Kendrick Lamar manca con un album ufficiale dal 2017. Tutti si aspettavano che il rapper di Compton sarebbe tornato per prestare supporto al movimento Black Lives Matter con della nuova musica. Così non è stato, ma l’attesa ora ha le sembianze di un atto di fede. L’ascesa di Kendrick Lamar verso questo status messianico è stata, per certi versi, lunga; per altri, fulminante.
La storia di Kendrick Lamar Duckworth (il suo nome per esteso) parte da Compton, una città dove storie e fatti legati all’hip hop ne sono successi eccome; fino al premio Pulitzer del 2018 – primo rapper di sempre a vincerlo. Poi il silenzio, un tour saltato causa covid, George Floyd e ancora silenzio. Ma non un silenzio che fa rumore, di chi avrebbe dovuto dire/fare qualcosa e non lo ha fatto. Un silenzio, piuttosto, che sa di speranza.
Straight Outta Compton
Compton, lo abbiamo detto, è una cittadina della California nota a chiunque mastichi un po’ di hip hop. Una delle città più violente degli Stati Uniti, qui sono piantate le radici del gangsta rap, qui sono nati gli NWA, che con Straight Outta Compton cambieranno le regole del gioco; qui si sono sviluppate le liriche di Ice Cube e qui sono stati concepiti i beat di Dr. Dre; qui giace la California Love di Tupac. Qui muoverà i primi passi – di vita e nell’hip hop – Kendrick Lamar.
Dopo una serie di mixtape con lo pseudonimo K-Dot, Lamar ottiene maggiori attenzioni con Overly Dedicated. In particolare, è il brano Ignorance Is Bliss ad attrarre l’attenzione della west coast e di figure storiche come Dr. Dre: nel pezzo vengono decantate le ragioni del gangsta rap e della vita criminale per poi sentenziare “beata ignoranza”. Tra una street credibility affermata e un’anima conscious, Kendrick si prepara al passo successivo: Section.80.
La Section 8 della generazione 1980
Section.80 esce nel 2011 solo su iTunes e viene universalmente considerato l’album di debutto di Kendrick Lamar, anche egli stesso continua a considerarlo come un mixtape. Il titolo dell’album viene dalla fusione tra la Section 8 housing, una legge sulle case popolari; e 1980, inteso come decade, ovvero la generazione che più ha subito le anguste prese di posizione della politica statunitense (Lamar è del 1987).
I momenti più brillanti dell’album sono F**k Your Ethnicity, dove amore per la cultura hip hop e denuncia al razzismo si fondono; ADHD, in cui Lamar mostra una certa sensibilità al tema della tossicodipendenza, un’altra piaga che ha colpito la generazione della Section.80; e HiiiPower, un brano in cui vengono evidenziate le storture e lo sfruttamento del sistema statunitense verso gli afroamericani.
Section.80 non è altro che un’ulteriore conferma del talento di Kendrick Lamar. La sua prospettiva sul Reale è diversa e arriva dritta allo stomaco come una verità che fa male. Lamar è prima di tutto un ottimo osservatore, come dimostrerà con la sua opera successiva.
good kid, m.A.A.d city: girando per le strade di Compton
Se per Section.80 è stato possibile fare una cernita di highlights, con good kid, m.A.A.d city (da qui GKMC) dovremmo prenderci troppo tempo e troppo spazio, finendo per non avere esclusioni. Il debutto su major di Kendrick Lamar si rivela come epocale, sia per la portata commerciale che per il carico di significato che traina con sé.
Sottotitolato A short film by Kendrick Lamar, GKMC è un concept album che narra la visione di Compton dalla prospettiva del Kendrick diciasettenne, in giro tra i quartieri sul van della madre. Tra violenza e droga e un ambiente nel quale districarsi, sopravvivere e crescere, Lamar lamenta anche uno stato attuale dell’hip hop “addormentato” rispetto agli scopi delle sue origini.
Control: il successo e il risveglio della scena
L’incredibile appeal commerciale dell’album – ci hanno voluto mettere mano Drake, Pharrell, Dr. Dre e Jay-Z, mentre Lady Gaga ne è rimasta esclusa (true story!) – ha permesso anche di riportare la chiesa al centro del villaggio. Clamoroso l’episodio di Macklemore che, fresco vincitore di un Grammy, disse che in realtà quel premio lo avrebbe meritato Kendrick Lamar.
