Il 1° agosto sarebbe dovuta entrare in vigore una legge che imponeva l’obbligo di usare targhe kosovare al posto di quelle serbe su tutto il territorio nazionale. La decisione di Pristina scatena proteste al confine tra Serbia e Kosovo. In ultima istanza la situazione, definita “tesa” dalla NATO, rientra. Il governo kosovaro temporeggia, rimandando l’entrata in vigore della legge al primo di settembre.
Da tempo territorio conteso fra Albania e Serbia, quella del Kosovo è una ferita aperta.
Durante gli anni della Jugoslavia è una provincia serba che gode di una discreta autonomia; se da un lato questa condizione alimenta le spinte indipendentiste, in ultima istanza è sempre la minoranza serba a detenere il potere. Infatti, il 90% della popolazione del Kosovo è albanese e di fede musulmana, mentre quella serba rappresenta una minoranza.
Le tensioni accumulatesi esplodono in seguito allo smembrarsi della Jugoslavia. Nel 1991 rimangono solo Serbia e Montenegro nella Repubblica Federale Jugoslava guidata da Slobodan Milosevic, segretario del Partito comunista serbo.
Pulizia etnica
Dopo la morte di Tito, Milosevic smantella pezzo per pezzo l’autonomia del Kosovo. Per il presidente serbo la soluzione più semplice è quella di cacciare la maggioranza albanese dalla zona tramite una vera e propria operazione di pulizia etnica. Arresti di massa, torture, massacri vengono perpetrati in numerose cittadine kosovare. La popolazione organizza una resistenza passiva. Sul campo le milizie serbe combattono quelle dell’UCK, il Movimento antiserbo di liberazione del Kosovo.
Tra il 1998 e il 1999 si combatte una sanguinosa guerra, ambo le parti commettono violenze indiscriminatamente. Come sempre in questi casi, a rimetterci è la popolazione civile presa tra i due fuochi. Il conflitto si conclude con l’intervento della NATO che bombarda a tappeto la Serbia, costringendo Il presidente serbo a ritirare le sue truppe.
Revisionismo storico
Milosevic aveva promosso una retorica del Kosovo quale luogo origine della nazione serba. Per giustificare il controllo della regione, Belgrado si rifà al mito della “Grande Serbia” caduta in mano agli Ottomani. Viene evocato un evento in particolare, la battaglia della Piana dei merli del 1389. Anno in cui il sultano Murad I sconfigge il principe ortodosso Lazar, segnando l’inizio del dominio musulmano in Serbia e Kosovo. Secondo la retorica nazionalista il principe rappresenterebbe la forza del popolo serbo che si immola nel cercare di bloccare l’avanzata degli “infedeli”. Si tratta quindi di offrire una prova storica delle “naturale” appartenenza del Kosovo alla Serbia.
“Nessuno ha il diritto di alzare un dito contro il popolo serbo”, afferma Milosevic durante un discorso
Tuttavia, la realtà dei fatti dimostra il contrario. Nel corso della storia il Kosovo non è mai stato esclusivamente serbo. L’area è sotto dominio serbo a partire dalla metà del 1100, per circa 2 secoli e mezzo, per poi passare ai 500 anni d’occupazione turca. Solo nel 1912 la Serbia rioccupa il Kosovo, ribattezzandola “Vecchia Serbia” ma quella serba è solo una minoranza.
L’indipendenza
Nel 2008 il Kosovo dichiara unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia. La Repubblica del Kosovo viene riconosciuta ufficialmente da 113 Stati membri dell’ONU mentre Belgrado continua a considerarla come provincia facente parte integrante del suo territorio. Le Nazioni Unite continuano ad essere presenti sul territorio tramite un’operazione di amministrazione ad interim (UNMIK), ad oggi focalizzata sull’ambito militare, con truppe stanziate nella zona. Sarebbero pronte ad intervenire in caso di un rapido precipitare degli eventi e ad oggi questa probabilità sembra più concreta che mai. Certo è che la Serbia ha una grande influenza nell’area, sia a livello economico che militare. Sostenendo le minoranze serbe destabilizza i paesi confinanti (Kosovo e Bosnia) e rafforza la sua posizione.