domenica, 22 Dicembre 2024

La banalità del male e l’assenza di pensiero

La banalità del male

Tra i molteplici argomenti di filosofia ho scelto di trattare o comunque di accennare all’opera filosofica di Hannah Arendt (filosofa, storica e scrittrice tedesca con cittadinanza statunitense). “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” scritta nel 1963, in seguito al processo ad Adolf Eichmann, la ritengo ancora oggi molto attuale.
Adolf Eichmann era un tenente colonello del terzo Reich e responsabile del trasporto degli ebrei nei campi di sterminio.
Catturato in Argentina da agenti dei servizi segreti israeliani, venne subito portato a Gerusalemme dove si tenne il processo.
Il saggio “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” è sostanzialmente il diario dell’autrice, inviato al settimanale New Yorker, che racconta in modo estremamente dettagliato non solo il gerarca Adolf Eichmann ma anche tutta una serie di riflessioni sulla Germania nazista.

Chi era davvero Adolf Eichmann?

La Arendt grazie ai suoi scritti ci permette di immergerci in quella che era l’aula del tribunale.
L’aula viene definita da lei stessa come una specie di teatro, su il cui palcoscenico si rappresentava un dramma dai ruoli ben definiti.
Le deposizioni e i racconti del gerarca nazista appaiono alla scrittrice confusi, incerti e lacunosi; egli non ricorda e dice di non sapere.
L’uomo che appare dinanzi a lei è un uomo debole, insicuro e anche sfortunato, non ha mai terminato gli studi; un amico lo aveva avvicinato al nazismo e lui si era lasciato coinvolgere pensando che non ci fosse nulla di male.
Un uomo che durante la propria vita aveva semplicemente continuato a svolgere gli ordini che gli erano imposti.
Continuava ad organizzare i viaggi dei treni pur sapendo il destino a cui andavano incontro quelle persone; conosceva perfettamente il progetto della “soluzione finale” voluto da Hitler.
Aveva visto con i propri occhi che cosa accadeva nei campi di sterminio eppure sosteneva di aver agito semplicemente secondo quanto gli era stato imposto, direi più precisamente per un senso di dovere.
Era una persona comune come tante, ed è questa normalità che sconvolge, che ti lascia senza parole e ti inquieta e spaventa allo stesso tempo; l’aspetto più terrorizzante del nazismo.

“Non era stupido, era semplicemente senza idee. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria.”

L’assenza di pensiero

Allora ciò che davvero colpisce è il titolo dell’opera: “la banalità del male”.
Si può davvero definire una simile malvagità banale?
E l’uomo, è un essere malvagio per natura?
Ciò che afferma la Arendt è che una tale crudeltà è data dal fatto che è presente una completa assenza di pensiero e non nasce da un’innata caratteristica dell’uomo.
Fu proprio l’assenza di pensiero a rendere Eichmann un criminale.
Infatti le persone come lui che non riflettono sono inclini ad eseguire gli ordini imposti dal potere, senza nemmeno chiedersi se siano giusti o sbagliati e a che cosa possano spingerci.
La banalità del male non è altro che l’insufficienza di idee, di critica, di lotta verso comportamenti e ideali che alienano la nostra vita.
La mancata reazione nei confronti di una profonda socializzazione.
Le persone diventano marionette nelle mani del potere.
Arendt ammette la responsabilità morale e politica del popolo tedesco che mantenne un silenzio complice.

La mancanza di giudizio che spinge verso l’apatia: “così fan tutti”

La domanda che nasce più spontanea durante la lettura del libro è

“Ma se io fossi vissuto in Germania ai tempi del nazismo avrei contrastato Hitler o avrei seguito la maggioranza?”.

È davvero così facile come si pensa giudicare che cosa sia giusto o sbagliato quando si vive in una società come quella della Germania nazista?.
Certo c’è una grossa differenza tra i mali del nostro presente e ciò che è accaduto sotto il nazismo, ma sicuramente oggi molti di essi derivano dalla mentalità “così fan tutti”; giustificati dai cattivi esempi della politica e della scena pubblica.
In seguito a vari fatti di cronaca è possibile costatare che se una ragazza viene aggredita per strada nessuno muove un dito, stessa cosa se un ragazzo viene picchiato a morte all’interno di una discoteca.
Basti anche solo pensare all’ultimo episodio di razzismo da parte di alcuni tifosi della Lazio che hanno riprodotto degli adesivi con l’immagine di Anna Frank che indossa la maglia della Roma con riferimento chiaramente dispregiativo.
Diventa quindi fondamentale la responsabilità dell’uomo, del cittadino e dell’individuo per evitare il male.
La mancanza di giudizio spinge verso quella che è meglio definire apatia nei confronti del dolore altrui con diffusione di un male privo di motivazioni.
Per la filosofa il concetto di umanità non è possibile raggiungerlo attraverso la solitudine, ma solo con l’azione, la parola, il confronto.
L’azione ci permette di entrare in rapporto con gli altri in modo immediato, cosi non solo interveniamo nel mondo, ma facciamo il mondo.

 

Giada Luperini

 

 

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