Si tratta di un episodio significativo, poiché la dichiarazione di Macklemore si pone come una rottura a livello mainstream: in primis, ha mostrato una riverenza nei confronti di Lamar come artista; in secondo luogo, ha riconosciuto allo stesso di aver fatto qualcosa di veramente hip hop (il premio era Best Rap Artist). Ergo, l’hip hop non è quello che rappresentano i premi o i media. L’hip hop è qualcos’altro. E nel 2012 l’hip hop è Kendrick Lamar.
Una sfida a tutta la scena
Salto veloce al 2013: K-Dot si è ormai costruito una credibilità artistica inattaccabile e piuttosto che sedersi sugli allori, decide di alzare ancora l’asticella della competizione. Esce un brano di Big Sean intitolato Control: sette minuti che vedono la collaborazione di Jay Electronica e di Lamar, il quale, ruberà la scena a tutti gli altri.
Nella sua parte di brano, Kendrick istituisce un dissing nei confronti dei rapper in voga al momento: «I got love for you all but I’m tryin’ to murder you n*ggas / Trying to make sure your core fans never heard of you n*ggas / They don’t want to hear not one more noun or verb from you n*ggas».
Il risveglio e il riscatto
Nello stesso brano si autoproclama «nuovo re di New York» e «della Costa» e indirizza queste parole, citandoli, a J. Cole, Meek Mill, Drake, Big K.R.I.T., Wale, Pusha T, ASAP Rocky, Tyler, The Creator e Mac Miller, oltre che agli stessi compagni di brano Big Sean e Jay Electronica.
Le reazioni sono clamorose: i social di Lamar aumentano i follower del 510% e altri rapper rispondono alla provocazione. Chi con un altro dissing, chi reagendo: J. Cole in particolare disse di essersi improvvisamente svegliato dal torpore dopo quei versi. Kendrick ha lanciato la sfida, ma il tiro lo avrebbe alzato ancora di più nel 2015.
To Pimp a Butterfly: una colonna sonora per il Black Lives Matter
Tra il 2012 e il 2014 successero tre fatti drammaticamente importanti per la comunità afroamericana: la morte di Trayvon Martin e l’assoluzione del poliziotto che l’uccise; e gli omicidi di Michael Brown e Eric Garner, tutti afroamericani. Da questi episodi nacque e si affermò il movimento Black Live Matter.
La sensibilità di Kendrick Lamar non rimase indifferente a quanto stava accadendo attorno a lui, nonostante la celebrità raggiunta gli garantisse una sfera di protezione tale da potersene infischiare. Proprio da questo contrasto si aggirano i temi di To Pimp a Butterfly, il suo terzo album.
Tra sopravvivenza e depressione
Dal titolo criptico alla copertina iconica raffigurante dei gangasta afroamericani festanti davanti alla Casa Bianca mentre un giudice morto giace ai loro piedi: ci sarebbero libri da scrivere solo su questi due elementi. Ma la grandezza di TPAB sta soprattutto nella sua radicalità.
I temi affrontati da Lamar in questo disco rappresentano il suo rapporto con al celebrità, l’idea di sentirsi un sopravvissuto mentre altri afroamericani come lui vengono uccisi e la conseguente depressione che questo pensiero provoca: «I remember you was conflicted, misusing your influence. Sometimes, I did the same», ripete il rapper di Compton a più riprese nel corso dell’ora abbondante di musica di TPAB.
Queste tematiche vengono sviscerate tramite alcuni dei versi meglio riusciti di Lamar, mai così ispirato, e con una decostruzione musicale che passa dal jazz al funk fino al soul. La radicalità di TPAB sta nell’attaccamento alle radici della cultura afroamericana ma anche delle origini personali di Kendrick stesso: tutto è destrutturato in modo tale da vederne le singole parti, nel bene e nel male.
We gon’ be alright!
To Pimp a Butterfly ebbe un’influenza enorme e trasversale. L’album fu citato da Bowie come ispirazione per il suo album finale Blackstar, mentre Prince ne ha apprezzato la purezza. Il brano Alright invece è diventato un manifesto nelle proteste Black Lives Matter.
