Il Land grabbing è un fenomeno travolgente. Ormai da anni, ha dato vita a un flusso di investimenti e capitali provenienti da paesi sviluppati o emergenti. L’obiettivo è l’accaparramento di terreni agricoli nelle regioni del sud del mondo, destinati poi allo sviluppo di monoculture. Queste acquisizioni possono arrivare da governi, grandi aziende o investitori privati.
A Roma, il 16 Ottobre 2020, è uscito il rapporto annuale: “I padroni della Terra. Rapporto sull’accaparramento della terra 2020: conseguenze su diritti umani, ambiente e migrazioni”. Redatto dal Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario), ci parla della questione legata all’acquisizione delle terre coltivabili (land grabbing) sul nostro pianeta.
Per alcuni paesi il controllo dell’agricoltura all’estero rappresenta la risposta alla crisi alimentare, accentuata dalle oscillazioni dei prezzi dei prodotti agricoli. Investire in terra agricola mette infatti al riparo i paesi non autosufficienti dal punto di vista alimentare dal rischio di crisi dei prezzi dei beni alimentari, oppure blocchi all’esportazione. Assicura inoltre anche approvvigionamenti di materie prime per l’industria e al business dei biocombustibili.
Secondo l’ultimo rapporto del Focsiv erano, a marzo 2020, 79 milioni gli ettari di terra fertile che sono state accaparrate, in questi anni, da parte di imprese multinazionali, finanza, investitori internazionali e Stati a danno delle comunità di contadini locali e dei popoli indigeni, nel quadro della competizione globale per le risorse naturali del Pianeta.
La Cina, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svizzera, il Canada e la Russia sono i principali investitori. Mentre i principali paesi che vendono sono il Perù, la stessa Russia, la Repubblica Democratica del Congo, l’Ucraina, il Brasile e le Filippine. Ad essere più colpito è il continente Africano.
Le posizioni a riguardo
Agli oppositori radicali del land grabbing si affiancano diversi istituti di ricerca e agenzie governative che ritengono invece possibili e propongono interventi in grado di assicurare una situazione di soli “vincitori”.
Situazioni in cui le nazioni “insicure” in termini di approvvigionamento alimentare possano accrescere il loro accesso alle risorse agricole. Beneficiando, nello stesso tempo, le nazioni “ospiti” con investimenti in capitale umano e infrastrutture agricole. Accrescendone le opportunità di accesso ai mercati, occupazionali e di sviluppo delle conoscenze.
Verso una direzione più “mediata” si sono espressi, non senza opposizioni, anche G8, Fao, IFAD, Banca Mondiale, African Union e altri.
Le tematiche principali
L’ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan, nel discorso del giugno 2011 tenuto alla Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha definito “davvero inquietante il fatto che un rapporto abbia riscontrato che, solo nel 2009, un’area di terreno agricolo grande come la Francia sia stato comprato in Africa da fondi di investimento e altri speculatori”.
Il problema principale è legato al fatto che si va ad imporre un modello di produzione agricola diverso rispetto a quello che esiste da secoli in quei luoghi. Le colpe dell’accaparramento delle terre sono quelle di affamare e deportare, ovvero costringere all’abbandono delle loro terre, migliaia di contadini e intere comunità in tutto il mondo.
L’investimento in terre da parte di altri Paesi esteri potrebbe, in teoria, favorire un incremento della disponibilità alimentare per le aree povere del mondo, attraverso una crescita della produzione e della produttività e il trasferimento di tecnologie.
Ma, nella pratica, ad aumentare non è detto che sia la disponibilità alimentare nazionale. Soprattutto se la produzione (sia essa di cibo o di agro-energie) è destinata a rientrare nel paese investitore. La disponibilità alimentare, quindi, potrebbe addirittura diminuire. Il rischio è che le operazioni di investimento vadano a discapito dei contadini locali o facciano salire il prezzo della terra nei Paesi più poveri.
Viste le premesse è difficile indirizzare il fenomeno verso soluzioni reciproche di vincita o quantomeno assicurare ai Paesi venditori la possibilità di sfruttare i capitali mobilitati dagli investimenti in terre agricole. Sarebbe necessario garantire potere – decisionale e gestionale – e capacità negoziale alle comunità e alle istituzioni locali. Assicurando trasparenza e permettendo alle popolazioni locali diritti di proprietà essenziali.