Nella sua prima esperienza alla Volley Casalmaggiore, aveva portato a casa una Supercoppa italiana e una Champions League. Il suo ritorno in Lombardia questa estate era stato accolto con molto entusiasmo dai tifosi rosanero, almeno fino a qualche giorno fa: la statunitense Carli Lloyd ha annunciato di essere incinta.
Una notizia che di per sé porterebbe felicità e nuova vita, ma che i tifosi non hanno gradito. All’annuncio del club, infatti, sono scattati gli insulti più gratuiti da parte degli haters, sia donne che uomini.
È come quando assumi un’operaia dell’Est a tempo indeterminato e lei resta magicamente incinta
Io non la pagherei, quella è la porta e ciao
È incinta? Strappatele il contratto
Ma non c’è limite al peggio, e sui social compaiono anche battute sessiste e razziste. Con tanto di like e faccine sorridenti di altri utenti. Qualcuno ironizza anche sulle sue preferenze sessuali.
Per fortuna c’è anche chi le ha mostrato solidarietà, non solo tra i tifosi, ma anche tra sportivi.
Sessismo e discriminazione
Quello che sta accadendo alla Lloyd è l’ennesima prova del fatto che il mondo del lavoro, è ancora dominato da sessismo e discriminazione di genere.
La gravidanza viene vista ancora da molti come una vera e propria “sciagura”, più che come la celebrazione della vita. Eppure, è possibile che nel 2020, una donna debba davvero ancora avere paura del fatto che la gravidanza possa farle perdere il lavoro?
Diventare mamme non è forse un diritto, che non dovrebbe escludere la possibilità di continuare a lavorare?
Il mobbing per maternità
Non è un Paese per mamme. Questo è, invece, la fotografia di un’Italia dove dominano le vessazioni, le ordinarie ingiustizie, le discriminazioni subdole e banali. Ma non per questo meno tremende. Che hanno come bersaglio le lavoratrici da poco diventati madri, considerate dalle aziende “meno produttive”.
Lo confermano i sindacati e le associazioni di categoria: ogni giorno si ritrovano a ricevere segnalazioni e a raccogliere storie di donne vittime di mobbing al rientro dalla maternità, o addirittura a gravidanza ancora in corso.
La situazione tipica è quella in cui la lavoratrice comincia a esser messa da parte, fino a perdere la professionalità acquisita, e finendo col fare lavori sempre più marginali.
E cosa accade, alle lavoratrici in gravidanza, al rientro dopo il parto? La donna può non trovare più il suo posto di lavoro precedente: se non può essere licenziata, le si affidano lavori di bassa professionalità e generici.
L’assenza di strutture dedicate, l’alto costo dei nidi privati, le difficoltà degli orari d’ufficio, le malattie del bambino, fanno sì che per la donna spesso il fatto di avere un figlio rappresenti un dramma.
Problemi anche al feto
Ma non solo alla neo mamma: il mobbing e le varie forme di discriminazione fanno male anche al feto.
Questa forma di violenza psicologica causa, infatti, problemi di peso alla nascita e rallentamenti di crescita mentre è nel pancione.
Stando a quanto emerso da numerose ricerche, l’isolamento, il demansionamento e altri volti della discriminazione, portano spesso le madri all’indebolimento fisico e i neonati ad avere problemi alla nascita (sottopeso, nascite premature e visite più frequenti).
Maternità e lavoro: diritti e tutele
Ma questo 2020 porta una buona notizia per le mamme: vi sono, infatti, delle normative che le tutelano da discriminazioni e demansionamento.
In particolare:
- Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza (300 giorni prima della data presunta del parto) fino al termine del congedo di maternità e fino a 1 anno di età del bambino. Fanno eccezione, ovviamente, fine contratto, esito negativo del periodo di prova, chiusura attività e giusta causa.
- La lavoratrice deve essere adibita alle ultime mansioni da lei svolte o equivalenti. Il demansionamento ingiustificato costituisce una forma indiretta di discriminazione.
- È vietata qualsiasi discriminazione inerente allo stato di matrimonio o di famiglia.
Sempre dietro l’angolo
Avere un figlio è sicuramente una risorsa, sia dal punto di vista umano che sociale ma, per una donna che lavora, o che sta cercando un lavoro, può trasformarsi in un handicap.
La discriminazione sul lavoro, purtroppo è dietro l’angolo. E basta questo, purtroppo, per trasformare una notizia lieta in un incubo.
Una professionista in Italia, dopo la maternità, spesso non viene più vista nello stesso modo. In un ambiente di lavoro a una mamma si chiede sempre “come sta il bimbo? che fa?”. Ad un papà questo capita meno frequentemente.
Il problema principale è la mancanza di sostegno organizzativo, interno ed esterno. Modelli poco flessibili sul lavoro, per esempio. Oppure la mancata presenza di compagni nel contesto familiare.
Sicuramente, fino a quando ci sarà poca informazione sulla genitorialità e quel che comporta in un contesto aziendale, poco verrà fatto.