Laetitia Ky è una giovane artista della Costa D’Avorio, che vanta più di 500 mila followers su Instagram e che quest’anno è presente con alcune opere alla LIX Biennale d’Arte di Venezia.
Qual è il principale materiale delle sculture di Ky? La sua chioma corvina. L’artista infatti lavora i propri capelli intrecciando le ciocche o, nel caso di progetti più complicati, li sostiene con fili e colla. Poi, davanti a uno specchio, li piega e li modella, arrivando a creare delle vere e proprie sculture.
Nel mettere a punto questa tecnica, Ky ha indagato le pratiche che le donne ivoriane usavano prima della colonizzazione occidentale e quelle della popolazione Himba della Namibia e dell’Angola. Ma molti dei modi di acconciare i capelli sono quelli che sua madre ha utilizzato su di lei fin da quando aveva cinque anni. Ky ha dato così vita a un peculiare tipo di performance e body art. Data la natura temporanea di queste opere, l’artista le documenta con una serie di scatti che vengono poi certificati con degli NFT. Infine, le fotografie vengono diffuse sui social network, luogo principale in cui Ky pubblica la propria produzione.
Il “complesso di inferiorità” ivoriano
Instagram e TikTok non sono però solo un modo per promuovere la propria arte. Sono stati anche un punto di svolta per l’artista, laureatasi in Economia Aziendale, e per la sua arte.
I suoi capelli infatti, non sono sempre stati ricci come li porta oggi. Già a partire dall’età di cinque anni l’artista ha iniziato a utilizzare dei prodotti liscianti per “disciplinarli”. È una pratica molto diffusa nel continente africano, ma anche nelle comunità afroamericane degli Stati Uniti, tramite cui, le donne cercano di “ordinare” i propri ricci naturali.
Ky vede queste pratiche come uno degli effetti di quello che definisce il “complesso di inferiorità” della società ivoriana. Si tratta del costante tentativo di emulare l’estetica e lo stile di vita occidentali, inconsciamente considerati più “sviluppati” rispetto a quelli africani. Questo sentimento è iniziato al tramonto del colonialismo, dopo che nel 1958 la Francia ha cessato di amministrare la Costa D’Avorio. Ky sottolinea che, nonostante i movimenti e le campagne per l’orgoglio africano, questa visione porta ancora oggi gli ivoriani a svalutare la propria cultura.
Con il tempo i prodotti chimici, le acconciature strette e le parrucche danneggiano i capelli a tal punto che molte persone iniziano a perderli. Proprio cercando online un rimedio a questo, l’artista è venuta a contatto per la prima volta con la comunità Natural Hair Movement in America. Approfondendo queste ricerche ha scoperto vari accounts che promuovevano l’”estetica black” e che documentavano le pratiche delle donne africane prima della colonizzazione. Le loro acconciature, realizzate con appositi utensili e misture e decorate con perline, a detta di Ky sembravano delle vere e proprie sculture. L’artista ha quindi iniziato a sperimentare queste tecniche su di sé e a pubblicare i risultati online, riscuotendo grandissimo interesse. Moltissime donne nere infatti si sentivano rappresentate, perché per la prima volta vedevano portare con orgoglio i propri capelli naturali.
The CROWN Act
L’abitudine a utilizzare prodotti liscianti e parrucche sui capelli afro è quindi anche legata alle discriminazioni nei confronti di questo tipo di ricci e di chi li porta. Recentemente negli Stati Uniti è stata emanata una proposta di legge con l’obiettivo di limitare e porre fine a questa visione: si tratta del The CROWN Act (Creating a Respectful and Open World for Natural hair). Dreadlocks, treccine, ricci in stile afro, sono stati considerati per lungo tempo poco professionali dai datori di lavoro e nelle scuole. Questo ha spinto donne e uomini della comunità nera a non ribellarsi per paura di perdere il posto di lavoro. Le pratiche liscianti inoltre vengono usate dalle persone di tutti i livelli sociali, ma la percentuale più alta si registra tra coloro che raggiungono livelli di carriera più avanzati.
Gillian Scott-Ward, professoressa di psicologia all’università di Harvard, intervistata da la Repubblica, ha raccontato di aver trattato per molti anni i propri capelli con una permanente lisciante. Quando però diversi studenti neri hanno iniziato a chiederle se l’aspetto dei loro capelli potesse influire sulla loro vita lavorativa, Scott-Ward ha capito che lei stessa stava trasmettendo loro un messaggio sbagliato e ha deciso di lasciarli crescere ricci. La psicologa spiega infatti che nei contesti in cui le persone cercano i loro modelli, come i bambini nei libri per l’infanzia, gli adolescenti alla televisione o nelle pop star, le rappresentazioni di acconciature afro sono rare. E anche questo contribuisce a non favorire la loro accettazione.
Oggi però negli Stati Uniti, la campagna del Crown Act, unitasi alle proteste del movimento Black Lives Matter, ha portato a un calo nella vendita di relaxers e soprattutto i millennials portano più spesso i capelli al naturale.
L’influenza della cultura occidentale
La presenza di riferimenti a cui guardare è quindi fondamentale. Ky stessa afferma di essersi resa conto che molti dei modelli di moda e bellezza con cui è cresciuta erano interamente influenzati dalla cultura occidentale.
Per i canoni estetici ivoriani, una donna, per essere considerata “bella”, dovrebbe portare i capelli lisci e avere la pelle bianca. Questo, dice Ky, non è altro che un altro retaggio dell’epoca del colonialismo, durante il quale coloro che avevano una pelle più chiara avevano accesso a maggiori opportunità lavorative e sociali. Queste credenze sono però presenti inconsciamente ancora oggi nella società ivoriana. Infatti, iniziata la scuola, l’artista si è trovata attorniata da compagni che avevano sbiancato la propria pelle con creme, saponi e trattamenti professionali molto popolari in Africa, ma estremamente nocivi. Ky, che aveva mantenuto invece la pelle naturalmente scura, in seguito alle continue offese ricevute, ha manifestato il desiderio di sbiancarla.
Amare i propri capelli attraverso la sua arte, dice Ky, è stato il punto di partenza per amare anche la propria pelle. Da allora l’artista utilizza le sue sculture per sensibilizzare l’accettazione dell’estetica nera e celebrare la cultura africana. Dal suo profilo riflette inoltre su numerosi temi sociali e politici come le discriminazioni verso le persone nere e la condizione delle donne in Africa.