All’una di notte di lunedì 3 luglio Israele lancia un’offensiva aerea e terrestre nella città occupata di Jenin, in Cisgiordania: si tratta della più grande operazione militare degli ultimi decenni. Migliaia di soldati accompagnati da bulldozers, cecchini sui tetti e droni si dirigono verso il campo profughi, abitato da 11000 persone e considerato base di gruppi armati palestinesi (Hamas, Jihad islamico, Fatah).
Tale dispiegamento di forze rientra nelle operazioni antiterrorismo israeliane; all’ingresso delle truppe, le brigate palestinesi rispondono con il fuoco. Dopo 48 ore, il bilancio è di 13 morti, di cui 12 miliziani palestinesi.
Un portavoce del presidente palestinese Mahound Abbas ha definito l’operazione come “un nuovo crimine di guerra contro la nostra gente indifesa”. Il numero dei palestinesi uccisi nel 2023 sale a 133, Hamas invita i giovani della Cisgiordania a unirsi all’organizzazione, così come il Movimento per il Jihad Islamico si dice pronto a colpire il nemico, rispondendo all’operazione a Jenin.
Israele-Palestina: una spirale di violenza
Israele dichiara l’arresto di 150 sospetti, il sequestro di armi e la distruzione di un centro di comando delle milizie, ma il successo dell’operazione è di breve termine, poiché i gruppi si riarmeranno. Il risentimento tra le fazioni aumenta, intensificando la spirale di violenza che è diventata quotidianità ormai da tempo per le persone che vivono in queste zone. La popolazione di Jenin è arrabbiata, in primis contro l’Autorità Palestinese perché non ha fatto niente per impedire l’operazione.
Gli abitanti del campo trovano macerie al posto delle abitazioni, chi è in casa cerca di allontanarsi dalle finestre per evitare di essere colpito dalla pioggia di proiettili. Alle 7 di lunedì mattina le forze israeliane occupano le strade.
“Sembrava che un terremoto avesse colpito il campo di Jenin. Le strade erano state completamente cancellate, le ambulanze non potevano passare, i feriti dovevano andare a piedi”.
Ameed Shahada, giornalista di Al Araby
Martedì 4 luglio a Tel Aviv un’auto investe alcuni pedoni, l’attacco viene rivendicato da Hamas. La risposta di Netanyahu è ferma: “la lotta contro il terrorismo a Jenin andrà avanti fino a quando la minaccia sarà eliminata”. Linea sostenuta dalla componente di estrema destra, essenziale per la sopravvivenza dell’esecutivo, in particolare il movimento dei coloni. Lo stesso ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha sostenuto pubblicamente un insediamento illegale costruito in territorio palestinese.
Stando alle dichiarazioni del primo ministro, l’operazione a Jenin potrebbe essere la prima di una serie di incursioni nel territorio.