Ogni artista è legato inesorabilmente al luogo in cui è nato, in cui è vissuto. A riguardo possiamo contare varie e mirabili dimostrazioni: dalla Roma cruda e sporca che fa da scenario ai romanzi di Pier Paolo Pasolini, al folklore fiabesco della Russia nei quadri astratti di Vasilij Vandinskij, agli scorci di campagna della Urbino delle poesie di Paolo Volponi. In fin dei conti cosa è un uomo senza una lingua da parlare, una terra di cui essere figlio? Per Fabrizio De Andrè Genova era questo ed altro: madre, porto sicuro, identità. Genova è “la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, le “graziose” di via del Campo”, come dirà in un’intervista sulla sua città natale.
A 20 anni dalla morte di Fabrizio De Andrè
Oggi, nel giorno dell’anniversario dalla sua morte, proveremo ad addentrarci nella Genova del cantautore, vissuta nelle notti degli anni ’60 e ’70. Una città di stretti cunicoli, stradine e povertà. Una città di mare, ricchezza del Mediterraneo e crocevia di grandi culture del passato.
La Città vecchia
https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=r2L5MJdTCFI
Tra le sue canzoni più emblematiche a riguardo, “La città vecchia” dipinge i quartieri della sua Genova “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”. Sono i luoghi che era solito frequentare durante la sua gioventù, quella parte della città dimenticata da Dio e abitata da quegli uomini e quelle donne che saranno sempre protagonisti delle sue opere, gli ultimi. Gli emarginati che nell’ultima strofa della canzone ci invita a non giudicare ma al contrario, a comprendere.
Crêuza de mä
https://www.youtube.com/watch?v=78YNQ7zzxvQ
Canzone d’apertura dell’omonimo album, interamente cantato in genovese, ci fa cambiare scenario rispetto a “La città vecchia”. Qui rivive la Genova città di mare, la Genova protagonista di commerci, scambi e viaggi. Non a caso il ligure viene scelto come lingua dell’album. Il ligure che è commistione di parole derivanti da lingue diverse, lingua eterogenea e malleabile, con influenze greche, arabe, spagnole, francesi e inglesi. Qui Faber ci racconta la storia di un gruppo di marinai stanchi che vengono dal mare e ritornano alla terraferma. Uomini stanchi e affamati, protagonisti di un album che è un’apologia della povera gente che lotta contro il destino.
Dolcenera
https://www.youtube.com/watch?v=iKSkLw7YKwo
Tra le sue canzoni più famose, oltre che narrazione di una storia d’amore è anche il racconto dell’alluvione che colpì Genova nell’ottobre del 1970. Un’alluvione “che non si vedeva da una vita intera”. I quartieri di Genova vennero sommersi e ci furono 25 morti. La forza inarrestabile dell’acqua viene espressa da vari passi all’interno del brano: “nera che porta via la via”, “che butta giù le porte”, “che ammazza e passa oltre”, “nera di falde amare”.
Proprio sullo sfondo di questa Genova distrutta dalla calamità, si dirama la storia di un amore senza ragioni perchè “l’amore ha l’amore come solo argomento”.
Grazie faber
Questo è solo un piccolo contributo di Sistema Critico alla giornata di oggi, piena di iniziative in tutta Italia, tra “cantante anarchiche” nelle piazze e incontri con chi De Andrè l’ha conosciuto davvero.
Altri racconti della Genova di Fabrizio De Andrè:
https://www.youtube.com/watch?v=wJ5jjUVqHbE
https://www.youtube.com/watch?v=dwr01fWUwiw
https://www.youtube.com/watch?v=jg3-RNNxayA