Il SARS-COV-2 (per i profani Coronavirus) è una malattia infettiva con complicanze respiratorie nata in Cina, ormai diventata un’epidemia globale (pandemia). Il primo caso italiano risale al 31 gennaio, quando una coppia proveniente dall’epicentro dell’epidemia (provincia dell’Hubei, Hunan), arriva in Italia. Le misure restrittive si sono fatte attendere per tanto, troppo tempo (21 febbraio), chiudendo temporaneamente i voli diretti da e per la Cina, senza trattare però quelli con scalo (paradossalmente ancor più pericolosi da un punto di vista epidemiologico). Anche qui, la politica ha voluto dividersi rifiutando la linea della comunicazione e dell’umanità, barattando quest’ultima per un pugno di voti.
Dagli aperitivi ai centri commerciali
Da destra a sinistra le dichiarazioni e le iniziative sono state delle più disparate: Da destra insistevano con la riapertura delle attività produttive chiuse dai primi decreti, mentre da sinistra minimizzavano la questione proponendo aperitivi “NO PANICO”, entrambi esempi non funzionali al contenimento dell’epidemia e al bene del paese. Demagogia. Questa situazione ha però oggettivamente emarginato una serie di esercizi commerciali cinesi, costringendoli a ferie forzate e alcuni di questi alla chiusura senza termini. Non sono mancati episodi di razzismo e di Apartheid sociale nei luoghi e mezzi pubblici che non hanno fatto altro che dare un clima particolarmente pesante alla nostra Nazione. Anche qui la disinformazione e la noncuranza del problema hanno messo da parte due punti fondamentali: comunicazione e prevenzione.
Io resto a casa?
La situazione raggiunge orizzonti problematici con picchi di anche 800 morti al giorno e un lavoro da parte di operatori sanitari e medici ormai ingestibile. Il 10 marzo arriva un decreto crocevia di questa epidemia: #IoRestoaCasa. Così il premier Giuseppe Conte ha voluto denominare il Dpcm che testimonierà il difficile rapporto degli italiani con il rispetto delle regole. Di qui si nota la difficoltà di comunicazione delle istituzioni con gli elettori. Feste, fughe dai parenti, passeggiate in centro, sono solo alcune delle azioni che il nostro paese ha visto subire, creando un’impennata dei contagi. Ancora una volta il bene della comunità viene calpestato dall’atomismo individuale creatosi in questa società malata ormai da troppo tempo.
Cosa prevede
Il decreto prevede l’uscita dal proprio domicilio solo per comprovate esigenze lavorative o di necessità. Nascono le autocertificazioni, moduli più volte sostituiti con altri solo in apparenza più aggiornati ma dalla funzione inalterata. Questa è stata la prima crepa dalla quale gli italiani hanno saputo evadere. Rimarrà storico l’assalto alle stazioni di migliaia di cittadini meridionali residenti nelle regioni del nord verso quelle del sud, contagiando i passeggeri e anche i cittadini autoctoni del mezzogiorno, quest’ultimo meno colpito dall’epidemia. Uno Stato troppo burocratico e per certi versi assente si è rivelato ancora una volta inefficace.
Un decreto chiaro solo dal titolo ma che ha dato adito ad incomprensioni, creando la possibilità ad eventuali trasgressori di giustificazioni.
Il controllo
Oltre ai classici controlli il terzo millennio ci ha offerto tecnologie che ricordano 1984 di George Orwell. La Corea Del Sud, ad esempio, ha deciso di mappare i contagiati con un App affinchè questi rispettino la quarantena. Situazione simile in Lombardia, dove i contagiati venivano controllati attraverso le celle telefoniche. Nel resto d’Italia il controllo avviene tramite chiamate registrate. Non basta una pandemia per frenare gli impulsi umani ma per molti questo tipo di controllo è contro le libertà individuali. Sicuramente un discorso giusto ma che non soppesa con la situazione drammatica del nostro paese, dimostrando la fondamentale importanza di controlli. Appellarsi alle libertà individuali sarà legittimo se dopo questo periodo le informazioni sugli ex contagiati non dovessero essere eliminate dagli archivi di stato.
Golardia e pandemia
La serietà di questi decreti viene sminuita da dichiarazioni al pepe di alcuni politici (dal nobile intento) derise dai giovani. Vincenzo De Luca, governatore della Campania ironizza in modo scherzoso mandando “Lanciafiamme” a chi si dovesse azzardare a uscire di casa. Forse non esattamente il periodo migliore per scherzare, rendendo il personaggio famoso per ben altre ragioni. L’importanza istituzionale e la dignità delle figure politiche ancora una volta è venuta meno. Un’altro intervento reso celebre è il suo dissenso verso le mascherine arrivate in regione, paragonabili al musetto del coniglietto Bugs Bunny (Parole sue). Anzichè amplificare il messaggio, dopo queste dichiarazioni è stato quasi schernito dalla maggior parte dei cittadini, se non ignorato
L’altro De Luca
Anche Cateno De Luca, Sindaco di Messina, ha dato prova del suo mancato senso istituzionale, girando con dei droni per la città. Successivamente per la privacy non ha potuto più farlo, ma viene comunque ricordato con goliardia e ironia. Lo stesso sindaco aveva accusato il Viminale di mancati controlli nei confronti di alcune decine di persone che stavano approdando in Sicilia col traghetto. I passeggeri erano in regola. Il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha prontamente denunciato il sindaco per vilipendio.
Conclusione
In questi anni la vicinanza tra eletti ed elettori è quantitativamente migliorata, ma qualitativamente peggiorata. Nonostante questo rapporto apparente dei social network, la comunicazione delle cariche politiche non ha più una importanza istituzionale come una volta, portando spesse volte i cittadini a trasgredire le norme, anche in questo periodo così delicato. Si sa, violare le regole in Italia è quasi una tradizione, ma persino in questo momento mai sperimentato prima gli italiani hanno dimostrato una cosa sola: coerenza.
Stefano Moroni