Di fronte a questo impatto, si è attivata anche la macchina del fango dei media americani. In particolare Geraldo Rivera di Fox News condannò fortemente la presunta natura violenta di un brano come Alright dichiarando che «l’hip hop negli ultimi dieci anni ha fatto più danni ai giovani afroamericani di quanti ne abbia fatto il razzismo». «Per me, [il titolo To Pimp a Butterfly] rappresenta usare la mia celebrità a fin di bene», dichiarò Lamar. «Un altro motivo è il non essere sfruttato dall’industria attraverso la mia celebrità». E la risposta a questo duro attacco arriverà due anni dopo.
Intermezzo: untitled unmastered
To Pimp a Butterfly fu il risultato di una lunga sessione di registrazioni che fece scartare molto materiale dalla tracklist finale. Ad entrare in possesso di parte di questo materiale fu Lebron James, stella NBA e con una particolare influenza per quanto riguarda il mondo hip hop.
Con un tweet, nel 2016, chiese a Kendrick Lamar di pubblicare tutti quei brani, perché meritavano di essere ascoltati. Tra operazione costruita e spontanea benevolenza, Lamar rilasciò untitled, unmastered, ovvero alcuni estratti di quelle sessioni di registrazione ma in versione non masterizzata e senza titolo – come suggerisce il nome della raccolta.
DAMN.: un album da Pulitzer
Le dichiarazioni di Geraldo Rivera non furono ignorate da Kendrick Lamar, che nel 2017 pubblicò DAMN., il suo quarto album in studio. La frase del giornalista di Fox News venne addirittura campionata tra i beats che introducono e attraversano DNA, uno dei brani più significativi dell’album.
DAMN, rispetto al suo predecessore, aggiorna la sua cifra stilistica portandosi su territori più trap e r’n’b, mentre le liriche sono di un Lamar passato dalla paranoia di TPAB a pienamente in controllo del suo potere. Pochissimi featuring (su tutti, Rihanna e U2) e rime taglienti, DAMN. valse al rapper di Compton un premio Pulitzer. Alla faccia di Rivera.
Black Panther: dal Wakanda all’Oscar
DAMN. prosegue la grandezza che TPAB aveva costruito, senza risparmiare nessuno, nemmeno se stesso. Il successo di questo album lo portò, in maniera adiacente, a confrontarsi con il mondo del cinema. Infatti a lui e a tutto il roster della TDE, la sua etichetta, venne commissionata la colonna sonora di Black Panther, il film sul supereroe Marvel interpretato da Chadwick Boseman.
Lamar, più che autore, è il timoniere della miriade di voci che si prestano a questo album, che comunque permette un percorso di continuità artistica al rapper di Compton. Il brano All The Stars, che vede il featuring di SZA, venne anche candidato all’Oscar. Non lo vinsero, ma lo avrebbero meritato.
Il silenzio
Dopo il 2018 Kendrick Lamar è entrato in un religioso silenzio. Qualche featuring qua e là, ma nulla di più. Le voci su un nuovo album si fanno sempre più insistenti verso la fine del 2019, quando è in programma anche un tour europeo per l’estate successiva. Sappiamo tutti com’è andata.
Nel frattempo, durante la pandemia, il caso di George Floyd scuote mezzo mondo. Il movimento Black Lives Matter si fa più forte che mai e un ritorno del rapper sembra, ora, praticamente scontato. Nulla di fatto. Oltre a qualche voce su un album “più rock” rispetto ai precedenti (definizione che ha dato vita a diverse interpretazioni) e a qualche testimonianza di una sua presenza alle manifestazioni BLM, Kendrick Lamar sembra proseguire per la via del silenzio.
L’attesa è finita?
Un silenzio che però, in virtù di quanto raccontato finora, fa più rumore che mai. Negli anni Kendrick Lamar è diventato non solo una voce della comunità afroamericana, ma la voce di una generazione intera. Le sue parole e i suoi testi sono stati fonte d’ispirazione e di speranza, e un suo ritorno discografico è atteso con grande pazienza ma anche con grande clamore. La perfezione richiede tempo, ha detto qualcuno a proposito.
Nel mentre, Lebron James ha twittato che in questo periodo incerto manca una voce come quella di Kendrick Lamar. Il suo intervento ha funzionato una volta, speriamo che anche questa sia buona.