Muore l’artista e nascono i falsi
Alberto Giacometti è un artista di grande spessore, tormentato da un’infinita insofferenza nei confronti della propria arte. Modellare nel bronzo la solitudine dell’animo umano diventa per lui un’ossessione che lo trattiene nel suo atelier per anni. Anche la parentesi surrealista del 1928 non sembra distrarlo dal suo storico obiettivo: rappresentare la realtà così come la elabora la sua mente.
Dopo la morte di Giacometti, le quotazioni delle sue opere raggiungono cifre astronomiche; nel 2009 Christie’s batte all’asta una sua scultura per ben 115 milioni di dollari. Nel frattempo, a Stoccarda (Germania), la polizia smaschera una serie di opere contraffatte e gli investigatori si mettono sulle tracce dei soggetti coinvolti nella truffa. Appaiono decine e decine di sculture in vari musei e collezioni; eppure, è noto che Giacometti produsse pochissime sculture. Solo la Fondazione di Mannheim dichiara di esporne 6, ma di queste nessuna supera il test di autenticità.
I falsi Giacometti portati a processo
Gli investigatori, dopo numerose ricerche, trovano una pista convincente che vede come principali indiziati due falsari: l’antiquario Herbert Schulte e il suo complice Lothar Senke, un presunto mercante d’arte.
La loro collaborazione si interrompe con l’arresto da parte delle autorità locali, che riescono a coglierli in flagrante mentre estraggono dal bagagliaio dell’auto alcuni falsi. Ma le sorprese non sono affatto finite. Qualche giorno dopo l’arresto, nella periferia di Magonza, la polizia ispeziona un magazzino di proprietà dei due criminali e lo spettacolo che si presenta davanti ai loro occhi è surreale. Più di mille sculture, falsi di Giacometti in bronzo e gesso pronti per essere venduti in tutto il mondo.
Durante il processo, avviene qualcosa di davvero singolare. Lothar Senke non sembra cedere e contesta tutte le accuse. Afferma di aver ricevuto le sculture originali di Giacometti dal fratello di quest’ultimo, Diego, con tanto di documentazione a conferma della sua versione. Una storia che in realtà è priva di fondamento e ci sono numerosi indizi che possono aiutare a smentirla.
La vendetta di Diego Giacometti
Senke cerca di guadagnare credibilità appellandosi a un fenomeno reale e documentato, ovvero i numerosi “scarti” di Giacometti. L’artista infatti è noto per la sua grande insoddisfazione, che si riflette nella distruzione o scarto di numerosissime sculture considerate “acerbe”, incapaci di sostenere la forza espressiva del loro autore.
Se mi dedico alla scultura è per finirla. Per abbandonare la scultura il più velocemente possibile. Non sopporto questa forma d’arte che mi sfugge completamente. Devo mettermi a scolpire per riuscire a liberarmene […] Può essere che io non sia uno scultore.
Alberto Giacometti
Secondo l’alternativa sostenuta da Senke, le sculture non vennero distrutte perché la lungimiranza di Diego le sottrasse a quell’ingiusto destino conservandole. L’unico a essere consapevole del loro grande valore artistico. Quest’ultimo è stato presentato come un personaggio avido e vendicativo, che ha cercato di arricchirsi ai danni del fratello.
Se da una parte è vero che Diego si preoccupava di sottrarre le opere alla collera distruttrice del fratello, dall’altra è inverosimile che abbia deciso di tradirlo organizzando un mercato parallelo in cui venderle. La truffa di Senke si basa su un dato fondamentale: la mancata certificazione di molte sculture da parte di Alberto Giacometti e di conseguenza l’inesistenza di un catalogo ufficiale delle opere.
Giacometti aiuta a smascherare i suoi falsi
Non restò che affidarsi a un esperto in grado di verificare la vera natura delle sculture ritrovate a Magonza. La valutazione si svolse in un tempo molto breve perché si basava su un fatto inequivocabile, la sua cifra stilistica: il peculiare processo di formazione delle opere di Giacometti.
L’artista, infatti, ritoccava sempre le sue opere dando vita ai cosiddetti pastiches, prodotti artistici in cui coesistono parti estrapolate da diverse opere preesistenti. Sulle opere pervenute dal magazzino non c’è l’impronta dell’artista, la tipologia di fusione impiegata non corrisponde a quella di Giacometti.
Arrestati i due truffatori, mancava all’appello il personaggio che ha reso possibile la produzione e il commercio dei falsi. Il suo nome è Robert Driessen, un abile falsario autodidatta di origine olandese al quale vennero commissionati i famosi Giacometti. Ama definirsi un appassionato d’arte e non perde occasione per vantarsi della quantità di falsi prodotti durante la sua lunga carriera. Produzione interrotta bruscamente in seguito alle accuse della corte di Stoccarda, con le quali gli viene conferito il titolo di “falsario più ricercato d’Europa”. Driessen vive oggi lontano dai riflettori, in Thailandia, e ricorda quasi con nostalgia quella enorme commissione di falsi Giacometti ricevuta nel 1998.