Otello fu composto attorno al 1604 dal grande drammaturgo William Shakespeare. In Otello è la follia la distruzione fatale di un protagonista che, seppur uomo valoroso e conscio di sé, precipita in una voragine psichica, palcoscenico della narrazione. Iago, l’antagonista, è il burattinaio e il regista colpevole; tramite la parola insinua dubbi e tesse la trappola di manipolazione. In un subdolo gioco mentale, Otello è vittima di una persuasiva parola. Ecco dunque che Otello si trasforma, da amante dolce e comprensivo si rende colpevole d’omicidio, diventando l’ombra di un sé divorato da un’idea: Iago riesce nel suo intento.
Otello di Shakespeare, la parola è lo strumento
La parola è lo strumento in un’opera ove il protagonista si trasforma in un uomo geloso e carnefice.
La centralità qual è? È l’operare del male nel mondo: Iago, personificazione di questo male, esplica i suoi piani a un pubblico consapevole. Iago vuole che Otello dubiti di Desdemona, suo tenero amore, e di Cassio, suo leale amico. I due sono amanti e lui il tradito: Otello impazzisce. Il protagonista alterna momenti di lucidità a rabbia irrazionale. Prove che non sono tali lo diventano, dettagli insignificanti sono conferme, gesti d’amore conclamata ipocrisia. Eppure Desdemona, raffigurante il topos della donna angelica, è ingiustamente accusata: agli occhi di Otello è prima una dolce creatura, poi una donna disprezzabile. La difende Emilia, sposa di Iago, che protesta contro le dure condizioni a cui sono sottoposte le donne, in discorsi proto-femministi.
La parola è usata da Emilia per ribellarsi, da Desdemona per cercare amore, da Iago per rovinare Otello. Espressione dei personaggi, la parola è la persona che la dice.
Il potere del linguaggio: persuasione e caduta di Otello
Il finale vede l’ira di Otello schiudersi nel silenzio di Iago, somma eloquenza della tragedia. Iago tace quando sa d’essere stato smascherato. Non è paradossale? Iago, vice e distruttore della quarta parete, politico della parola, porta via con sé la magia. La parola termina sé stessa e trascina il villain che l’ha resa colpevole.
Intanto, Otello è stato l’alter ego di un sé costruito da un altro uomo: è questo il potere della parola, per Shakespeare?
Iago, un “villain” moderno
L’interiorità di Iago è una premessa alla modernità: l’antagonista, come Riccardo III, è consapevole di sé e ritiene che sia volontà propria essere ciò che si è. La presa di coscienza è determinante in un villain che enuncia il principio di responsabilità individuale, in un susseguirsi di delegazioni della medesima. Otello è insieme vittima di Iago e boia di Desdemona. La sua pazzia deriva da un continuum di paranoie: ciò che crede certo s’infrange. La consapevolezza viene meno e il protagonista da innamorato muta nel suo opposto.
La parola è stata il mezzo: Iago ha lasciato che il seme germogliasse in introspezione.
Da Shakespeare a oggi: la comunicazione odierna
In quest’opera, la parola delinea ciascun personaggio: la comunicazione è riflesso di intrighi e caratteri. Emilia è l’unica a usare la parola per polemizzare contro uno status patriarcale e assoggettante: la sposa di Iago rivendica più libertà femminile e affianca Desdemona in una storia di macchinazione e omicidio. L’amore stesso tra Desdemona e Otello nasce dal potere della parola in quanto lei si innamora delle sue storie. La narrazione assume, quindi, una connotazione al contempo positiva e negativa. E il potere della parola s’intaglia nella contemporaneità, da Shakespeare ai nostri giorni: propaganda, disinformazione, fake news. Essere consapevoli della potenziale forza comunicativa è imperativo, così come proteggersi da essa.
La parola ora
Lisia, logografo ateniese, scrive testi giudiziari su commissione, adattando lo stile alla persona interessata. Socrate mette in guardia dai sofisti. Schopenhauer elenca una serie di presupposti retorici per garantire una ragione assicurata. Italo Calvino, in “Lezioni americane”, racchiude il nuovo modo di fare scrittura su cui fondare la letteratura a venire. Dalla letteratura, alla società, alla storia, la parola raffigura il filo conduttore. I tiranni adoperano la censura e centralizzano l’informazione arrivando anche a mettere mano sulla lingua: in Italia, nel 1923, furono vietate le parole straniere in quanto “pericolose”. Tullio De Mauro, noto linguista, incentiva a focalizzarsi sul destinatario, analizzando su di lui l’effetto della parola. Michelangelo Cotelli e Noemi Urso scrivono un libro sulle “fake news”, sempre esistite. Perché ciascuno è vulnerabile: i bias cognitivi inducono ad errore. In una società i cui mezzi di comunicazione sono in evoluzione, è necessario sapere cosa sia e come fare comunicazione.
Shakespeare insegna.