Siamo in macchina, davanti a noi un traffico estenuante, un semaforo rosso. Ecco che scatta il verde, intravediamo le automobili davanti che finalmente avanzano. Se non che, ci accorgiamo che la macchina di fronte a noi non parte e sporgendoci ci rendiamo conto che il conducente è distratto, sta parlando al cellulare e non si è accorto che è scattato il verde. Dalla frustrazione è un attimo passare alla collera. Nel migliore dei casi la tragicomica scenetta si concluderebbe con la cara vecchia classica suonata di clacson. ma se il “worst case scenario” si verificasse, questo potrebbe tranquillamente essere l’inizio del film “Un giorno di ordinaria follia”.
La rabbia è uno dei sentimenti più istintivi e primordiali: avvolge ogni singola particella del corpo e annulla ogni pensiero razionale e critico, ci riempie di adrenalina per poi lasciarci completamente vuoti un attimo dopo.
L’associazione più immediata al termine “rabbia”, dal latino rabies, è uno specifico sentimento di ira, collera, furia e irritazione. In realtà il termine può avere anche un significato più concreto, riferendosi alla malattia della Rabbia, che colpisce i mammiferi, in particolare i cani. Le peculiarità della malattia è che intacca il sistema nervoso e i principali sintomi sono aggressività, spasmi, agitazione, schiuma alla bocca. Esattamente l’immagine stereotipo di una persona arrabbiata.
Ciò che scatta nel momento in cui ci infuriamo, infatti, è niente di meno che un istinto animale, difficilmente controllabile se trattenuto troppo a lungo o se particolarmente infervorante. Vero è che l’essere umano si distingue dagli altri animali anche perchè dotato di autocontrollo, ma quando questo viene a meno ecco che diventa facile assomigliare ai nostri amici canini all’apice della malattia.
L’arte di arrabbiarsi
Un’emozione che può avere mille sfaccettature, spesso intrigante perchè confusa e mescolata a quella della passione, tanto simile quanto diversa. Per questo è stata a lungo indagata e rappresentata in tutte le forme d’arte che conosciamo: Omero scriveva in versi “del Pelìde Achille l’ira funesta”. I Linkin Park cantavano “I’m one step closer to the edge” (sono a un passo dal tracollo) e nel 1953 Francis Bacon riprendeva il ritratto di Innocenzo x di Velazquéz (in foto) dandogli una forma decisamente più “irata”.
Se parliamo poi di cinema, ecco che si apre un mondo di interpretazioni e percorsi narrativi diversi. Il tema della rabbia, poste tutte le inclinazioni e sfumature del termine, è presente in numerosi progetti cinematografici. L’ efficacia di quest’arte sta nell’immediatezza con cui è possibile immedesimarsi nelle emozioni rappresentate. La chiave di lettura viene data nelle mani dello spettatore e tutto diventa più autentico, più concreto.
Ecco allora alcuni esempi in cui la razionalità lascia il posto a un’istintività fatta di rabbia e frustrazione.
La rabbia urlata di Malcolm&Marie
Quando parlare non basta più, e non c’è altro modo per farsi capire, si perde il controllo e si inizia ad urlare. Malcolm&Marie è un recente lungometraggio originale Netflix, girato durante il primo lockdown, a Marzo 2020.
A seguito di una serata che doveva essere la svolta per la carriera di regista di Malcolm, la coppia torna a casa e nel giro di poche inquadrature i due (unici) protagonisti del film si ritrovano a combattere una battaglia fatta di botte e risposte, su uno sfondo in bianco e nero. Quasi come un infinito flusso di coscienza, la rabbia imperiosa nascosta dietro i non detti lascia posto a una calma apparente, per poi ritornare più funesta di prima, e ancora, e ancora. Il confine tra rabbia e passione è così fastidiosamente sottile che fa arrabbiare anche lo spettatore.
Carnage: l’apparenza inganna?
E se le buone maniere fossero sopravvalutate? 2 coppie di genitori, sconosciuti fino a qualche minuto prima, si incontrano per risolvere formalmente un litigio abbastanza cruento avvenuto tra i figli. Sembrano esserci tutte le buone intenzioni: toni pacati, sorrisi di circostanza, una torta di mele sul tavolo per addolcire l’atmosfera. Ma tutto diventa inutile quando la discussione si accende: il litigio avvenuto tra i figli diventa pretesto per riversare la frustrazione repressa di cui sono vittima i 4 protagonisti.
