è quella informatica. Viviamo in un mondo che ha preso da anni una direzione chiara e precisa verso la digitalizzazione e essere “nativi digitali” non significa automaticamente saper utilizzare in modo efficace i dispositivi, i software e le IA.
Un’altra è la conoscenza linguistica dato che viviamo in un mondo sempre più globalizzato ed è diventato necessario rapportarsi con l’estero. Non può più essere tutto contenuto nel raggio di qualche centinaio di chilometri com’era fino a qualche decennio fa.
Un’ulteriore conoscenza importantissima è l’educazione finanziaria poiché viviamo in un sistema capitalista e non possederne le conoscenze base si traduce in “analfabetismo”. Nel secolo scorso un primo passo per l’alfabetizzazione (e quindi per la coscienza, il pensiero critico e la libertà) era insegnare a leggere e a scrivere. Con il passare del tempo, sono sorti problemi legati all’analfabetismo funzionale e oggi riguardano anche l’educazione finanziaria. Inoltre, diversi studi e ricerche universitarie riportano come nei Paesi in cui si è più istruiti a livello finanziario, si sia mediamente più ricchi e ci sia una maggiore mobilità sociale.
Un ultimo ambito fondamentale è il diritto. Sono sufficienti conoscenze base che però permettono di dare molta più libertà decisionale ai cittadini e aiuterebbero a garantire i principi presenti nell’ordinamento giuridico (primo su tutti l’ignorantia legis ex art 5 c.p.).
Élite di pensiero
A tutto ciò è bene accostare gli studi delle materie “tradizionali”, cosa che avviene già.
Un’interessante riflessione a riguardo è illustrata nel libro “Il presente non basta” dell’ex Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Bologna Alma Mater, Ivano Dionigi.
Nel libro di cui, che trae spunti da stimoli suggeriti dal sottoscritto a Dionigi stesso, viene spiegata accuratamente l’importanza dei classici e del perché costituiscano un’élite di pensiero.
È giusto che i ragazzi si prendano il proprio tempo per sviluppare un pensiero critico e delle conoscenze necessarie, anche se non sempre sono ritenute tali dalla maggior parte delle persone.
Come società siamo chiamati, come più volte specificato nella Costituzione, a educare e a garantire l’istruzione a chiunque voglia intraprendere il suddetto percorso.
Purtroppo nei fatti, come prima citato, non è sempre così e per questo motivo il tema si complica.
Indubbiamente gli studi liceali – nello specifico quelli classici – forniscono un’istruzione valida e completa, sebbene migliorabile, per futuri cittadini coscienti e responsabili.
Anche se non è questo il modello a cui siamo abituati, il mondo e il mercato ci stanno comunicando da tempo che pian piano sarà richiesta un’istruzione sempre maggiore e pertanto si tenderà – probabilmente – a un allineamento al modello qui descritto.
Già da anni gli Stati più sviluppati e ricchi, sia da un punto di vista economico che di libertà, hanno mostrato un sistema di istruzione che tende a questo modello.
Per gli scettici, pensiamo che quasi mezzo secolo fa era sufficiente un titolo di istruzione media; oggi non basta quella universitaria.
In Italia praticità non fa rima con università
Una volta finiti gli studi delle scuole superiori, nel mondo di oggi, sarebbe auspicabile conseguire gli studi universitari che sono fonte di benessere e ricchezza (poiché ne deriva una minore precarietà).
A dimostrarlo, sono ancora una volta i dati: secondo un Report Istat sui livelli di istruzione relativamente al 2020, in Italia solo il 20,1% della popolazione (di 25-64 anni) possiede una laurea contro l’oltre 30% nell’UE. Stando alle ultime tabelle Eurostat, l’occupazione in Italia è al 60% contro una media UE del 70% e i laureati hanno doppie possibilità di trovare lavoro a fronte dei diplomati. Il tasso di occupazione è quindi correlato a quello di laureati e ad altre questioni riguardanti la formazione, il sociale e il mondo del lavoro.
Nel mondo le più importanti imprese sono sorte in territori con una considerevole (dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo) presenza di università.
Che approccio avere in università?
Come detto, dopo un tempo di teoria (le scuole superiori) si passa a un tempo di pratica: l’università.
Esattamente, un tempo di pratica. A differenza di ciò che si vede oggi nella maggior parte degli atenei italiani, sarebbe necessario più un approccio pratico che teorico.
