La normalizzazione del fenomeno
Quello di accostare il sostantivo dittatura ad un fenomeno o atteggiamento è ormai diventato un tic verbale, un habitué da cui fuggire è arduo. Questa nuova vague di iperattività verbale ha travolto anche il Politically Correct. Si tratta dell’ennesimo e palese prestito anglofono figlio dell’urgenza di un vocabolario orfano di pregiudizi e discriminazioni. Cosi, un’espressione “ politicamente corretta” – sì, si può dire anche in italiano- diventa paladina della giustizia e della neutralità.
Neutralità non neutrale
Ma come si può pretendere di neutralizzare il linguaggio? La tesi freudiana – che considera il nevrotico un individuo sofferente poiché costretto dai vincoli della società a reprimere le sue pulsioni- fa al caso nostro.
Infatti, così come il nevrotico soffoca il suo vero io, il soggetto x, pervaso dal dogma del politicamente corretto, soffoca le sue vere tendenze linguistiche.
Dunque, x si ritrova:
- 1) gettato nel baratro del conformismo linguistico
- 2) manipolato da una “ setta” di paladini del perbenismo
- 3) con spinte ad un’aggressività verbale maggiori
- 4) in uno stato di guerra ideologica con l’altro.
La lingua del solipsismo antipolitico
Basta spostare lo sguardo oltreoceano, nei safe spaces delle università americane, maisons di quella sinistra identitaria chiusa a qualsiasi genere di dibattito. “ In quanto y io penso così”. Cosa c’è di più politically correct di questa locuzione propria di una New Left decaduta. Politically correct , sì, e antidemocratica. Ed è proprio questo l’incubo; quello di scadere in una lingua anti pluralista – in parte siamo già stretti nella sua morsa- In quanto y io(x) penso cosi, X ha il diritto di pensarla in un certo qual modo solo in qualità di y? Supponiamo x non fosse y ma z: verrebbe bollato a priori ?
È come trovarsi in un coro di solisti. Non c’è comunicazione, non c’è pluralismo, solo una valanga di regimi dittatoriali attorniati da presunti nemici.
Una gerarchia pervasiva
Non si tratta quindi di semplice conformismo linguistico ma di una vera e propria verticalizzazione della lingua. Come una dittatura considera legittimo un solo partito, il Politically Correct degenerato -quello odierno- avalla un solo set linguistico ripudiando gli altri. Orwell ci insegna che più una lingua è restrittiva meno il pensiero è libero. Premettendo che la battuta è l’unità di misura di un articolo di giornale, immaginiamo una sfera: la lunghezza del suo raggio è direttamente proporzionale al numero di battute. Orwell: quello di 1984? Sì. Il setting di 1984 è un mondo distopico e speculare a regimi totalitari.
Digressione storica
Spostiamo infatti le lancette dell’orologio alle, non so, 8 del giorno 27 ottobre 1922. Inizia la Marcia su Roma, portale d’accesso all’Italiana fascista, l’Italia mussoliniana. E dov’è il link con il Politically Correct? Beh, gli anni di Mussolini furono un vero e proprio Purgatorio Linguistico. Quella dell’italianizzazione è stata però soprattutto un’azione politica del fascismo storico.
Il linguaggio come mezzo politico
Senza analizzare l’edificio linguistico dei fascisti mi limito ad una considerazione: la lingua è uno strumento del potere e con potere intendo anche quello politico. Pensare il Politically Correct come un atteggiamento sociale è alquanto riduttivo. La società civile è uno strumento della lingua tanto quanto questa è un mezzo di penetrazione della politica nella società civile stessa.
La mente umana: un ingranaggio da sfruttare