A poche settimane trascorse dalle elezioni europee, come si può immaginare il futuro della transizione green?
La Commissione uscente ha fatto della sostenibilità uno dei suoi principali pilastri ideologici e politici. Restano, però, molti dubbi su come raggiungere gli ambiziosi obiettivi previsti e sul ruolo delle potenze extraeuropee.
Il Green Deal in breve
È “Green Deal” il nome dato al pacchetto di riforme atto a trasformare l’Europa nel primo continente ad impatto climatico zero entro il 2050. La precedente Commissione, guidata da Ursula von der Leyen, ha individuato energia, agricoltura, trasporti, industria e ricerca come settori protagonisti della transizione ecologica.
“L’Europa guida il dibattito sulle politiche climatiche attraverso l’innovazione, gli investimenti e la compensazione sociale.”
Ursula von der Leyen, dichiarazione 14 Luglio 2021
Il piano, sin dalla sua presentazione nel 2019, è apparso piuttosto ambizioso. Prevede, infatti, una riduzione del 55% delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Tra le misure previste per raggiungere tale soglia ci sono la sola produzione di automobili a emissioni zero entro il 2035 e l’utilizzo di almeno un 40% di energie rinnovabili.
La questione del carbone
Dare un prezzo al carbone è la strategia adottata dall’Unione Europea per utilizzare fonti di energia alternative e ridurre le emissioni di CO2. Per gli scambi commerciali all’interno dell’Unione era già previsto un meccanismo di compensazione delle emissioni. L’Emission Trading System (ETS), infatti, esiste dal 2005 con lo scopo di limitare le emissioni in determinati settori economici.
Questo meccanismo, nonostante l’effettivo calo delle emissioni, presenta molteplici problematiche. Le quote da acquistare da parte dei produttori europei per poter utilizzare il carbone non sono un disincentivo sufficiente. Queste infatti sono gratuite per diversi settori e molto economiche per altri.
L’altra temibile conseguenza è il cosiddetto “carbon leakage“. L’espressione indica il fenomeno per cui i processi produttivi basati sul carbone vengono spostati fuori dall’Europa, dove non sono sottoposti ad alcuna quota aggiuntiva. Le naturali conseguenze sono lo spostamento delle emissioni verso altre regioni del mondo, piuttosto che la loro riduzione, e la crescita della concorrenza nei confronti del mercato europeo.
Sono queste criticità ad aver portato alla proposta del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) all’interno del pacchetto del Green Deal. La sua graduale integrazione è prevista tra il 2026 e il 2035 e mira a prezzare il carbone anche sulle importazioni. Riguarda, in particolare, prodotti e materie prime come ferro, acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio ed energia elettrica.
Questa iniziativa ha naturalmente suscitato varie perplessità da parte dei partner commerciali dell’Unione. La preoccupazione ricorrente degli oppositori è che la misura non sia compatibile con le norme del World Trade Organization (WTO) e quindi del libero commercio.
Con cosa deve fare i conti l’Europa della transizione
Nel corso del tempo la Commissione uscente è stata portata a rivedere alcuni dei suoi obiettivi, facendo apparentemente marcia indietro. In particolare, le importanti pressioni da parte degli agricoltori hanno portato a una modifica degli obiettivi originali previsti dal Green Deal per l’agricoltura. È stato infatti eliminato il riferimento alla possibilità di ridurre le emissioni del settore del 30% entro 25 anni. Non ha poi lasciato indifferenti l’apertura di von der Leyen ad una collaborazione con le destre al Parlamento Europeo.
A prescindere dal colore e dalla direzione della nuova Commissione Europea, la transizione green auspicata deve fare i conti con diversi ostacoli e incognite.
I rapporti commerciali e politici con la Cina sono sicuramente la questione più complessa. Nonostante il settore dell’energia rinnovabile sia in crescita nel Paese, la Cina ha il primato nella produzione e nel consumo di carbone. Sarebbe quindi tra i target principali del CBAM. Inoltre, l’Unione Europea ha espresso l’intenzione di mettere dazi sulle auto elettriche cinesi sulla scia degli Stati Uniti. Questo è, infatti, un mercato in crescita esponenziale per la Cina con il quale l’Europa non può ancora competere. L’import di auto elettriche cinesi permetterebbe sicuramente una transizione green nei trasporti molto più rapida. Allo stesso tempo, però, non sembra compatibile con gli obiettivi sul carbone. Qual è il giusto compromesso tra i ridotti costi e tempi cinesi e gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni europei?
In questo quadro non è poi da dimenticare il ruolo degli Stati Uniti. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, un interrogativo cruciale è quello sul futuro delle relazioni tra Bruxelles e Washington. Nuovamente la parola spetterebbe all’Europa, dato che l’amministrazione Biden ha mantenuto, anzi aggravato, gli ostacoli commerciali imposti alla Cina dalle precedenti amministrazioni.