Janis Joplin, voce struggente e simbolo del blues, o ‘Pearl’ come era chiamata dai suoi amici o così come era intitolato uno dei suoi album, se non fosse morta a soli 27 anni oggi ne avrebbe 78.
È cresciuta a Port Arthur, una città petrolifera conservatrice sulla costa del Golfo, suo padre lavorava in una raffineria di nome Texaco e la madre era invece un’insegnante.
La sua adolescenza nella bigotta e razzista provincia texana la portano presto a sentirsi fuori posto. Janis sapeva di essere diversa. C’era la sua bisessualità, c’era la sua voglia di libertà ed emancipazione e la sua schiettezza ma c’erano anche i suoi stessi sguardi e l’immagine di sé che disprezzava. Pensava che il suo naso e la sua bocca fossero troppo grandi, i suoi capelli troppo ribelli, le sue forme morbide e l’acne l’avrebbero fatta sentire presto una disadattata.
Negli anni ’60 però la sua metamorfosi a dea dionisiaca la renderà un simbolo. Come scrisse la critica Ellen Willis su Rolling Stone, anche se Joplin non era “convenzionalmente carina”, erano la sua energia, la sua dolcezza, la sua arroganza e il suo senso dell’umorismo a fare la sua bellezza.
A soli 17 anni lascia la sua città e la prospettiva di una vita che non le apparteneva, quella si moglie e madre.
Per inseguire il suo sogno di diventare una cantante inizierà a guadagnarsi da vivere facendo la cameriera in diversi bar.
Si iscrive all’università di Scienze Sociali ma ben presto risponde alla chiamata del blues e inizia ad esibirsi per alcuni club di provincia. Incontra Jorma Kaukonem, chitarrista e futuro membro dei Jefferson Airplane, e inizia ad esibirsi con lui con una repertorio prettamente folk e country.
Dopo aver racimolato un po’ di soldi, parte per San Francisco, città più innovativa in campo musicale e che si accordava con lo stile di vita degli anni ’60.
A San Francisco, però, conoscerà eroina e alcool, unici veri amanti che non la tradiranno mai.
Proverà a lavorare ma, nello stesso modo in cui non era mai stata la ragazza modello di provincia, non sarà neanche la migliore lavoratrice. Vivrà infatti perlopiù con i sussidi di disoccupazione.
I need a man to love
Nel 1966 tornò a Porth Arthur. La scusa fu quella di organizzare il matrimonio con un tizio che la ingannò e non la sposò mai. La verità era che voleva allontanarsi dalla droga e da quello stile di vita.
La sua vita in provincia però durerà poco. Il suo amico Chet Helms, diventato il manager di un gruppo di San Francisco, cerca una vocalist. Janis dunque ripartirà per la California dove inciderà il suo primo disco con i Big Brother and the Holding Company. È diventata una star internazionale dopo la performance della band nel 1967 al Monterey Pop Festival.
Con l’album Cheap Thrills assistiamo all’ipotesi della sua carriera. Qui, infatti, sono contenuti alcuni dei suoi brani più famosi come Summertime, I need a man to love e Piece of my heart.
Sulla scia di questo enorme successo, Joplin diventa presto il simbolo del rock al femminile.
Buried alive in the blues
La sua grande personalità aveva un lato oscuro: depressione, ansia, sbalzi d’umore. Fumava, beveva gente sotto il tavolo e si dedicava lentamente ma con entusiasmo alla droga.
Per questi motivi e anche perché alcuni membri non erano considerati alla sua altezza, l’equilibrio della band si rompe. Janis forma una nuova band, la Kozmic blues band e, il suo primo album da solista la consacra a ‘regina bianca del blues’.
Se è difficile definire il blues solo un genere musicale, è più facile comprendere l’anima del blues proprio attraverso Janis Joplin.
La sua capacità, da vera artista, di trasformare la sofferenza in meraviglia, andava al di là degli eccessi in cui si perdeva.
Ogni sua esibizione sembrava l’ultima: struggente, potente, la sua grintosa fragilità che sul palco perdeva ogni imbarazzo e il suo pubblico al quale si offriva completamente rendevano le sue esibizioni immortali.
“Sul palco faccio l’amore con 25 mila persone. Poi torno a casa e sono sola”
J.Joplin
Deve il soprannome che in molti le attribuirono al suo terzo album: Pearl. Alla perla del blues però l’incredibile successo e l’adorazione del pubblico non basteranno mai. Janis cade di nuovo nella spirale dell’eroina. Il suo disagio esistenziale, il suo desiderio di essere profondamente amata la accompagneranno sempre e le impediranno forse di vedere la stella che era diventata.
Sei overdose, l’aborto, i folgoranti e fugaci incontri con Leonard Cohen e Jim Morrison, il dolore per non essere mai stata capita del tutto.
Janis Joplin morirà nel 1970 nella stanza di un albergo di Los Angeles, dove si trovava per registrare un nuovo album, stroncata da un’overdose di eroina.
Rimarrà forse la migliore interprete bianca di tutti i tempi, sepolta viva nel blues (Buried alive in the blues) come canta nel suo ultimo brano.