Un confronto, se così gentilmente può essere chiamato, non più bilaterale (da coppia a coppia) ma multilaterale. Tutti inveiscono contro tutti, ben presto lo scenario si fa quasi grottesco e i freni inibitori vengono abbandonati. È come assistere a una catarsi. Una catarsi della mente e del corpo dei personaggi, che scoperchiano un vaso di Pandora interiore di cui non erano a conoscenza. Tratto dall’opera teatrale di Yasmine Reza “Le dieu du carnage”.
Ma non vorremmo tutti un giorno di ordinaria follia?
Era stato già citato e non si poteva non aggiungere alla lista. Un magistrale Michael Douglas ci trascina nei meandri di una mente confusa e affollata. Siamo a Los Angeles, è una torrida estate e il caldo scaturisce dal bollente asfalto della strada trafficata che sta percorrendo Bill, apparentemente sulla via per recarsi al suo lavoro di impiegato. Ma quella via affollatissima e bloccata dalle automobili è per Bill la famosa goccia che fa traboccare il vaso. Scende dalla macchina, lasciandola lì, e comincia a passeggiare per Los Angeles, preda di una rabbia verso il mondo intero che lo porterà alla follia.
Il personaggio di Bill Foster si fa iperbole vivente di un modello di società in cui ingoiare l’amaro e andare avanti è prassi. Fino a che questo fuoriesce e porta il protagonista alla perdita totale del senno. Viene da chiedersi, cosa spinge un uomo ordinario a perdere i suoi valori e principi morali più radicati per lasciare spazio a una cieca e incontrollabile collera?
Il prezzo di Hollywood: punta più in alto
È come quando si fantastica di meditare una vendetta nei confronti del capo intransigente che ci tratta male dalla mattina alla sera. Solo che qui succede veramente. Guy è un giovane neolaureato in cinema che trova lavoro come segretario per Buddy Ackerman (Kevin Spacey), importante dirigente di una casa cinematografica a Hollywood, sperando possa essere l’inizio di una strada che lo porterà al successo. Ma Buddy è esasperante, incoerente, crudele. Come nel caso di Bill Foster, la frustrazione e la rabbia repressa del ragazzo sarà l’innesco per una bomba a orologeria. Guy decide di attuare una vendetta nei confronti del capo, ubriaco del desiderio ardente di fargli sentire tutta la collera e l’umiliazione subita nei mesi precedenti.
Apparentemente niente è più importante. Il sogno di sfondare nel mondo del cinema viene eclissato dalla necessità di restituire tutto il male che gli è stato fatto. Anche qui lo scenario, seppur portato all’esagerazione, è potenzialmente realistico.
Arrabbiarsi fa bene (?)
Arrabbiarsi fa bene? Forse dipende dal contesto. Se c’è una cosa che questi film insegnano, è sicuramente che reprimere sentimenti di collera non porta mai a niente di buono. Ma quanto è vero che questo articolo non vuole essere un manuale di istruzioni per l’autocontrollo, è praticamente impensabile definire il confine entro il quale è possibile dominare la rabbia.
Vivere in una società civile è ciò che fa di noi esseri umani, motivo per cui è da sempre considerato importante trovare modi per incanalare e smaltire tutto ciò che ci rende “scomposti” agli occhi degli altri. C’è chi va a correre, chi pratica yoga, chi legge un libro. Per altri servono metodi più drastici: è così che nascono le stanze della rabbia. Da un’idea importata dal Giappone sta prendendo piede in Italia questo tipo di attività interattiva, che consiste nell’entrare in una stanza insonorizzata, dotati di tuta e casco protettivo, e cominciare a distruggere ogni oggetto all’interno di questa. Pare che i benefici contro lo stress e la frustrazione quotidiana siano notevoli, o perlomeno riducano l’avvenimento degli scenari dei film elencati.
Quindi alla fine sì, forse arrabbiarsi fa bene, il problema è il come e il quando. Perchè la verità è che non importa quante ore di meditazione e webinar sul self-control si fanno, la rabbia rimane un’emozione istintiva, e come tale impossibile da gestire nella sua interezza. A volte è addirittura concepita come un meccanismo di difesa contro chi o cosa è considerato un ostacolo alla serenità. Sì, sembra quasi un paradosso, ma niente ha senso quando si abbandona il raziocinio.
Tutto quello che possiamo fare è continuare a rimanere affascinati dalle sfaccettature di questa emozione quando la guardiamo da spettatori, consapevoli del fatto di avere a che fare con un’arma potenzialmente letale, ma irrimediabilmente umana.