lunedì, 18 Novembre 2024

La generazione valigia vol. 3: come è cambiata l’idea di cibo

Eccoci tornati al terzo appuntamento di questa sorta di rubrica nata per caso: la generazione valigia. Uno stratagemma per parlare di come vivono le nuove generazioni e di come si relazionano a concetti come la casa e il lavoro. Dopo aver infatti parlato di come questi due ambiti hanno subito delle grandi rivoluzioni, e quindi sono cambiati nell’immaginario delle nuove generazioni, oggi vorrei analizzare come è cambiata nel corso degli anni l’idea di cibo.

La storia del cibo è lunga quanto quella degli esseri umani. Le diverse abitudini alimentari nel corso dei secoli sono state modificate da fattori psicologici, climatici, tecnologici e relazionali. Questo ci spinge a sostenere che, senza dubbio, l’alimentazione è anche cultura. Andiamo quindi a capire come, al cambiare della cultura e del mondo circostante, è cambiato anche il nostro rapporto con il cibo.

Abitudini alimentari e sviluppo tecnologico

Prima del Settecento, la stragrande maggioranza delle persone aveva un’alimentazione a base di grano integrale, legumi e semi oleosi. Questi prodotti erano di facile reperimento soprattutto perché più economici rispetto alla carne e il pesce, che sono rimasti per secoli alimenti accessibili solo alle classi più agiate. Una grande rivoluzione fu l’introduzione della dieta dello zucchero, che rese i cibi più assimilabili, ma più poveri a livello nutrizionale.

Il Novecento è il secolo in cui arrivarono le biotecnologie applicate all’agricoltura. È anche il periodo dello sviluppo tecnologico e dell’automazione, che vennero impiegate sempre in campo agricolo, per svolgere i lavori senza fare troppa fatica.

Con la fine delle grandi guerre e l’inizio di un periodo di relativa pace nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, iniziò una fase di prosperità economica. Diffondendosi il benessere, implementandosi la ricerca scientifica e migliorando dunque le condizioni di una fetta sempre più grande di popolazione, cambiò anche l’approccio all’alimentazione.

Negli anni ’50 e ’60 infatti, le persone cominciarono a sperimentare un aumento delle calorie a disposizione. All’aumentare del reddito, aumentava infatti il consumo di calorie. Il grande senso di deprivazione che avevano provato le persone durante gli anni della guerra, fu la base su cui si costruì l’idea per cui al benessere corrispondeva l’opulenza in tavola.

In questi anni, pur rimanendo stabile il consumo di cereali sulle tavole degli europei e americani iniziarono a comparire più frequentemente carne, latte, formaggi, zucchero e grassi. Più soldi si avevano da spendere e più si compravano prodotti con un grande apporto proteico ed energetico. Era a questo punto fondamentale trovare un modo per garantire in sempre maggiori quantità tali alimenti.

Prima del frigorifero: breve storia della conservazione a freddo del cibo |  La Cucina Italiana

La modernizzazione tecnologica e in primo luogo la diffusione del frigorifero si rilevarono determinanti per l’affermazione dell‘industria conserviera. Il cibo poteva ora essere accumulato più facilmente, ma soprattutto poteva essere trasportato per giorni senza grandi problemi. La dieta delle persone cominciò a basarsi su alimenti prodotti a migliaia di chilometri di distanza. Cosa che cominciò a produrre guerre commerciali sui prezzi, per cui le persone avevano iniziato a prediligere beni alimentari provenienti da altri paesi, e spesso di qualità inferiore, che risultavano essere più economici.

Più cibo per tutti, dalle monoculture ai fast food

Tutti i processi di semplificazione implementati per stare al passo con le nuove richieste dei consumatori hanno avuto enormi conseguenze sui metodi produttivi, sia nella filiera agroalimentare che in quella degli allevamenti.

Partendo dal mondo dell’agricoltura, la trasformazione più grande è stata senza dubbio l’implementazione sistematica della monocultura. In nome di una più facile reperibilità dei prodotti vegetali più richiesti, la pratica di destinare intere coltivazioni ad un unico prodotto ha accelerato la cancellazione di biodiversità già in atto. Tutto questo ha reso il mondo sempre più dipendente da lontani approvvigionamenti e da un’economia agroalimentare in mano a grandi imprese, con il conseguente ridursi del numero di prodotti reperibili a favore dei pochi che divengono globali.

Cos'è la monocoltura? - Wikifarmer

Ma la rivoluzione del settore agroalimentare non può in alcun modo competere con i cambiamenti epocali avvenuti nel settore dell’allevamento di animali da macello.

Secondo alcuni dati FAO del 2019, sono circa 75 miliardi gli animali che vengono uccisi ogni anno per essere mangiati. Tali numeri sono raggiungibili solo con un’efficienza e un’organizzazione mai sperimentare in precedenza nella storia dell’umanità. Se infatti la popolazione mondiale dal 1970 ad oggi è più raddoppiata, la quantità di carne prodotta è più che quadruplicata.