Non fraintendetemi, la teoria è essenziale poiché senza quella non si riuscirebbe a mettere in pratica le conoscenze, però dare uno sguardo e un insegnamento di applicazione pratica delle materie studiate aiuterebbe a formare laureati che possono presentarsi (sebbene a livello base) preparati nel mondo del lavoro e magari cambiare le dinamiche lavorative odierne.
È qualcosa di estremamente fattibile e utile sia ai diretti interessati che alla società.
Oggi questa praticità, a differenza delle università estere, manca in Italia. È richiesta maggiormente una conoscenza teorica e nozionistica, che può essere facilmente supportata dai mezzi informatici.
Nel mondo del lavoro non è invece possibile sostituire le abilità pratiche e di ragionamento (sulle quali però non ci si prepara).
Inoltre, lo svolgimento di un tirocinio equilibrato sarebbe un’ottima dimensione per avere uno sguardo pratico. Equilibrato ovvero né inesistente, né eccessivo e dove si è ben seguiti dai tutor.
Chissà se, quando l’università preparerà più a livello pratico gli studenti, nel mondo del lavoro non ci saranno anche una maggiore apertura, dignità, garanzie, tutele e riconoscimento in termini salariali (cosa che accade spesso all’estero)?
Nuove richieste nel mercato del lavoro
Merita un’ultima osservazione la situazione di mercato del lavoro, alla quale teoricamente dovrebbe preparare l’università.
Oltre a riprendere e approfondire le 4 competenze e conoscenze sopra citate, gli studenti dovrebbero essere stimolati a studiare da fuori sede, a vivere esperienze formative quali programmi di studio all’estero e a sviluppare le cosiddette soft skills.
Questo perché è bene che i giovani si abituino a un mondo diverso da quello dei loro genitori dove erano presenti determinate certezze, comfort e garanzie – e già si trattava di un mondo più difficile rispetto a quello della generazione ancora precedente. Ci si sta spostando verso un mondo del lavoro sempre più liquido e in continua evoluzione.
La preparazione dello studente è meglio che sia generale – come descritta precedentemente in un nuovo ipotetico modello di scuola superiore – anche in università poiché studiando per professioni che ancora non esistono, i giovani devono essere pronti. La stessa preparazione però si deve anche focalizzare in parte, oltre a tenere un occhio generale, su un settore specifico così da dare più opportunità allo studente, nel caso in cui riuscisse a coglierle.
La nostra parte
Come riportato da molti “grandi” della Storia, probabilmente uno dei ruoli più importanti e difficili è proprio quello degli insegnanti intesi come divulgatori del sapere e educatori.
Ruolo che, ahimè, viene svolto professionalmente – in senso letterale – e seriamente da pochi.
Il modello a cui tendere? Un’istruzione più dinamica, più aperta al cambiamento, più sviluppata, più aggiornata, con più fondi, risorse e investimenti e più pratica in determinati aspetti e momenti del percorso di studi.
È giusto richiamare gli insegnanti a un senso del dovere perché dalle loro aule usciranno i cittadini di domani e pretendere, in quanto cittadini, una Scuola più completa e valida.
Sarebbe bello se attività extrascolastiche, riguardanti ad esempio i valori e la crescita personale, fossero suggerite dai professori.
Si dovrebbe avere anche un occhio di riguardo alla salute mentale e fisica a causa del sempre più diffuso uso dell’home office e della sedentarietà.
Un’ultima domanda può sorgere spontanea: gli studenti dove troverebbero il tempo per così tante ore di studio e altre attività extrascolastiche?
Agli studenti sarebbe certamente richiesto un impegno maggiore, ma ci sarebbe anche una pretesa minore da parte degli insegnanti, o per lo meno quest’ultimi si focalizzerebbero maggiormente su ciò che è più rilevante.
Si possono avere visioni differenti a riguardo, dal momento che si toccano anche diversi ambiti politici e sociali e il tema è molto ampio e complesso, specialmente da trattare in poche righe.
Qui si è provato a dare uno sguardo più completo e sintetico possibile ma una cosa rimane certa: l’istruzione è uno dei principali punti di partenza per migliorare uno Stato alla deriva sotto molteplici punti di vista.
Sicuramente siamo chiamati, in quanto cittadini, a riflettere sul tema, a porci le giuste domande e a provare a darci delle risposte.