Che cosa lega fra loro le politiche emotive che stanno scuotendo il mondo? Una realtà da rifiutare: Brexit l’appartenenza all’Unione Europea, l’elezione di Trump la classe politica tradizionale. Qualcosa di simile è avvenuto anche in Italia.
Già da tempo si parlava di post-politica, ma solo di recente è riemerso dalle cantine il termine “populismo”. Ad ogni modo tutte le definizioni di questa ondata globale sottintendono comunque uno sfogo liberatorio, catartico, che predomina sul programma politico. Ma della politica non si può fare a meno: in qualche forma tornerà. Nel frattempo il disordine sorto, che non minaccia solo singoli paesi ma l’ordine mondiale, ci dice anche un’altra cosa: non si può fare a meno neppure della psicologia. Chi ha intuito che l’uomo della strada era stanco di programmi socio-economici e cercava sopratutto un’emozione calcistica, ha proposto di andare alle elezioni come si va alla partita: non con documenti politici, ma con tamburi, striscioni e fischietti. E ha ottenuto ottimi risultati. La reazione alla vecchia politica ha unito gruppi nuovi, aggregando non i loro sentimenti ma i loro risentimenti. Formulare obiettivi comuni è difficile, più facile è opporsi insieme a qualcuno: USA e URSS, i rivali assoluti, in un istante divennero alleati contro i fascismi.
Anche oggi, contro tutte le aspettative, alleanze politiche inattese hanno funzionato: in Grecia, una sinistra formalmente estrema ha governato con una formazione (ah, la metafora calcistica!) di estrema destra; in Italia, un mirabolante “contratto di governo” ha unito due partiti dalle sensibilità lontane. Scomodando per l’ennesima volta Baumann, dovremmo chiamare “governabilità liquida” questa post-politica. Ma ora è giunto il momento di chiederci se un sovvertimento simile si fosse mai visto in passato, dal momento che certi sconvolgimenti psicologici profondi possono rispondere ad istinti atavici, che non mutano anche in condizioni storiche molto diverse. La folla può diventare massa, cioè provare improvvisamente emozioni comuni: avviene così quando si sente minacciata e reagisce tutta insieme con l’aggressione o la fuga.
Oltre che come filosofo, Nietzsche si distinse come storico della cultura e anticipò alcuni temi della psicoanalisi, in particolare nel testo Genealogia della morale. Secondo la sua ricostruzione, nella notte dei tempi esistevano i signori e i servi, i dominatori e il gregge; Nietzsche si chiede: aldilà dell’immagine nobile che ne è stata data dopo la sua diffusione, come si è affermato il cristianesimo? Perché il suo messaggio ha sostituito gli dei pagani che da secoli occupavano il sentimento comune? Prima della psicoanalisi, Nietzsche già sottintende che esista un inconscio: scava nelle zone buie della psiche, inaugurando quello che Ricoeur e la Chiesa criticheranno poi come “pensiero del sospetto”. Il cristianesimo penetrò inizialmente fra gli umili e gli schiavi, proprio gli esclusi che covavano un risentimento. Come accade anche oggi, questa ondata profonda sgorgò quindi prima di tutto fra gli invidiosi, privi di un sentimento o di una visione positiva ma carichi di livori da scaricare. E il cristianesimo permise loro una indiretta ribellione contro nobili e dominatori: “La morale degli schiavi dice fin da principio di no, ha bisogno per la sua nascita sempre e in primo luogo di un mondo opposto e la sua azione è fondamentalmente una reazione”.
Per il filosofo non si tratta quindi di un caso storico particolare, ma di una modalità di reazione dell’inconscio collettivo, una volta che un’intollerabile quantità di frustrazione sia stata accumulata. Questa dinamica è simile alla disgregazione del dibattito civile cui assistiamo dall’inizio del XXI° secolo: una frustrazione che digrigna i denti, anzi le zanne. I risentimenti sono oggi giustificati con critiche alla degenerazione dell’economia e della coesione sociale, ma basta osservare il tono emotivo e la scarsa disponibilità al dibattito dei contestatori per capire che questo livore ha radici più profonde. Le cosiddette sinistre sembrano aver perso qualunque ruolo proprio perché hanno continuato ad affrontare l’insoddisfazione del cittadino con gli antichi attrezzi economici e legali: in un’espressione, sono rimaste alla superficie razionale, senza tuffarsi nella profondità emozionale del problema.
Nietzsche si affermò tra chi, a fine ottocento, abbandonava la religione: il pendolo del sapere, liberato con la secolarizzazione, compiva un’ampia oscillazione verso il positivismo e le nuove scienze dell’uomo. A distanza di oltre un secolo dobbiamo constatare che l’analisi nietzschiana era, per reazione, a sua volta unilaterale, affidata ad uno psicologismo quasi assoluto. Oggi è importante rileggerla all’interno dell’insieme socio-economico detto Occidente, nonostante la nostra democrazia resti un superiore sistema astratto: fatica a capire l’importanza epocale del risentimento. I ceti politici tradizionali continuano ad alimentare l’illusione che Trump in America o il nuovo governo italiano siano transitori: le loro sigle elettorali possono esserlo, non l’emozione collettiva che la ha fatte trionfare.
Alessandro Laloni