Mentre la domanda per il consumo di carne continua a crescere vertiginosamente, il mercato ha risposto creando un’offerta di prodotti sempre più economici, di veloce produzione, ma di scarsa qualità e soprattutto di dubbia provenienza.

Junk food: cos'è e perchè fa male? - Project inVictus

Eccoci dunque arrivati alla nascita dei fast food. L’idea di base era quella di ottimizzare risorse e consumi e, ovviamente, incrementare i guadagni: in poche parole sfruttare il sistema di una catena di montaggio applicandolo alla ristorazione. Le caratteristiche del junk food sono principalmente le basse qualità nutrizionali, la presenza di tanti zuccheri, grassi saturi e poche fibre. E’ questa la ragione per cui la larga diffusione dei fast food ha portato ad una progressiva ed altrettanto rapida diseducazione alimentare

Le nuove sensibilità della generazione valigia

Tutti sappiamo che continuare in questa direzione e a queste velocità di produzione di cibo si è rivelato insostenibile, oltre che dannoso per la salute e per l’ambiente.

La cosa che dobbiamo chiederci adesso è: le nostre nuove, e spesso cattive, abitudini alimentari sono irreversibilmente determinate? O forse non è troppo tardi per modificare ancora una volta il nostro rapporto con il cibo?

Gli ultimi decenni, come abbiamo visto, sono stati caratterizzati da fast food, allevamenti intensivi, monoculture e grande distribuzione di prodotti insalubri. Questo fa si che intere generazioni siano nate in un mondo (parlando sempre dell’Occidente) dove il cibo è qualcosa di tendenzialmente facile da reperire; dove si dà spesso più importanza al gusto che alla provenienza dell’alimento.

Queste generazioni (millennials e z) hanno una percezione degli alimenti completamente opposta rispetto a quella dei loro nonni. Ad esempio, per mia nonna (classe 1926) i prodotti agricoli a km 0 erano probabilmente quelli più economici e facilmente accessibili. Al contrario per me (classe 1996) questi tipi di prodotti sono probabilmente tra i più cari. Molto più costosi di un hamburger di pollo facilmente acquistabile anche con meno di 2 euro. Il cibo considerato “da poveri” è diventato “da ricchi” e viceversa.

La sostenibilità del sistema alimentare » Alia Insect Farm

Mai nella storia dell’umanità una generazione aveva consumato tanta carne. Eppure negli ultimi anni, un approccio ancora diverso all’alimentazione e una sensibilità tutta nuova si stanno imponendo: la sostenibilità alimentare.

Grazie all’ “effetto Greta Thunberg” sono tantissimi i ragazzi che hanno preso coscienza della necessità di condurre uno stile di vita diverso. I pilastri di questo nuovo approccio alla nutrizione sono: consumare meno cibo, sprecare meno alimenti e privilegiare nelle nostre scelte i prodotti vegetali rispetto a quelli di origine animale. E sempre più persone, giovani e non, si dimostrano pronte a rispettare questi impegni.

Se il movimento mantiene l’attuale tasso di crescita, tra dieci anni una persona su cinque sarà vegana. Stando alle ultime stime, nel mondo ci sono attualmente 100 milioni di vegani e 800 milioni di vegetariani. Il numero totale di vegani, vegetariani e categorie simili si avvicina al 14 % percento della popolazione mondiale – ed è in aumento ogni giorno.

Sui social spopolano account di persone che offrono consigli su come seguire diete, non necessariamente rinunciando all’alimentazione onnivora, considerate più sostenibili. Moltissimi altri esempi arrivano anche dal mondo delle celebrities: attori, modelle, cantanti che raccontano dei loro nuovi regimi alimentari plant based.

Se è vero che ad oggi queste scelte alimentari sono più costose e richiedono molta più cura e attenzione al momento della spesa ad esempio, la crescita della domanda sta progressivamente facendo anche aumentare e variegare l’offerta, permettendo ai prezzi di scendere gradualmente.

Difficilmente potrà avvenire ciò che è avvenuto nel settore della carne (aspetto che la storia mi smentisca), perché alimenti certificati biologici o a km 0 sono per loro stessa natura dei beni che richiedono lavorazioni più lunghe e non rendibili “di massa”, ma sicuramente c’è un margine di diffusione e di diminuzione dei prezzi. Soprattutto se le nuove generazioni si continueranno a dimostrare proiettate verso questa nuova direzione condizionando il mercato.

Potranno dunque essere i millennials e la gen z gli apripista per una nuova reinterpretazione dell’idea che abbiamo di cibo e alimentazione? La risposta sembra essere senza dubbio SÌ.

Insomma, ci avevano detto “siate affamati, siate folli“, ma forse era il caso di aggiungere “siate pronti a salvare il mondo con coltello e forchetta“.

Sara Valentina Natale
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Sara Valentina Natale. Laureata in Studi Internazionali, ho scelto di proseguire i miei studi con un master in Corporate Communication, Lobbying & Public Affairs a Roma . Adoro scrivere, fare polemica e bere Gin. Aspirante femminista, europeista incallita, sportiva occasionale.

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